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 2015  luglio 04 Sabato calendario

LE RETROMARCE DELL’FMI SU ATENE TRA AUSTERITÀ E SCONTI SUL DEBITO

ROMA.
Ormai parlare di scontro vuol dire fare un favore che i protagonisti del pasticcio greco non meritano. Più corretto parlare di mischione, un tutti contro tutti, compresi quelli della propria squadra. A cominciare dall’Fmi, impegnato contemporaneamente su due fronti contrapposti: la faccia più feroce di tutti sull’austerità di Atene, la mano tesa a Varoufakis sulla ristrutturazione del debito. A Washington, nel palazzo dell’Fmi, ci sono due agende diverse sulla Grecia e il vertice, in particolare Christine Lagarde, non riesce a tenerle insieme. D’altra parte, non è colpa sua: la schizofrenia dell’Fmi nasce dal peccato originale alla radice della lunga tragedia greca. Quando, nel 2010, Atene fa crac, il Fondo avrebbe dovuto reclamare, come da consuetudine, un taglio dei debiti, di fatto un parziale default, per tenere a galla la nave. Ma tre francesi — il direttore generale Dominique Strauss-Kahn, il presidente della Bce, Trichet, il presidente francese, Sarkozy, con l’attivo sostegno di Angela Merkel — bloccano questa strada. Il motivo? Le banche europee sono esposte per 134 miliardi di euro verso la Grecia e per due terzi si tratta di banche francesi e tedesche: oltre 50 miliardi per le prime, oltre 30 per le seconde (i crediti di banche italiane sono trascurabili). Un default greco costringerebbe Parigi e Berlino a correre in soccorso delle proprie banche. Si preferisce usare lo stesso i soldi dei contribuenti, ma sotto forma di prestiti alla Grecia, nella speranza che li restituisca.
E’ la trappola in cui ancora adesso sono tutti prigionieri. Il 90% delle centinaia di miliardi ingoiati da Atene in questi anni non sono andati alla Grecia, ma a pagare i prestiti ricevuti. Per rendere il debito “sostenibile”, tuttavia, cioè perché Atene abbia i soldi per pagare, alla fine, interessi e capitale, occorrono attivi di bilancio consistenti. Ecco la motivazione dell’austerità selvaggia imposta ai greci in questi anni. Troppo selvaggia. Al vertice del Fmi, i membri non occidentali, come Brasile e India, avevano avvertito Strauss-Kahn: se non si ristruttura il debito e si sgrava la Grecia degli interessi, la ricetta economica non funziona. Christine Lagarde combatte ancora quella battaglia. Deve dimostrare che il salvataggio della Grecia non è stata un azzardo. La direttiva al rappresentante Fmi nella troika, Poul Thomsen, è di massima intransigenza.
Thomsen esegue. Dal 2010, è il più duro nelle trattative con Atene. Solo che la ricetta economica non funziona. Lo ammette candidamente, già nel 2013, il capo economista dello stesso Fmi, Olivier Blanchard: ci siamo sbagliati, non avevamo calcolato che, con i tassi già a zero, l’austerità non sarebbe stata compensata dal credito più facile e gli effetti sull’economia sarebbero stati più duri. Infatti, l’economia greca crolla del 25%. Il peso del debito, rispetto ad una economia che si restringe sempre più velocemente, diventa schiacciante. L’Fmi si ritrova di fronte al dilemma. La Lagarde deve dimostrare ai suoi oppositori che non ci sono atteggiamenti di favore verso l’Europa e verso un paese relativamente ricco come la Grecia. Quindi, nessun arretramento sull’austerità e assoluta intransigenza sulle scadenze di pagamento, con conseguente morosità di Atene. Contemporaneamente, però, la logica economica si fa strada e l’Fmi torna a proporre un taglio dei debiti greci. Nel tentativo di trovare un compromesso, Blanchard, con lo strumento inusuale di un blog in rete, insiste sulle riforme, ma apre ufficialmente la strada ad una ristrutturazione del debito. E’ quanto chiede anche il ministro greco, Varoufakis. Ma anche Blanchard si scontra con il no assoluto del tedesco Schaeuble, convinto, come un maestro severo, che di ristrutturazione del debito si possa parlare solo “dopo che la Grecia avrà fatto i compiti”.
Adesso, l’Fmi ha messo alla fine i piedi nel piatto, chiarendo che, se la vittoria dei No farebbe volatilizzare i crediti dell’Europa e dell’Fmi, neanche la vittoria del Sì sarà gratis. In particolare, la Grecia non riparte se non si mette mano al debito: allungare a 40 anni le scadenze, tagliare del 30% il totale, con pagamenti zero nei primi 20 anni. Una ciambella su cui si è gettato al volo Tsipras, sottolineando che è quanto la Grecia chiede da tempo. Ma l’idea che un accordo potesse materializzarsi è stata smentita. «Le cifre Fmi sul debito greco? Obsolete» ha dichiarato subito il presidente dell’Eurogruppo, Dijsselbloem, smentendo platealmente i tecnici della Troika. E la Reuters rivela pressioni della Ue per evitare che il rapporto Fmi fosse pubblicato proprio ora. Nel tunnel buio del referendum non si riesce a tenere la luce accesa neanche per qualche minuto.
Maurizio Ricci, la Repubblica 4/7/2015