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 2015  luglio 04 Sabato calendario

GRECIA, UN PAESE IN VENDITA 250 MILA IMMOBILI, NESSUNO LI VUOLE

C’è un isola dell’Egeo con centinaia di case in vendita e nessun agente immobiliare che risponde al telefono. A Paros, alle quattro del pomeriggio, gli uffici immobiliari attorno al porto di Paroikìa, nonostante l’orario continuato annunciato dai cartelli, sono sbarrati. I telefoni di altre cinque agenzie squillano invano. Al sesto tentativo, risponde una voce squillante. «Sì, i prezzi sono ancora alti», ammette Gaelle. Un eufemismo. Sessanta metri quadri in un punto bruttino di Naoussa, incastrati tra un supermercato e una pompa di benzina, e a 400 metri dal mare non sono proprio il massimo. Ma il prezzo è 250 mila euro. E i proprietari non scendono di un centesimo. «Intanto, l’affittano per l’estate. Se possono, la vendono, altrimenti ci riprovano l’anno prossimo». Anomalie dell’isola? Nient’affatto. Se nessuno risponde al telefono, non è per pigrizia. E’ per rassegnazione. In tutta la Grecia, secondo alcune stime, ci sono tra 200 e 250 mila immobili in vendita, su una popolazione di undici milioni di abitanti. Un’enormità. Paros è una metonimia: il mercato immobiliare dell’intera Grecia è paralizzato. E nasconde una bomba ad orologeria di cui nessuno parla.
Il tratto che va da Naoussa, il villaggio a nord dell’isola, alle spiagge di Piso Livadi, è impressionante. Quarantasette cartelli lungo appena dieci chilometri di costa. Terreni, case, negozi «vendesi», in un tratto di strada con poche tracce di urbanizzazione. L’aria è profumata, sui numerosi terreni incolti, capre e asini vagano a caccia dei rari punti di ombra. Tassos è il proprietario di un’agenzia immobiliare famosa, vende case da venticinque anni. Anche lui risponde al telefono, ma dopo due tentativi. Preferirebbe incontrarci di persona, è nervoso. Poi decide di fidarsi e si sfoga: «i prezzi qui sono crollati del 60%. L’autunno scorso, finalmente, qualcosa ha ricominciato a muoversi, poi sono arrivate le elezioni e siamo riprecipitati nel caos. Avevo già dei contratti firmati: gli acquirenti hanno deciso di stracciarli. Non si fidavano più». E ora? «Ovvio che adesso nessuno compri più. Aspettano tutti di vedere se usciamo dall’euro per comprare le case in dracme, a prezzi stracciati».
Il dramma immobiliare greco è antico e affonda le radici nelle Olimpiadi del 2004; il boom successivo ha creato una bolla, che non è ancora esplosa del tutto. Per fortuna. Altrimenti, la già tragica situazione greca rischierebbe di diventare insostenibile. I numeri parlano chiaro. Secondo la Banca centrale greca, dopo aumenti vertiginosi, i prezzi delle case sono cominciati a calare con lo scoppiare del dramma del debito, nel 2009. Nel triennio 2011-2014, del 5,5, dell’11,7, del 10,9 e del 7,5%. Con percentuali molto simili nei principali centri urbani - Atene e Salonicco - e nel resto del Paese. Le compravendite sono precipitate del 28 e del 38% nei soli 2011-12. I permessi per costruire nuove case sono collassati del 28,4% nel 2011, del 36,9% nel 2012, del 27,7% nel 2013 e del 18,1% l’anno scorso. Gli investimenti in costruzioni si sono contratti del 14,2, del 29,6, del 16,1 e del 20,6% tra il 2011 e il 2014.
Ma nonostante la Grande Depressione immobiliare, le case costano ancora tanto. Secondo l’agenzia di rating Fitch, troppo. L’Associazione degli agenti immobiliari greci calcola che un appartamento costava in media 181 mila euro nel 2009; nel 2014 è sceso a 110 mila. Una caduta del 38%. Ebbene: secondo Fitch gli immobili dovrebbero scendere del 45% rispetto al 2008. Altrimenti il mercato rischia di non riprendersi mai più. D’altra parte, molte famiglie finirebbero sul lastrico, se accadesse. La quota di mutui sul Pil è schizzata dal 26,2% del 2006 al 39% del Pil nel 2015. I mutui inesigibili sono passati dal 3,4% del Pil nel 2006 al 28,6% nel 2015. Se i prezzi precipitassero ancora, milioni di greci si ritroverebbero con una casa che varrebbe la metà rispetto a cinque o sei anni fa. E tanti rischierebbero di dover continuare a pagare il mutuo anche dopo aver venduto la casa. Un incubo.
Tonia Mastrobuoni, La Stampa 4/7/2015