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 2015  luglio 05 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA GRECIA AL VOTO


REPUBBLICA.IT (ore 20.32)
ATENE - Il ’no’ al referendum in Grecia sul piano dei creditori internazionali verso la vittoria con il 60%. E una delegazione del governo è già pronta a partire per Bruxelles per rilanciare i negoziati con i creditori internazionali. "Con questo risultato il primo ministro ha un mandato chiaro dal popolo greco", ha detto il portavoce dell’esecutivo ellenico Gavriil Sakellaridis all’emittente Ant1, invitando i greci all’unità nazionale.
Atene, bandiere e pugni chiusi: i sostenitori del ’no’ in piazza Syntagma
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Superato il quorum. Gli aventi diritto erano circa dieci milioni e il referendum, ha annunciato il ministro dell’Interno, è valido, avendo superato il quorum del 40%. Per l’esattezza, l’affluenza parziale è al 55%, nonostante non si potesse votare a distanza e molti cittadini per motivi economici o per lavoro hanno avuto difficoltà a esprimere una preferenza. Il quorum necessario per la validità del voto era al 40%.
"Oggi è un giorno di festa, perché la democrazia è una festa - ha detto Alexis Tsipras dopo aver votato - perché si può ignorare la decisione di un governo, ma non la decisione di un popolo" ha affermato il premier greco. "Da domani apriamo la strada per tutti i popoli d’Europa. Oggi la democrazia batte la paura", ha poi detto uscendo dal seggio, dove ha scherzato con gli scrutatori perché non riusciva a piegare la scheda.
Le reazioni. La cancelliera Angela Merkel volerà a Parigi domani per incontrare il presidente francese Francois Hollande e confrontarsi sugli sviluppi della situazione in Grecia dopo il risultato di oggi, mentre il premier italiano, Matteo Renzi ha convocato sempre domani mattina, alle 9.30 a Palazzo Chigi, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Intanto Il G7 sta lavorando ad un comunicato che, secondo quanto riporta una fonte, non verrà diffuso prima di domani. I funzionari dell’Unione europea fanno sapere che non commenteranno il referendum finché non saranno annunciati i risultati ufficiali, mentre domani mattina si terrà una conference call della Banca centrale europea.
Bundesbank: "Possibile buco bilancio a Berlino". Se la Grecia uscisse dall’Eurozona, potrebbe causare nei prossimi anni buchi per miliardi nel bilancio del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble. Secondo quanto appreso dal quotidiano economico tedesco Handelsblatt (edizione di domani), il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, ha messo in guardia nel corso di una riunione di gabinetto, mercoledì scorso, sulle conseguenze di una Grexit sugli utili della banca centrale tedesca e quindi anche sul bilancio federale. Il governo di Berlino dovrà quindi prepararsi al fatto che la Banca centrale nei prossimi anni non potrà versare a Schaeuble degli utili, come avviene di solito, ha detto Weidmann secondo fonti vicine al gabinetto. La causa addotta da Weidmann sarebbero gli alti costi di un’eventuale uscita della Grecia dall’euro. Finora il ministero della finanze contava annualmente su circa 2,5 miliardi di utili dalla Banca centrale. Non sarebbe così nel caso di una Grexit. Intanto cresce la tensione dei mercati sulla gestione del post-referendum greco, che porterà in un senso o nell’altro grandi scossoni.
La vigilia. I sondaggi della vigilia parlavano di un Paese spaccato, anche se pareva ampia la fetta di chi vuol restare nell’euro e da tutte le cancellerie europee sia stato fatto passare il messaggio che il voto è proprio una scelta tra permanenza nell’Eurozona e uscita. Anche le piazze ateniesi si sono spaccate nelle due grandi manifestazioni della vigilia; in quella per il ’no’ il premier ha lanciato il suo ultimo appello invitando a votare "contro i diktat".

LASTAMPA.IT
17.10 - Merkel: “Con Tsipras a occhi aperti contro il muro”
La politica di Alexis Tsirpas è «dura e ideologica», e il premier greco «lascia andare il Paese ad occhi aperti contro un muro». Lo avrebbe detto la cancelliera tedesca Angela Merkel, sfogandosi nei giorni scorsi con alcuni colleghi di partito, secondo quanto scrive Spiegel on line. Il settimanale sottolinea che «più fonti» hanno confermato la frase. «Con questo governo la Grecia non si attiene ai principi dell’Europa», ha concluso la cancelliera.

16:13 - Atene studia condono fiscale con la Svizzera
La Grecia ha proposto una amnistia fiscale sui fondi parcheggiati in Svizzera, per recuperare le entrate sui miliardi di euro che i cittadini hanno accumulato nei conti all’estero. Lo ha riferito la testata svizzera Nzz, che cita fonti anonime. Il piano, che necessita ancora dell’approvazione del Parlamento e di un accordo finale con la Svizzera, è di imporre una tassazione piatta del 21% sugli asset, rendendoli legali.

16:02 - Confermata riunione dell’Euro working Group
I direttori dei Tesori dell’Eurozona si incontreranno domani di prima mattina. In parallelo al vertice Bce

14:31 - Bundesbank a Merkel: con Grexit buco nei conti tedeschi
L’uscita della Grecia dalla zona euro si tradurrebbe in un buco di diversi miliardi di euro nel bilancio della Germania. Lo sostiene il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, mettendo in guardia il governo della cancelliera Angela Merkel sulle possibili conseguenze di una uscita di Atene dalla moneta unica. A riferirlo è la testata economica tedesca Handelsblatt, citando fonti governative.

11:27 - Vota Varoufakis: “Oggi la gente risponde a un ultimatum”
Il ministro delle finanze Yanis Varoufakis ha votato a Faliro, sulla costa ateniese, anche lui accolto da una grande folla. «È una celebrazione della democrazia - ha dichiarato - Gli enormi fallimenti dell’Eurogruppo hanno portato a un ultimatum al quale la gente non ha potuto rispondere. Oggi può dare la sua risposta».

10:42 - Schulz: “Se vince il no addio euro”
«Se i greci diranno no, dovranno introdurre un’altra moneta dopo il referendum, perché l’euro non è disponibile come mezzo di pagamento» e «come faranno a pagare gli stipendi? Come faranno a pagare le pensioni? Nel momento in cui qualcuno introduce una nuova moneta, esce dalla zona euro» ha spiegato il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz.

10:22 - Theodorakis (Potami) e Gennimatà (Pasok) votano sì
Al seggio stamane ad Atene anche due esponenti del fronte del sì, i leader di To Potami Stavros Theodorakis e del Pasok, Fofi Gennimatà. Theodorakis ha detto di sperare che «il seme della divisione non darà i suoi frutti. Dobbiamo affrontare uniti i grandi problemi del Paese». «È il momento della decisione e della responsabilità. Vogliamo un accordo che funzioni. Mandiamo un forte Sì in Grecia ed Europa», ha detto la presidente socialista.

08:50 - Tre ex premier hanno già votato, per il “sì”
Tre ex premier greci, George Papandreu, Kostas Karamanlis e Andonis Samaras, fermi sostenitori dell’accordo con i creditori, hanno già votato, per il “sì”, al referendum greco. Papandreu si è recato alle urne poco dopo l’apertura dei seggi (alle 7, le 6 in Italia). Anche l’ex primo ministro conservatore Karamanlis ha già espresso la sua preferenza, come pure Samaras, altro capo del governo conservatore, che ha votato a Pilos, nel sud del Peloponneso.

09:32 - Vota il presidente Pavlopoulos: “Andiamo avanti insieme”
Il presidente della repubblica greca Prokopis Pavlopoulos ha votato nel quartiere ateniese di Neo Psychiko. «Oggi - ha dichiarato - è la giornata dei cittadini, che devono decidere secondo coscienza e secondo gli interessi della nazione. Indipendentemente dal risultato, dobbiamo votare, come fecero i nostri antenati. Poi andremo avanti, tutti insieme».

07:48 - Ex premier Karamanlis tra i primi leader a votare
Tra i primi leader politici a recarsi alle urne l’ex premier Kostas Karamanlis, tornato in questi giorni sugli schermi tv per un forte appello a votare sì. L’esponente di Nuova Democrazia ha votato nel quartiere di Agios Elefterios a Salonicco. Karamanlis, che alcuni vedono come possibile candidato a guidare un ipotetico governo di unità nazionale, non ha rilasciato alcuna dichiarazione.

07:00 - Renzi: “Da domani tutti intorno a un tavolo”
Qualunque sia il risultato del referendum greco, da domani «si dovrà tornare a parlare e la prima a saperlo è proprio Angela Merkel». Così il premier Renzi, in un’intervista al Messaggero. Dopo «la discussione greca, ci occuperemo di crescita e investimenti» in Europa.

05:00 - “Tsipras pronto a schierare l’esercito dopo i risultati”
Secondo il Sunday Times, il premier Tsipras non si è fatto scrupolo di approvare la proposta delle forze armate (Operazione Nemesis), che prevede lo schieramento delle truppe in strada, al fianco alla polizia in assetto antisommossa, stasera dopo l’esito del voto del referendum nel caso di tumulti.

REPUBBLICA.IT (ore 16.24)
URNE aperte alle 6 (ora italiana, le 7 nella penisola ellenica) per il referendum che potrebbe decidere le sorti della permanenza della Grecia nell’euro. Si vota fino alle 18 (ora italiana) e gli aventi diritto a esprimere un sì o un no nel referendum proposto dal governo greco sul piano avanzato dei creditori internazionali sono circa dieci milioni.

"Oggi è un giorno di festa, perché la democrazia è una festa", ha detto Alexis Tsipras dopo aver votato, "perché si può ignorare la decisione di un governo, ma non la decisione di un popolo" ha affermato il premier greco. "Da do"Oggi è un giorno di festa, perché la democrazia è una festa", ha detto Alexis Tsipras dopo aver votato, "perché si può ignorare la decisione di un governo, ma non la decisione di un popolo" ha affermato il premier greco. "Da domani apriamo la strada per tutti i popoli d’Europa. Oggi la democrazia batte la paura", ha poi detto uscendo dal seggio, dove ha scherzato con gli scrutatori perché non riusciva a piegare la scheda.

E la prima polemica è sui costi di questo referendum: 40 milioni di euro, certamente una cifra significativa per un paese già fortemente indebitato e a rischio di default. A decidere comunque il risultato, secondo quanto sostengono i sondaggi dell’ultimo minuto, sarà un pugno di voti, circa 40 mila, anche se gli indecisi sono ancora tanti e potrebbero far pendere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra. I 10.837.118 greci decideranno del loro futuro (e forse dell’Eurozona) votando al referendum improvvisamente indetto il 26 giugno da Alexis Tsipras su quella che era l’ultima proposta dei creditori, Bce-Ue-Fmi e Esms di altri 15,5 miliardi di aiuti prolungati fino a novembre. Offerta che il premier ed il suo ministro delle finanze Yanis Varoufakis hanno respinto, bollandola alternativamente come "un insulto" o "un ricatto" al popolo greco, salvo poi provare a rilanciare trovandosi di fronte al rifiuto della maggioranza dei partner, Angela Merkel in testa.

E alla Merkel lancia un allarme la Bundesbank. Infatti, secondo il presidente della Buba, Jens Weidmann, l’uscita della Grecia dalla zona euro si tradurrebbe in un buco di diversi miliardi di euro nel bilancio della Germania. Le perdite subite dalla banca centrale tedesca sarebbero maggiori delle riserve di 14,4 miliardi di euro accantonate dalla banca.

DA REPUBBLICA DI STAMATTINA
ECONOMIA
E ora nelle cancellerie c’è chi spera nel “no” Schaeuble già 3 anni fa voleva l’uscita di Atene
IL RETROSCENA
ANDREA BONANNI
BRUXELLES. Esattamente tre anni fa, nel luglio 2012, il ministro tedesco delle finanze, Wolfgang Schaeuble, ricevette l’allora segretario americano al Tesoro, Timothy Geithner, nella sua casa sull’isola di Sylt nel Mare del Nord e gli spiegò perché sarebbe stato molto meglio se la Grecia fosse uscita dall’eurozona. Tsipras allora non era ancora all’orizzonte. Ma il Finanzminister sostenne davanti ad un attonito Geithner che l’uscita della Grecia dall’euro avrebbe reso più facile per i tedeschi aiutare gli altri Paesi dell’unione monetaria, e avrebbe anche costituito un salutare spavento per quei governi che esitavano a varare le riforme. Ieri Schaeuble è tornato alla carica con una intervista a Bild spiegando che tocca ai greci scegliere se restare nell’euro o rimanerne «temporaneamente fuori». Ma aggiungendo anche che, secondo lui, Tsipras non ha mai veramente voluto evitare il default: «Quando abbiamo conosciuto i dati economici, abbiamo capito che il governo greco non voleva alcun programma di riforma. Ecco perché all’inizio ero molto scettico sull’esito delle discussioni con il governo di Atene. Che questo scetticismo sia stato poi confermato non mi sorprende». Comunque, secondo il ministro tedesco, «tra un anno l’eurozona sarà più forte di quanto fosse prima della crisi greca».
Mano a mano che si avvicina il momento della verità per la Grecia, il partito favorevole ad un “Grexit” si rafforza anche nelle cancellerie europee. E questo può forse spiegare perché, dopo i primi appelli emotivi rivolti ai greci perché votassero “sì” al referendum, nelle capitali dell’eurozona ha prevalso la tesi del silenzio. Mentre tutti si affrettano a spiegare quanto sarebbe lungo e difficile negoziare un nuovo programma di aiuti anche in caso di vittoria dei «sì», l’unico messaggio comune che arriva dai governi europei è che una eventuale uscita della Grecia non sarebbe un disastro per l’euro e non innescherebbe un nuovo contagio sui debiti sovrani degli altri Paesi. Ieri il ministro austriaco delle finanze si è spinto a dire che non solo un “Gre- xit” «sarebbe facile da gestire economicamente per l’Europa», ma che gli allarmi sui disagi che esso provocherebbe alla popolazione greca «sono esagerati».
La realtà è che i governi europei si trovano confrontati ad un’alternativa molto problematica e poco incoraggiante: scegliere tra una sconfitta politica e un nuovo salasso economico in un quadro di prolungata incertezza. Se al referendum vincesse il “no”, è chiaro che l’idea dell’indissolubilità dell’Unione monetaria subirebbe un colpo gravissimo. Ma molti, a torto o a ragione, pensano che la Bce sarebbe in grado di calmierare il mercato degli spread evitando un contagio come quello che si era scatenato quattro anni fa. E comunque l’idea di una nuova guerra dei debiti sovrani non spaventa certo i Paesi che si sentono più forti, e che da un aumento dello spread avrebbero semmai tutto da guadagnare. A fronte di uno schiaffo politico bruciante, i “falchi” vedono aprirsi un percorso più chiaro: l’uscita della Grecia dall’euro, la fine dei negoziati estenuanti e inconcludenti per spingere i greci alle riforme, l’immagine della catastrofe economica di Atene da usare come spauracchio verso l’opinione pubblica più euroscettica. Come disse Schaeuble tre anni fa a Geithner, « lasciar bruciare la Grecia renderebbe più facile la costruzione di un’Europa più forte e con barriere più credibili ».
Se invece vincessero i “sì”, a fronte di un indubitabile successo politico, si aprirebbe il problema di come salvare l’economia di un Paese che appare sotto molti punti di vista incurabile. L’Europa sarebbe costretta a negoziare un nuovo programma di aiuti, con altre decine di miliardi di prestiti che sarà molto difficile far approvare dai Parlamenti dei Paesi del Nord. Si dovrebbe prendere in seria considerazione l’ipotesi di un taglio del debito, che metterebbe in grave difficoltà i governi di Spagna, Portogallo e Irlanda che hanno subito programmi di assistenza senza beneficiare di questa agevolazione. Visto il tracollo economico di queste settimane, le condizioni da imporre alla popolazione greca sarebbero verosimilmente molto più dure di quelle offerte nel corso dell’ultima trattativa fallita, e questo non farebbe che aumentare l’impopolarità dei creditori. Inoltre, ammesso che Tsipras lasci il posto ad un governo transitorio di coalizione, la Grecia dovrebbe sicuramente tornare alle urne. Con il rischio di vedere una nuova vittoria di Syriza e di trovarsi, tra qualche mese, esattamente nella stessa situazione senza via di uscita in cui ci si è trovati a gennaio scorso.
Mentre i greci si recano alle urne, non c’è solo l’eterogenea coalizione della destra e della sinistra anti-sistema ad augurarsi una vittoria del “no”. Anche in non poche cancellerie del Nord Europa c’è chi, sottovoce, fa il tifo per Tsipras.

CHE COSA FARA’ LA BCE
ECONOMIA
L’EUROTOWER
Pronta a salvare le banche con il “no”tutto congelato
Domani si riunisce il Consiglio direttivo della Bce (Mario Draghi e altri 24 banchieri centrali) per decidere il da farsi dopo il voto greco. Se prevarrà il “sì”, Draghi e i governatori centrali certamente terranno in vita il programma Ela grazie al quale da febbraio hanno versato 89 miliardi di liquidità d’emergenza alle banche greche. Anzi, probabilmente alzeranno di qualche miliardo il tetto per permettere agli istituti ellenici di riaprire i battenti. Sarebbero autorizzati a farlo perché con la prospettiva di un imminente accordo sul salvataggio potrebbero riprendere ad accettare i collaterali delle banche di Atene in cambio del nuovo prestito. Se invece vincerà il “no”, le possibilità di intesa sul salvataggio sarebbero minime e per statuto alla Bce sarebbe vietato aumentare l’Ela. L’Eurotower sarebbe anche autorizzata a chiuderlo pretendendo subito il rimborso degli 89 miliardi e dichiarando di fatto il default del Paese. Ma Draghi non vuole assumersi la responsabilità di spezzare l’eurozona che spetta ai politici. Per questo con la vittoria del “no” Francoforte prenderà atto della situazione lasciando congelato l’Ela. Ma le banche greche non potrebbero riaprire perché con il panico generato dalla bocciatura del quesito verrebbero prese d’assalto e in poche ore andrebbero gambe all’aria. La Banca centrale potrebbe però rappresentare l’ultimo scoglio contro il quale sbatterà la nave greca prima di affondare: ormai insolvente verso l’Fmi, Atene andrà tecnicamente in default il 20 luglio se non rimborserà 3,4 miliardi. Sarà quello il giorno del non ritorno.

CHE COSA FARA’ JUNCKER
ECONOMIA
LACOMMISSIONE
Compromesso possibile se Atene cambia esecutivo
Il presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, nonostante i rapporti deteriorati con Tsipras ha lavorato fino all’ultimo ad un compromesso tra il primo ministro greco e gli altri leader, Angela Merkel in testa. Juncker lunedì scorso con un appassionato discorso ha schierato Bruxelles in campagna elettorale invitando i cittadini ellenici a votare per il “sì”. Una mossa coraggiosa che però ha preoccupato diversi governi timorosi di vedere andare in fumo la neutralità e la credibilità dell’esecutivo comunitario. Mercoledì scorso in una riunione con i commissari europei Juncker ha riconosciuto l’azzardo che ha attribuito alla «emotività» del momento. Da quel giorno Bruxelles ha ripreso un atteggiamento più consono al suo ruolo super partes guardando a lunedì. Sarà Juncker, a prescindere dal risultato, a rilanciare i negoziati con Atene. Lavoro più facile nel caso di vittoria del “sì” e della nascita di un governo di crisi al quale verrebbe offerto un onorevole compromesso in linea con gli ultimi progressi negoziali della scorsa settimana. Non a caso fonti europee raccontano che emissari dell’ex premier lussemburghese hanno condotto “consultazioni ombra” per tenersi pronti alla nascita di un nuovo esecutivo ad Atene e rilanciare il negoziato in tempi rapidi. C’è comunque la scadenza del 20 luglio. Se vincerà il “no”, quello di Juncker sarà un tentativo disperato nonostante potrà contare sull’appoggio dei governi Renzi e Hollande, nonché sul gruppo del Partito socialista europeo al Parlamento di Strasburgo, contrari ad un default greco.

IL CONSIGLIO EUROPEO
ECONOMIA
ILCONSIGLIOEUROPEO
Pochi alleati e rapporti tesi dubbi anche a sinistra
A contare saranno i leader dei grandi paesi. Domani sera i contatti tra le varie Cancellerie e con Atene riprenderanno frenetici. Angela Merkel ha sempre cercato il compromesso, ma deve fare i conti con un partito, e parte del Paese, dove ormai ha fatto breccia la tesi di Schaeuble. Che recita: il Grexit rafforzerebbe l’eurozona. Il punto è che lo stesso Tsipras non sembra avere le idee chiare sul da farsi. In caso di vittoria del “sì” dovrebbe dare le dimissioni e appoggiare dall’esterno un nuovo governo. Il problema semmai è che ancora ieri il premier greco affermava che con la bocciatura del referendum il suo Paese sarebbe rinforzato nel negoziato sul salvataggio. Falso, a Bruxelles troverebbe partner ancor più irritati, rigidi e riluttanti a cedere alle sue richieste. Se non tutti i governi, come quelli di Italia e Francia, sono d’accordo che il Grexit sarebbe il male minore, tutti ormai ritengono Tsipras inaffidabile. Certamente vorrebbero la sua caduta i governi di centrodestra, ma anche molti di centrosinistra: all’ultimo vertice del Pse, 10 giorni fa, diversi socialisti come l’olandese Rutte hanno parlato apertamente della necessità di regime change. Ma costringere alle dimissioni uno Tsipras vincitore del referendum, insediare un nuovo governo e negoziare il salvataggio entro il 20 luglio sembra un’operazione ad altissimo rischio fallimento. Tuttavia anche trovare un accordo entro due settimane con uno leader imbaldanzito dalla vittoria referendaria sarà difficile. Tanto più se minaccerà l’Europa di stampare dracme ricattandola con i danni collaterali del default greco.

L’EUROGRUPPO
ECONOMIA
L’EUROGRUPPO
È qui il nido dei falchi nessuno sconto a Tsipras
Il tavolo dei ministri delle Finanze della zona euro è il vero nido dei falchi. Tanto di quelli europei, quanto del greco Varoufakis. Il titolare dei conti greci è cordialmente detestato dai colleghi e in questi sei mesi non ha fatto nulla per evitarlo. La sensazione è che fino a quando i leader delegheranno all’Eurogruppo la responsabilità di trovare un accordo, questo non arriverà mai. Al massimo l’intesa dovrebbe essere trovata a livello politico dai Capi di Stato e di governo e poi lasciata nei dettagli tecnici ai ministri. Già, perché se Varoufakis non gode delle simpatie degli altri 18 protagonisti dell’Eurogruppo, questo è chiaramente in mano ai falchi che sfruttano gli errori e i bluff greci per frantumare ogni possibilità di accordo. La star del consesso è il Finanzminister Wolfgang Schaeuble. Convinto che la Grecia debba uscire dall’euro per il bene degli europei, conta tra i suoi discepoli il presidente dell’Eurogruppo, il socialdemocratico olandese Jeroen Dijsselbloem (a caccia di riconferma alla guida del tavolo) e il finlandese Alexander Stubb. Ma anche lo spagnolo De Guindos non è tenero con il collega greco. Spagnoli, portoghesi, irlandesi e ciprioti in quanto paesi più vulnerabili temono il Grexit, ma dopo avere imposto sacrifici ai propri cittadini non vogliono darla vinta a Tsipras e Varoufakis. Anche perché darebbe fiato ai populisti in patria, a partire da Podemos in Spagna. Più collaborativi l’italiano Padoan e il francese Sapin. Ad ogni modo i ministri delle Finanze dei Diciannove hanno cancellato tutti gli impegni dalla loro agenda di domani per essere pronti a consultarsi sul referendum greco. Quasi certa una teleconferenza.

IL FMI
ECONOMIA
ILFONDOMONETARIOINTERNAZIONALE
Ispiratore dell’austerità è polemica sul suo ruolo
L’istituzione di Washington guidata da Christine Lagarde agli occhi dei greci, e non solo, rappresenta il volto più crudele dell’austerità di questi ultimi anni. Nell’immaginario dei cittadini ellenici i “man in black” del Fondo che ispezionavano i ministeri di Atene hanno rappresentato un vero incubo. Tanto che Tsipras ha cercato di non farli più entrare nei palazzi del potere del suo Paese. Un problema, perché la mancata collaborazione con i creditori non ha aiutato certo il governo di Syriza, al punto che per mesi Merkel e Hollande hanno cercato invano di spiegare al collega ellenico che dopotutto le ispezioni dei team Fmi erano un male necessario. E ora — prima ancora di negoziare il terzo pacchetto di salvataggio della Grecia — in Europa già si litiga furiosamente sul ruolo che avrà il Fondo. Questa volta, ammesso e non concesso che si troverà un accordo tra Atene ed Europa, il salvataggio sarà portato a termine dal Fondo salva-Stati permanente dell’Unione (Esm) che sostituirà quello provvisorio impegnato fino a mercoledì scorso nel secondo pacchetto di aiuti internazionali (Efsf). Se l’Efsf doveva per forza essere affiancato dall’Fmi, lo stesso non vale per l’Esm. Finanziato dai governi dell’eurozona in base al loro Pil, l’Esm nei suoi salvataggi può coinvolgere con diversa intensità l’Fmi. Ovviamente Merkel e Schaeuble per vedere più garantiti i propri soldi e per coprirsi le spalle di fronte Parlamento e cittadini vogliono coinvolgerlo il più possibile. Richiesta respinta dai greci e che i governi mediatori cercano di smussare ma di per sé capace di spiegare quanto sarà dura trovare un accordo.

REPUBBLICA.IT - GLI ITALIANI AD ATENE
ROMA - La politica italiana guarda ad Atene nel giorno del referendum decisivo per le sorti per dell’Eurozona e del futuro della Grecia. E in piazza Syntagma, davanti al Parlamento greco, arrivano i leader italiani che appoggiano il fronte del ’No’: da Beppe Grillo a Nichi Vendola, dall’ex Pd Stefano Fassina all’esponente della minoranza dem Alfredo D’Attorre, il segretario di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero.

LIVEBLOG/ SEGUI I RISULTATI DEL REFERENDUM GRECO SU REPUBBLICA.IT

"È evidente che la Grecia ha problemi seri, ma la cura somministrata in questi anni ha aggravato la malattia e le condizioni di Eurozona e Italia": il deputato Stefano Fassina, ex Pd non ha dubbi. Secondo lui, le misure messe in atto non hanno fatto altro che peggiorare la situazione greca e critica Renzi: "Il presidente del Consiglio fa finta di non capire, l’Italia si allinea all’interesse nazionale tedesco, fa un danno all’interesse nazionale italiano e non si rende conto così che non ce la possiamo fare".
Quella intrapresa è una strada che, secondo Fassina, non può che portare l’Eurozona verso il baratro: "Continuando a far finta che la cura funziona, l’Eurozona va a sbattere. La partita che si gioca in Grecia riguarda tutti e sbaglia chi fa finta di limitare il passaggio di oggi alla vicenda di un singolo paese. Speriamo che il popolo greco dia un contributo a un radicale cambio di rotta, che può avvenire solo se c’è il no". Per l’ex Pd è difficile prevedere quale sarà la reazione all’esito della consultazione: "I contraccolpi dipenderanno da come reagiranno le principali istituzioni dell’Eurozona: è chiaro che se la risposta al no vuole essere punitiva, dare una punizione esemplare alla Grecia che ha osato alzare la testa e mettere in discussione l’ordine tedesco che vige in Europa, allora i problemi, anche per l’Italia, temo siano seri", ha concluso l’ex viceministro dell’Economia del governo Letta.

SCHEDA/ QUALE SVILUPPO DOPO LE URNE

Ad Atene anche una folta delegazione dei parlamentari M5S che ha ’invaso’ piazza Syntagma. I primi a presentarsi nella piazza in pieno centro ad Atene sono stati Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista, Giorgio Sorial, Laura Castelli, Manlio Di Stefano, Maria Edera Spadoni. Beppe Grillo, sul suo blog, ha citato i Nobel per sostenere il fronte del ’no’: "Votare NO al #referendum greco, parola di Nobel", è l’appello comparso anche su Twitter. Nel link inserito a corredo del post, sono state riportate le riflessioni di Paul Krugman e di Joseph Stiglitz, rispettivamente premi Nobel per l’economia nel 2008 e nel 2001, e di Thomas Piketty, economista di fama internazionale. "Da domani, quale che sia l’esito del referendum, l’Europa non sarà più la stessa, perché finalmente è passato il principio secondo cui un popolo può decidere il proprio destino", ha detto il vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio. "Questo non è un referendum tra euro e dracma - aggiunge - l’unico che ci crede è probabilmente Matteo Renzi che non avrà neanche letto il quesito del referendum".
Referendum Grecia, Beppe Grillo ad Atene: "Potere al popolo e non alle banche"


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"I popoli europei hanno diritto a prendere parola. Un’Europa senza popoli è un’Europa che semplicemente non c’è". Il presidente di Sel, Nichi Vendola, che stamani è stato nella sede di Syriza, il partito del premier greco Alexis Tsipras, con Fassina e Alfredo D’Attorre (Pd), è convinto che quello di oggi non è un "derby tra dracma ed euro. Uno dei soliti falsi che confeziona spesso il premier italiano". E ha aggiunto: "L’austerity diventa l’inizio del suicidio dell’Europa. Chi sostiene il no sostiene le buone ragioni di un’altra Europa".

KRUGMAN
Krugman: la Grecia voti ‘NO’ e sia pronta a lasciare l’euro
EUROPA UE, NEWSvenerdì, 3, luglio, 2015
“La Grecia deve votare ‘no’ e il governo greco deve essere pronto, se necessario, a lasciare l’euro”. E’ quanto scrive Paul Krugman in un commento sul New York Times in cui argomenta che le ragioni che lo spingono a sostenere il no – in una situazione in cui la “Grecia appare aver raggiunto il punto di non ritorno, con le banche chiuse e il controllo sui capitali” – sono di natura economica e, soprattutto, politica.
Dalla troika “alla Grecia è stata presentata un’offerta prendere o lasciare effettivamente non distinguibile dalle politiche degli ultimi cinque anni”, scrive l’economista americano, Premio Nobel 2008, che nell’articolo ribadisce la sua nota opposizione alle politiche di austerity considerate le vere responsabili della mancata ripresa della Grecia nonostante gli enorme sacrifici sostenuti dalla popolazione.
Per Krugman quella dei creditori internazionali era una mossa calcolata per “distruggere la ragione d’essere politica” di Tsipras e toglierlo dal governo “cosa che molti probabilmente succederà se i greci dovessero votare sì al referendum”.
Ma – aggiunge l’economista liberal – vi sono tre ragioni che dovrebbero spingere i greci in direzione contraraia: “la prima, noi sappiamo che politiche di austerity ancora più dure sono un vicolo cieco: dopo cinque anni la Grecia sta peggio di prima. La seconda – argomenta ancora – il temuto caos del Grexit sta già succedendo”.
“Ed infine, accettare l’ultimatum della troika sarebbe l’abbondono finale di ogni pretesa di indipendenza greca”. Sarebbe la vittoria definitiva di “tecnocrati che sono in realtà degli illusionisti non tengono conto di niente di quello che sappiamo di macro economia e che finora hanno sbagliato tutti i passi”.
Krugman: L’ultima volta che ci fu una crisi così arrivò la 2a guerra mondiale
E finora hanno sempre esercitato il potere minacciando di “staccare la spina all’economia greca” minaccia che persiste fino a quando “l’uscita dall’euro viene considerata impensabile”. “Così è venuto il momento di mettere fine a questo impensabile – conclude – altrimenti la Grecia dovrà fronteggiare austerity senza fine e una depressione senza segnali di ripresa”.
Krugman: il giorno dopo che la Grecia esce dall’euro

KRUGMAN 25/6/2015
Krugman: il giorno dopo che la Grecia esce dall’euro
EUROPA UE, NEWSmartedì, 26, maggio, 2015
Paul Krugman sul New York Times, con ancora fresca la notizia della vittoria di Podemos nelle maggiori città spagnole, torna brevemente sul tema della Grecia e della sua possibile uscita dalla moneta unica. La grande paura dell’ormai screditato establishment europeo, ragiona il premio Nobel, non è che la Grecia fallisca, ma che possa riprendersi a seguito dell’uscita dall’euro, diventando così un esempio per tutti gli altri. da Voci dall’Estero
grecia
di Paul Krugman, 25 maggio 2015
C’è appena stato un altro terremoto elettorale nell’eurozona: i candidati spagnoli di Podemos hanno vinto le elezioni locali a Madrid e a Barcellona. Io spero che l’IFKAT — cioè l’insieme delle istituzioni finora chiamate “Troika” — facciano bene attenzione.
Il nocciolo della situazione greca è che gli attuali parametri per il raggiungimento di un accordo a breve termine sono chiari e ineludibili: la Grecia non può fare un grosso deficit primario, perché nessuno le presterebbe ulteriore denaro, e non farà nemmeno (perché essenzialmente non ne è in grado) un grosso avanzo primario, dato che non è possibile cavare sangue dalle pietre. Perciò non resta che aspettarsi un accordo per cui la Grecia farà un modesto avanzo primario nel corso dei prossimi anni, e questo si potrebbe facilmente raggiungere — e se questo è ciò che succederà, perché non renderlo ufficiale?
Ma ora il FMI sta facendo la parte del poliziotto cattivo, e dice che non concederà altri fondi fino a che Syriza non si metterà in riga sulle pensioni e le riforme del mercato del lavoro. Queste ultime sono abbastanza discutibili — le stesse ricerche del FMI non danno alcun motivo per essere entusiasti delle riforme strutturali, specialmente di quelle del mercato del lavoro. Il primo punto invece riflette probabilmente un problema reale — la Grecia probabilmente non è in grado di concedere ai propri pensionati quanto gli ha promesso — tuttavia non è chiaro perché questo dovrebbe essere un punto da discutere nel particolare al di là della questione generale dell’avanzo primario.
Ciò su cui vorrei tutti ragionassero è cosa succederebbe se la Grecia alla fine fosse spinta fuori dall’euro. (Sì, parlo del “Grexit” — brutta parola, ma tutti la usano.)
Sarebbe certamente una brutta situazione per la Grecia, almeno all’inizio. Proprio ora i paesi “core” dell’eurozona pensano che il resto dell’area euro possa gestire il problema, e questo può essere vero. Tenete conto però che il presunto intervento promesso dalla BCE [il “whatever it takes”, NdT], non è ancora stato realmente sperimentato. Se i mercati perdono fiducia nello stesso momento in cui la BCE è costretta ad acquistare titoli spagnoli e italiani, cosa succederà?
Ma la questione ancora più importante è cosa succederà un anno o due dopo che la Grecia sarà uscita dall’euro, nel momento in cui il vero rischio per l’euro non sarà che la Grecia fallisca, ma che possa avere successo.
Immaginate che una nuova dracma fortemente svalutata porti frotte di turisti britannici, gran bevitori di birra, sulle coste dello Ionio, e che la Grecia cominci a riprendersi. Questo darebbe grande incoraggiamento a tutti quelli che, in ogni paese, si oppongono all’austerità e alla svalutazione interna.
Pensateci. Fino l’altro ieri gli “Europei Molto Seri” indicavano la Spagna come un caso esemplare di successo, come la giustificazione di tutto il loro programma. Evidentemente i cittadini spagnoli non erano d’accordo. E così, se le forze anti-establishment potranno fare riferimento a una Grecia in via di ripresa, lo screditamento dell’establishment verrà accelerato.
Una possibile conclusione, immagino, è che la Germania provi a sabotare la Grecia dopo l’uscita. Ma spero che ciò venga considerato inaccettabile.
Perciò pensateci, cari IFKAT: siete proprio sicuri di voler andare avanti per la vostra strada?