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 2015  luglio 04 Sabato calendario

TESORO ALLA PROVA DELLE ASTE GIÀ COLLOCATO IL 60% DEI TITOLI

ROMA «Siamo andati in asta in situazioni molto più complicate e anche nel 2011: figurarsi». Così ieri Maria Cannata, la dirigente generale del Tesoro responsabile del debito pubblico, ha potuto liquidare i dubbi sulla regolarità delle prossime aste, di fronte all’eventualità che la situazione in Grecia precipiti ulteriormente. È chiaro che se l’esito finale della partita dovesse essere davvero l’uscita di Atene dalla moneta unica, si aprirebbe uno scenario non del tutto prevedibile, ma la relativa tranquillità del Tesoro si basa anche sul lavoro svolto fino ad oggi. Nei primi sei mesi dell’anno infatti sono già stati collocati circa 250 miliardi di titoli di Stato. Una quantità che secondo le stime di Intesa Sanpaolo equivale a circa il 60 per cento del totale delle emissioni lorde previste per l’anno, valutato in 418 miliardi.
Insomma il ministero dell’Economia è oltre la metà dell’opera, in condizione di rispettare il calendario fissato per il 2015. E la stagione può dare una mano, rispetto alle eventuali turbolenze delle prossime settimane, visto che a luglio ed in particolare ad agosto è tradizione che il ritmo dei collocamenti rallenti un po’.
LE LNEE GUIDA
A Via Venti Settembre ritengono in ogni caso di avere tutti i mezzi per fronteggiare un contesto meno favorevole. Come si legge nelle Linee guida della gestione del debito pubblico nel 2015, l’impostazione scelta prevede di «combinare elementi di ampia regolarità e prevedibilità con idonei margini di flessibilità in modo da garantire livelli di efficienza adeguati sia al mercato primario che a quello secondario, a fronte dei vari eventi che si dispiegheranno nel corso dei prossimi dodici mesi». Insomma in caso di bisogno la strategia potrà essere rivista e adattata.
Nei primi quattro mesi dell’anno il Tesoro ha potuto contare su condizioni storicamente favorevolissime, praticamente irripetibili: rendimenti in discesa, con il Btp decennale che si è spinto anche sotto l’incredibile livello dell’1,2 per cento. Ed ha approfittato per portare fieno in cascina, indebitandosi più di quanto richiedesse il fabbisogno di cassa e incrementando le disponibilità liquide presso la Banca d’Italia. Poi da fine aprile, questa dinamica si è invertita, ma per motivi indipendenti dalla vicenda greca. Anzi, al netto di un’inevitabile fattore speculativo che ha amplificato la tendenza al rialzo, a spingere verso l’alto i tassi (non solo quelli dei titoli italiani ed anzi in primo luogo quello del Bund tedesco) erano soprattutto le attese per una ripresa dell’inflazione, in coincidenza con un’accelerazione dell’economia europea. In questo quadro è tornata ad acutizzarsi la tensione in Grecia. Se la situazione in qualche modo si normalizzerà, è prevedibile che dopo qualche sbalzo la risalita prosegua a ritmo moderato. In caso di eventi estremi le turbolenze sarebbero ben più visibili, ma si farebbe sentire in modo marcato anche l’azione della Bce, che potrebbe temporaneamente intensificare gli acquisti di titoli dei Paesi maggiormente esposti.
Che l’Italia si trovi in questa condizione, è evidente per Standard & Poor’s: l’altro giorno l’agenzia di rating ha quantificato in 11 miliardi il maggior esborso per interessi che il nostro Paese sarebbe chiamato a sostenere tra quest’anno e il prossimo. Una stima contestata dalla stessa Maria Cannata che l’ha definita «molto aggressiva», facendo notare come non siano chiari i criteri che hanno portato a formularla. Il Mef anche in caso di forti tensione si aspetta valori ben più bassi, perché occorrerebbe comunque molto tempo prima che i maggiori rendimenti si propaghino sui titoli effettivamente in circolazione, a mano a mano che quelli vecchi vanno in scadenza.
LA SPESA
In base all’ultima stima ufficiale, contenuta nel Documento di economia e finanza presentato ad aprile, la spesa complessiva per gli interessi sul debito pubblico dovrebbe collocarsi a fine anno a 69,3 miliardi, in forte calo rispetto ai 75,2 del consuntivo 2014 che già rappresentavano un valore più basso di circa 1,5 miliardi rispetto a quello previsto nel settembre 2014.