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 2015  luglio 04 Sabato calendario

ZINGALES LASCIA L’ENI UN ALTRO ADDIO A RENZI

L’economista Luigi Zingales si dimette dal consiglio di amministrazione dell’Eni “per non riconciliabili differenze di opinione sul ruolo del consiglio nella gestione della società”, come si legge nella lettera di poche righe che ufficializza l’addio. Zingales ha una carriera accademica negli Stati Uniti, a Chicago, ma in questi anni è sempre rimasto attivo in Italia, come editorialista del Sole 24 e dell’Espresso e come consigliere di amministrazione di Telecom Italia prima di passare, un anno fa, all’Eni su indicazione del ministero dell’Economia.
Zingales ha fama di amministratore integerrimo, era uno dei nomi usati dal premier Matteo Renzi per rivendicare rinnovamento nella tornata di nomine della primavera 2014. Certo, la presidenza dell’Eni è andata all’ex capo di Confindustria Emma Marcegaglia, la cui azienda di famiglia aveva pagato tangenti proprio all’Eni, e il nuovo amministratore delegato diventava Claudio Descalzi, indagato come il predecessore per corruzione internazionale. Ma a vigilare e garantire c’era il liberista Zingales, avversario di ogni corruzione e interesse corporativo. C’era, appunto, perché ora non c’è più.
Durante il suo mandato a Telecom Italia, tra 2007 e 2014, Zingales non ha mai detto una parola sulla azienda che amministrava, idem con l’Eni. Inutile quindi aspettarsi che sia lui a scendere nei dettagli sulle ragioni concrete delle dimissioni, su quali siano queste “non riconciliabili differenze di opinione”. L’azienda non aggiunge nulla a quanto recita la lettera ufficiale e il comunicato stampa. Bisogna quindi affidarsi alle voci che arrivano dai corridoi del Cane a Sei Zampe.
Si parla di uno scontro ormai non più sostenibile con l’altro consigliere Andrea Gemma, potente avvocato palermitano molto vicino al ministro dell’Interno Angelino Alfano. Il suo nome (non è indagato) è comparso nell’inchiesta sulle Grandi Opere che ha portato alle dimissioni del ministro Maurizio Lupi perché difendeva l’impresa De Eccher che cercava di ottenere il rilascio del certificato antimafia proprio dal ministero di Alfano.
Zingales sarebbe stato in disaccordo anche su un punto fondamentale della strategia: invece che continuare a cercare di aumentare la produzione – per rimanere tra i grandi gruppi – sviluppando nuovi giacimenti dagli esiti incerti (quello kazako del Kashagan è un tormento che dura da anni) è meglio procedere con acquisizioni di altre società. L’Eni, al momento, è sotto inchiesta per corruzione internazionale proprio per il modo in cui ha conquistato un giacimento in Nigeria, con un’operazione che secondo l’accusa di Milano nascondeva tangenti sia per il governo nigeriano che per gli stessi top manager dell’Eni.
Da economista che insegna a Chicago, la patria intellettuale del liberismo più intransigente e da editorialista che si batte contro i conflitti di interesse e per la trasparenza, Zingales non avrà gradito l’ultima mossa dell’Eni, assumere il viceministro degli Esteri Lapo Pistelli come dirigente per seguire il Medio Oriente, cioè la zona in cui è stato più attivo dal governo. Presto si apriranno grandi opportunità in Iran, se cadrà l’embargo sul petrolio. Pistelli ha ottimi rapporti con il regime di Teheran.
L’intera architettura di nomine voluta da Renzi un anno fa sta franando. Licenziati Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini dalla Cassa depositi e prestiti quando mancava un anno alla scadenza, prossimi a essere cacciati anche i vertici delle Ferrovie dello Stato, Michele Elia e il presidente Marcello Messori; si è già dimesso, perché imputato per aggiotaggio, Salvatore Mancuso, anche lui vicino ad Alfano, nominato per errore all’Eni poi dirottato all’Enel. E ora se ne va Zingales.
Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 4/7/2015