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 2015  luglio 04 Sabato calendario

L’ENIGMA BOSSETTI SUL BANCO DEGLI IMPUTATI «AVVOCATO, NON RIESCO A CAPIRE NULLA»

La prima udienza del processo a Massimo Bossetti è stata solo un anticipo della battaglia vera che inizierà a settembre con testimoni, consulenti e scontri sul Dna, pilastro dell’accusa. Per ora il pm Letizia Ruggeri e i legali del carpentiere accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio hanno discusso sulle eccezioni preliminari. La difesa ne ha presentate sei, tutte respinte dall’accusa. Ma deciderà la Corte d’assise il 17 luglio, altra udienza formale. Al centro questioni già sollevate in sede di richiesta di scarcerazione (sempre negata): dal prelievo di saliva mascherato da alcoltest alla relazione del Ris in cui si spiega la traccia lasciata dal presunto killer, quell’Ignoto 1 ribattezzato Bossetti. «Non valgono», per i difensori. «È tutto regolare», il muro del pm .
Lo spaesamento può anche essere parente del gelo. Sono passati appena dieci minuti dal suo ingresso in una gabbia degli imputati che impegna metà dell’aula e gli sguardi di tutti i presenti. Una signora seduta sull’ultimo strapuntino dell’ultima fila riservata al pubblico scuote la testa e legge la personale sentenza alla sorella che invece assiste in piedi. «Lo vedi com’è freddo?»
La presenza di Massimo Bossetti è la calamita di questa prima giornata del processo che lo vede unico accusato di un delitto atroce, il sequestro e la morte di una ragazza che aveva appena 13 anni e si chiamava Yara Gambirasio. Quando entra c’è un silenzio interrotto solo dal rumore metallico delle manette che gli vengono tolte. Nessuno lo ha mai visto prima. Era uno sconosciuto, quando venne indagato e arrestato nello stesso giorno. In quest’anno di attesa abbiamo appreso, o crediamo di aver appreso, tutto di lui. La sua media felicità familiare, le sue abitudini sessuali, persino i voti dei figli a scuola, come se potessero avere qualche importanza. Ma il muratore di Mapello finora è sempre stato una vecchia foto dall’espressione corrucciata, buona al massimo per i giornali e i devoti della fisiognomica.
Il suo aspetto fisico è il filo conduttore del mormorio che accompagna un’udienza ostica, fatta di eccezioni preliminari e prime schermaglie tra difesa e accusa declinate in giuridichese. Sembra più piccolo di quanto appaia nelle poche e datate fotografie a corpo intero, è molto magro, molto abbronzato, con il colore quasi di cuoio della pelle che è frutto delle ore d’aria nel cortile del carcere. Scarpe da tennis, polo blu, capelli scolpiti dal gel. Resta in piedi per almeno dieci minuti, incerto sul da farsi, fino a quando una guardia gli si avvicina. «Puoi sederti».
Il muratore di Mapello esegue, sistemandosi su un banco che dà le spalle al pubblico. Ha le mani sempre conserte, le labbra leggermente dischiuse, sembra uno scolaro lasciato per punizione in classe durante la ricreazione. Ascolta senza variare mai l’espressione del viso, nessuna smorfia, nessun gesto che lasci trapelare ansia o disapprovazione. «Gli occhi, accidenti che freddezza». «Ma se è un pulcino bagnato». Attento, eppure quasi assente per la gente che è arrivata fin qui solo per assistere alla sua prima apparizione. Lo svolgimento della prima udienza diventa quasi un rumore di fondo del lavoro collettivo di osservazione continua di un uomo chiuso in una gabbia di vetro.
Eppure non è solo noia, come spesso accade al debutto. Inutile girarci intorno, come ha detto il rappresentante della famiglia Gambirasio, al quale è toccato il compito di chiamare le cose con il loro nome. «Il nocciolo di questo processo è l’accertamento del Dna». Quasi tutte le eccezioni sollevate dagli avvocati di Bossetti riguardano la prova regina, intorno alla quale è stata costruita l’indagine parallela su un uomo. Alcune sono state respinte nei 5 ricorsi presentati per chiedere la scarcerazione dell’imputato, con l’ultimo, il più importante, che sarà discusso in Cassazione tra poco. La linea del Piave della difesa è quella, fiaccare la prova regina, sollevare dubbi su un accertamento scientifico e irripetibile. Se cade il Dna, crolla tutto. Ma in aula non conta. Oggi c’è solo lui, il muratore di Mapello, titolare di una vita che almeno in apparenza non presenta le deviazioni che ci si dovrebbe aspettare da un uomo che per quasi cinque anni avrebbe fatto finta di nulla mentre intorno a lui tutto si muoveva alla ricerca di «Ignoto 1», l’assassino nascosto dietro a un profilo genetico.
Alla fine i suoi legali entrano nella gabbia di vetro per salutarlo. E l’unico imputato di un crimine atroce, rivela la ragione della sua impenetrabilità, che continuerà a venire letta come spaesamento oppure gelo, dipende dalla polarizzazione tra innocentisti e colpevolisti. «Avvocato, non ci ho capito niente. Ho cercato di seguire, ma è molto difficile». Dal labiale filtra un’altra frase. «Vorrei che arrivasse la sentenza già domani». Il resto sono spiccioli di conversazioni riferiti per interposta persona, la fiducia nella giustizia, questo processo che è appena cominciato «e io voglio farlo davvero». Se ogni essere umano è un enigma, quello del presunto colpevole Massimo Bossetti non si è certo sciolto ieri.