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 2015  luglio 04 Sabato calendario

AMO LE STORIE DELLA FERRANTE PERÒ IL MIO LIBRO È PIACIUTO DI PIÙ

[Intervista a Nicola Lagioia] –
Nicola Lagioia ha vinto la sessantanovesima edizione del Premio Strega con un libro che racconta la storia di una famiglia corrotta di costruttori pugliesi, un po’ romanzo di formazione un po’ noir. Non c’è stata gara: “La ferocia” ha quasi doppiato Mauro Covacich (“La sposa”, Bompiani), riportando sul podio per il secondo anno consecutivo l’editore Einaudi. Il giorno dopo la vittoria, l’appuntamento per l’intervista è in un bar romano nel rione Monti, a pochi passi da casa dello scrittore. Lagioia, classe 1973, romanziere, editor per minimumfax e voce di Rai Radio 3, arriva con il computer in borsa e il cellulare in mano: «Non mi aspettavo che sarebbe successo tutto questo. Non faccio che rispondere a messaggi e telefonate. Avevo sottovalutato il potere dello Strega».
Non credeva che avrebbe vinto? Eppure era nei pronostici della vigilia…
«Mi crede se le dico che non lo immaginavo? Ho saputo della candidatura della Ferocia allo Strega solo qualche ora prima che la mia casa editrice la ufficializzasse. Lo scorso anno aveva vinto Einaudi, dunque non pensavo di bissare. Non ero il favorito. Non mi interessava vincere ma volevo far percorrere qualche chilometro in più al mio libro. Solo dopo il risultato della cinquina ho capito che potevo farcela».
Lei lavora in una piccola casa editrice e si è formato attorno allo “Straniero”, la rivista di Goffredo Fofi. Non ha sentito un po’ d’imbarazzo nel rappresentare in gara i poteri dei grandi gruppi editoriali?
«Non mi sono sentito in imbarazzo perché avevo il romanzo dalla mia parte. Il fatto che sia stato il più votato anche dai lettori forti delle librerie indipendenti, dimostra che il libro è piaciuto davvero. E poi Francesco Piccolo, anche lui autore Einaudi, non avrebbe votato per la Ferrante se il premio fosse stato pilotabile. Chi afferma questo, dovrebbe prendersi la responsabilità di dire che Umberto Eco, Stefano Rodotà o Carlo Azeglio Ciampi sono persone cooptabili. Il mio mantra rimane l’insegnamento di Fofi: “Fai quel che devi, succeda quel che può”. La mia scommessa risale a quattro anni fa, quando ho iniziato a scrivere il romanzo. Per tutto questo tempo non sono esistiti sabati, domeniche o vacanze. Mi sono fidato della letteratura».
Cosa pensa della candidatura di Elena Ferrante? Ha scontato il fatto di non avere protettori importanti alle spalle?
«In realtà questo è stato lo Strega dell’antipolemica. Mauro Covacich mi ha telefonato per complimentarsi, compiendo un bellissimo gesto di fair play. Con Elena Ferrante avevamo iniziato a scriverci prima che partissero le candidature poi lo scambio si è interrotto. Sono un suo lettore, ho letto tutta la quadrilogia dell’Amica geniale».
Roberto Saviano ha denunciato le “dinamiche dell’inciucio”. Tullio De Mauro ha invece difeso la giuria degli Amici della domenica. Da che parte sta?
«Non candiderei mai un libro a un premio letterario perché lo considero rappresentante di un potere contro un anti-potere o viceversa. Questo è un ragionamento da politici. Né lo candiderei in base al successo commerciale. Questo è un ragionamento da uomini-marketing. Da scrittore, per me conta solo il valore letterario. Se così non fosse, il Nobel lo avrebbero dato a Ken Follett e non ad Alice Munro. Amo i libri di Elena Ferrante, ma evidentemente in questo caso è piaciuto di più il mio libro».
Come vede l’imminente fusione di Mondadori e Rcs e la nascita di Mondazzoli?
«In termini generali mi preoccupano i posti di lavoro. Quando si fanno queste operazioni, chi ci rimette sono i lavoratori. Riguardo allo Strega, non sta agli editori immaginare possibili cambiamenti, ma alla Fondazione Bellonci. Non so quali potrebbero essere. Il voto palese mi pare una bella idea. Nella mia esperienza di Amico della domenica posso testimoniare però che ho sempre potuto scegliere chi votare senza particolari pressioni. Alle telefonate degli editori si può anche dire no».
La impaurisce il fatto di diventare un autore mainstream?
«Dovrò difendermi. La cosa importante per me è scrivere libri. La mia condizione ideale per farlo è staccare i telefoni, avere a fianco la mia gatta Lunedì e aspettare mia moglie che deve tornare dal lavoro. Ho bisogno di una quotidianità abbastanza protetta».
Pensa che la ferocia sia la condizione dei nostri tempi?
«Il mio romanzo è un’indagine sul male, sulla lotta darwiniana che domina l’esistenza e sul libero arbitrio, che è la capacità che ha l’uomo di reagire all’istinto di prevaricazione. Siamo permeabili al male, ma siamo anche capaci di scegliere altre vie. Nei momenti di crisi vengono però fuori gli impulsi peggiori. Quando ci sentiamo minacciati prevale l’istinto di sopravvivenza. La letteratura non serve a cambiare il mondo ma a farci riconoscere ancora come esseri umani».
Lo Strega è stata un’esperienza feroce?
«Per me è stata dolce».
Raffaella De Santis, la Repubblica 4/7/2015