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 2015  luglio 04 Sabato calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL REFERENDUM GRECO


REPUBBLICA.IT
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Matteo Pucciarelli
@il_pucciarelli
«#Greferendum , anche in spiaggia divisi fra sì e no» repubblica.it/economia/2015/… via @repubblicait e con @ettorelivini
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Unione banche smentisce prelievo forzoso
La presidente dell’Associazione banche greche Katseli ha inoltre smentito nuovamente la notizia diffusa ieri sera dal Financial Times, che riferiva di piani per introdurre il prelievo forzoso del 30% dai depositi sopra gli 8mila euro
da Rosa Femia 16.41

Banche riaprirebbero martedì o mercoledì, con restrizioni
C’è "un’alta probabilità" che le banche greche possano riaprire martedì o al più tardi mercoledì, ma si proseguirà con il controllo dei capitali. È quanto ha detto la presidente dell’Associazione delle banche greche, Luka Katseli precisando che le restrizioni dipenderanno dalla liquidità e che questa dipenderà a sua volta dalle decisioni di lunedì della Bce dopo il referendum

MILANO - I correntisti greci devono davvero temere per i loro risparmi? Già bloccati dal congelamento d’emergenza dei depositi e con l’acqua alla gola perché la liquidità nelle banche elleniche durerà al massimo fino a lunedì, i risparmiatori vedono agitarsi lo spettro di un prelievo forzoso sui depositi. Un elemento di tensione in più nella calda vigilia del referendum sul piano proposto dai creditori internazionali ad Atene, intorno al quale si gioca buona parte del futuro del Paese e le cui conseguenze si allargheranno a tutta l’Unione. Una vigilia scaldata anche dalle parole del ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, che accusa i creditori internazionali della Grecia di "terrorismo". In un’intervista al Mundo, aggiunge: "Ciò che Bruxelles e la Troika vogliono oggi è che vinca il ’sì’ così che possano umiliare i Greci".

Il tam tam sui c/c è partito con l’indiscrezione del Financial Times, secondo il quale gli istituti greci si preparerebbero a piani di ’bail-in’, cioè di ristrutturazione con il coinvolgimento diretto di azionisti, creditori e correntisti. Secondo le fonti del quotidiano della City, "almeno una banca" starebbe pensando seriamente di tagliare del 30% il valore dei depositi sopra gli 8mila euro per ricapitalizzare le banche stesse; progetti che lo stesso Varoufakis ha bollato come "calunnie".


La posizione di Varoufakis. Il ministro delle Finanze ha scritto sul proprio account Twitter che l’articolo "è una calunnia che il direttore dell’associazione delle banche greche ha smentito questa mattina". "Farebbe parte di una completa ristrutturazione del settore bancario, una volta ripreso il programma di aiuti per la Grecia", ha detto una delle fonti citate dal Ft. Nel caso della crisi cipriota, alla ristrutturazione delle banche hanno partecipato i c/c sopra i 100mila euro, sotto i quali i depositi sono garantiti; la soglia è d’altra parte quella indicata dalla direttiva Ue che ha rinnovato il fallimento ordinato degli istituti di credito, e il cui recepimento è stato avviato anche in Italia proprio in questi giorni.


Renzi, gli italiani non devono temere. "L’Italia non ha paura di conseguenze specifiche sul nostro paese: 3 o 4 anni fa eravamo il problema insieme alla Grecia, eravamo compagni di sventura, adesso non è più così grazie alle riforme e alla ripartenza dell’economia. Noi siamo dalla parte di quelli che cercano di risolvere il problema, non siamo più il problema" ha detto il premier Matteo Renzi al Tg5. "Anche i denari messi da parte per la Grecia - ha spiegato - già sono computati nel conto del debito. Quindi, gli italiani non devono avere paura. Certo c’è una questione politica, la situazione è complessa: ma smettiamo di raccontare l’Italia come il malato d’Europa. Non siamo più il malato d’Europa".

Le banche greche. La maggior parte delle banche greche è chiusa da lunedì scorso, con i cittadini che possono prelevare al massimo 60 euro e alcuni sportelli dedicati ai pensionati, la cui fetta di denaro si limita a 120 euro ogni tre giorni. Lo stesso direttore dell’Associazione bancaria, Louka Katseli, ha detto che in cassa c’è solo 1 miliardo: basta fino a lunedì, poi bisognerà vedere se la Bce potrà aumentare o meno la liquidità d’emergenza che pompa verso il sistema finanziario greco. Un altro elemento che accende l’attesa per il referendum di domani: dalle 7 alle 19 i greci saranno chiamati alle urne per accettare o rifiutare le proposte di riforma avanzate dai creditori, in cambio di un nuovo piano di aiuti (il referendum: cosa si vota e cosa accadrà dopo). Anche in base all’esito, Mario Draghi capirà come trattare Atene nel board già in agenda per lunedì.

I sondaggi. L’incertezza è massima e i sondaggi parlano di un Paese spaccato, nonostante sembra in netta maggioranza la fetta di chi vuol restare nell’euro e da tutte le cancellerie europee sia stato fatto passare il messaggio che il voto di domenica è proprio una scelta tra permanenza nell’Eurozona e uscita. Anche le piazze ateniesi si sono spaccate nelle due grandi manifestazioni della vigilia; in quella per il ’no’ il premier, Alexis Tsipras, ha lanciato il suo ultimo appello invitando a votare "contro i diktat". In Italia, sono Cgil, Cisl e Uil a scrivere un appello comune per "far convergere tutti gli sforzi per rafforzare la permanenza della Grecia nell’Unione, consentendo una ristrutturazione del debito con tempi più flessibili così da consentire e ristabilirne un percorso di crescita sostenibile"

RAFFAELE RICCIARDI SU GOLDMAN SACHS
MILANO - Mancano ormai meno di 24 ore all’apertura delle urne (dalle 7 di domenica alle 19) per il referendum greco. Sul tavolo c’è l’accettazione o meno del piano proposto dai creditori internazionali in cambio di un nuovo programma di supporto finanziario ad Atene, che - secondo i calcoli del Fmi - dovrebbe impiegare almeno 50 miliardi nel prossimo triennio, senza contare la necessità di ristrutturare il debito. Dalla scelta degli elettori greci deriveranno le mosse della politica ellenica e a cascata degli interlocutori internazionali. In un quadro estremamente complesso, con i sondaggi che danno la popolazione greca spaccata a metà e gli appelli del premier Tsipras di votare "no" alle condizioni Ue, ecco come è vista la situazione con l’occhio dei mercati finanziari.

Innanzututto, il quesito. "Ai cittadini greci è domandato se deve essere accettata la bozza di accordo presentata da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale nell’Eurogruppo che si è tenuto il 25 giugno 2015, composto da due documenti: il primo documento è intitolato ’Riforme per il completamento dell’attuale programma e oltre’ e il secondo ’Analisi preliminare per la sostenibilità del debito’. I cittadini che respingono la proposta delle istituzioni NON APPROVATO/ NO; I cittadini che accettano la proposta delle istituzioni APPROVATO / SI". Il testo (I DOCUMENTI SU CUI VOTANO I GRECI) ha aperto a molte polemiche: innanzitutto i documenti della Commissione sono molto tecnici, poi la traduzione greca è stata in un primo momento sbagliata. Come ha notato Bloomberg, le prime schede fornite riportavano un ’no’ in meno rispetto alla versione originale. Peccato che fosse davanti alla locuzione "problemi di sostenibilità" del debito: le prime informazioni ricevute dai greci erano peggiorative rispetto alle idee di Bruxelles e paventavano problemi di sostenibilità che per i creditori non c’erano.

Chiarito questo inconveniente, secondo gli analisti di Goldman Sachs ci sono tre possibili esiti dalle urne di domenica.
UNA VITTORIA DEL SI’, seguita a stretto giro dalle dimissioni di Tsipras e Varoufakis con l’insediamento di un governo di unità nazionale. Sarebbe l’esito più ’market friendly’, cioè più felice per gli investitori: un governo tecnico, supportato da una base ampia in Parlamento, sarebbe ben visto dai creditori, che in fondo per molti osservatori hanno accompagnato Tsipras a questa soluzione. Con nuovi volti al tavolo delle trattative, si procederebbe più spediti a un accordo e all’approdo a nuovi finanziamenti internazionali.
UNA VITTORIA DEL SI’, ma con il governo attuale che resta in carica e che dà così sostanza a una maggiore instabilità. La perdita di fiducia in Tsipras porterebbe a negoziati farraginosi, con la conseguenza di mantenere la Grecia in una sospensione pericolosa (continuerebbe il blocco dei depositi). Queste estremizzazioni potrebbero comunque condurre a un rinnovamento politico in Grecia, con un conseguente riavvicinamento ai creditori, ma un deterioramento della situazione non sarebbe da escludere.
UNA VITTORIA DEL NO che dà ulteriore legittimazione politica al governo di Syriza ed è vista come fumo negli occhi dai mercati. "Non crediamo che questo esito implichi una Grexit definitiva", dicono gli analisti. In prima battuta, si confermerebbe lo status quo: i creditori internazionali non farebbero partire un nuovo programma d’aiuti (secondo il Fmi ne servono 50 miliardi da qui al 2018, mentre il debito dovrebbe essere sforbiciato di 53 miliardi per esser sostenibile). Varoufakis parla di un "accordo pronto, anche in caso di vittoria del no", ma per gli esperti dei mercati la conseguenza diretta sarebbe l’impossibilità della Bce (che si riunisce lunedì) di confermare la liquidità d’emergenza del programma Ela per le banche elleniche. Ovviamente l’incertezza e la tensione a questo punto sarebbero alle stelle, anche per la popolazione (i bancomat rischierebbero seriamente di restare a secco) e - di nuovo per Goldman Sachs - una minaccia concreta di Grexit porterebbe a un rovesciamento politico del governo ad opera degli stessi greci.

GRAFICA: i possibili scenari politici e finanziari

Torna la dracma svalutata
Anche se gli analisti di Goldman escludono la rottura dell’euro, non manca chi ha provato a far di conto nell’ipotesi di scuola della Grexit. Varoufakis, con la Bce che non finanzia più le banche e i fondi europei bloccati, con una una vittoria schiacciante del ‘no’ e la rottura definitiva delle trattative potrebbe dover ritirare fuori le vecchie matrici e stampare moneta parallela. Il Fmi calcola la svalutazione possibile della Dracma intorno al 50%, altri parlano del 30-40%. In ogni caso, visto che la Grecia non vive di export le sue aziende non avrebbero il beneficio competitivo di una moneta debole. "L’apparato produttivo greco è stato smantellato dagli ultimi anni di austerità", commenta Riccardo Realfonzo che ha pubblicato per il Levy Institute di New York uno studio con Angelantonio Viscione sulle esperienze storiche di crisi valutarie seguite da forti svalutazioni, come termine di raffronto per valutare la rottura dell’Eurozona. "Per questo una svalutazione della dracma avrebbe effetti positivi limitati sull’export, anche se gioverebbe a servizi come il turismo". Gravi le possibili conseguenze sul mercato del lavoro, per un Paese che già ha la disoccupazione vicina al 26%. "L’esperienza dice che la spirale di svalutazione e inflazione, in un Paese meno ricco, danneggia i salari reali nell’immediato e abbatte anche per diversi anni successivi la quota di salari sul Pil (la parte di Pil che va nei salari, ndr). Ciò significa che anche laddove si tornasse a vedere una ripresa economica questa non si ribalterebbe nel breve periodo sui salari e sull’occupazione". Per l’agenzia di rating S&P, il Pil greco (che ha perso il 27% in un quinquennio di austerity) scenderebbe di un altro 20%, contro impatti limitati allo ‘zero virgola’ per le maggiori economie Ue.

Impatti sui bond
Ancora GS prova a pronosticare cosa accadrebbe in caso di vittoria dei “no” sui mercati. Gli spread dei Paesi periferici potrebbero allargarsi a 200-250 punti base, con il rendimento dei Btp italiani decennali intorno al 3%. S&P aveva paventato maggiori costi di finanziamento per l’Italia per 11 miliardi nel biennio 2015-2016, ma in caso di Grexit vera e propria e con un rendimento dei decennali schizzato al 3,5%. Goldman ritiene che – oltre la soglia di spread di 200-250 punti – la Bce entrerebbe in campo massicciamente.

Se – viceversa – vincessero i “sì” gli spread periferici scenderebbero in area 120-110 punti base (tra i 30 e 50 meno che oggi): gli investitori anticiperebbero il cambiamento politico, scontando gli aggiustamenti fiscali in arrivo e il profilarsi di un intervento sul debito. In ogni caso, la volatilità resterebbe un ingrediente preponderante sui mercati.

Impatto sulle azioni
Nello scenario peggiore per i mercati, la vittoria del no, in base all’impatto dell’ampliarsi degli spread e del premio sui rischi azionari, la stima migliore di Goldman è per un calo dell’Eurostoxx 50 di circa 10 punti percentuali. La banca d’affari vede comunque pronta la Bce ad intervenire, per di più ogni correzione al ribasso (in particolare sulle Piazze di Italia, Spagna e Germania) sarebbe interpretata come una buona occasione d’acquisto. Un voto favorevole al piano dei creditori, con la successiva distensione dei rapporti tra Atene e le autorità, porterebbe i corsi azionari a risalire del 10% verso i massimi di aprile.

PEZZO DI REP SULLE MANIFESTAZIONI DI VEERDI 3 LUGLIO
ATENE - Migliaia di persone sono scese in piazza ad Atene per partecipare alle due manifestazioni contrapposte una a favore del ’No’ e una a favore del ’Sì’ per il referendum di domenica, in cui i greci sono chiamati a esprimersi sulla proposta di accordo presentata dai creditori internazionali. Il fronte del ’No’ si è dato appuntamento a piazza Syntagma, per ascoltare il discorso del premier Alexis Tsipras, mentre i manifestanti che difendono il ’Sì’ hanno scelto lo stadio Kallimarmaro , che ospitò le prime olimpiadi moderne. Circa 40.000 manifestanti si sono più o meno equamente divisi tra i due cortei.
"Oggi è la festa della democrazia, che ritorna in Europa. Tutti gli occhi dell’Europa sono sul popolo greco. Festeggiamo la vittoria della democrazia ha detto - Tsipras nel suo discorso - . Oggi festeggiamo e cantiamo per superare la paura e i ricatti. Oggi tutta l’Europa guarda voi, il popolo greco. Abbiamo una grande occasione: far ritornare la democrazia in Europa". Tsipras ha dichiarato che i greci sono determinati a riprendere i problemi nelle loro mani" e dicono ’No’ agli ultimatum. "Domenica non decidiamo semplicemente di stare in Europa, decidiamo di stare in Europa con dignità. La ragione è dalla nostra parte, vinceremo", ha aggiunto.
Poco prima dell’inizio dei cortei scontri sono scoppiati fra la polizia e gruppi di manifestanti. Gli agenti hanno lanciato granate stordenti. Secondo alcuni testimoni, un gruppo di circa 300 persone con il volto coperto dai passamontagna ha cercato di forzare un cordone di poliziotti posto all’inizio di via Ermou, che si immette nella centralissima piazza Syntagma dove è incominciata poco dopo la manifestazione a favore dei "No" al referendum. La polizia ha bloccato gli aggressori esplodendo candelotti lacrimogeni.
Grecia, scontri tra polizia e manifestanti in piazza Syntagma
Negli ultimi sondaggi si fa sempre più stretto il margine di differenza tra l’una e l’altra fazione. Un sondaggio citato dal quotidiano Avgi parla del "no" in vantaggio al 43%, ma il "sì" incollato al 42,5%. Gli indecisi sono ancora moltissimi.

ZATTERIN SULLA STAMPA DI OGGI

La cronaca di un fallimento
“Siryza ha distrutto la ripresa”
L’Ue prevedeva in Grecia un incremento del Pil del 2,5% Poi è cambiato il governo e l’economia è finita nel baratro



Nei primi giorni di gennaio, quando il governo Tsipras era una possibilità e nessuno si aspettava che la Grecia potesse non pagare i debiti, i tecnici della Commissione Ue erano certi che a fine anno la crescita dell’economia ellenica sarebbe arrivata al 2,5%. Un dato portentoso. Sarebbe stato il secondo esercizio in attivo dopo anni di crisi. Invece no.
Si è votato, ha vinto la coalizione di Syriza, è arrivato il premier scravattato con l’arguto ministro amante dello show, sono cominciate le difficoltose trattative per il rinnovo del programma di salvataggio. Il cielo sopra il Partenone si è rabbuiato nonostante le trionfali, e anche comprensibili, promesse di cambiamento.
Così alla direzione Ecofin dell’esecutivo di Bruxelles hanno preso le forbici, visto che nel nuovo contesto la precedente stima non teneva più. Hanno rifatto i conti e nelle previsioni diffuse a inizio maggio il dato del Pil è precipitato a un +0,5% che a molti è parso più che altro un calcolo di incoraggiamento.
Il motore dell’economia greca si è ingolfato da quando c’è Tsipras, soprattutto per colpa dell’inerzia dell’azione di riforme e per l’incertezza legata alla trattativa senza fine con la Grecia.
L’ufficio studi della Deutsche Bank è stato fra i primi a indicare che la prossima fermata del Pil sarà in zona rossa: -0,3% nei dodici mesi in corso, ha previsto l’istituto tedesco, ancora ottimista sul 2016 (+1,3%). Standard & Poor’s non è stata altrettanto tenera: secondo l’agenzia di rating, l’assenza d’un sostegno finanziario europeo e le briglie che frenano l’attività bancaria genereranno una crescita negativa del 3% in Grecia.
Si parte dal dato Eurostat secondo cui il prodotto è sceso dello 0,2% nei primo trimestre del 2015. Rispetto allo scorso anno i salari sono calati ulteriormente senza però produrre un effetto degno di nota sulla disoccupazione che, in aprile, era al 25,6% della popolazione attiva.
«C’è un sostanziale indebolimento dei progressi sulle riforme strutturali», ha rilevato a fine giugno il Fmi, correggendo chi aveva immaginato che il tasso di crescita più basso dall’ingresso nell’Ue (1981) sarebbe diventato uno dei migliori dei Ventotto. Ora il terremoto legato al referendum gonfierà la sfiducia annidata fra gli investitori internazionali che si terranno alla larga dal Paese per un po’. Gli effetti su un sistema economicamente debole sono facilmente immaginabili.
Aggiunge una buona dose di preoccupazione, secondo quanto scrivono Daniel Gros e Cinzia Alcidi del Ceps di Bruxelles, il fatto che «la Grecia è un raro caso di piccola economia quasi-chiusa». La depressione di quanti potrebbero metterci denari privati di tasca propria indebolisce il settore finanziario e le costruzioni. L’export pesa per il 30% del Pil, ma è per massima parte rappresentato dal settore petrolifero (tutto trading) e da quello marittimo, comparti che «hanno poche braccia locali e nessun legame con l’economia locale».
Scuri anche i dati sul turismo che vale il 16% del Pil. Nell’ultima settimana di giugno l’annullamento dei biglietti aerei è stato in media del 7,2% e solo il 30 giugno è stata cancellato un volo su quattro. E’ il metro dell’incertezza, la misura paradossale di un’economia che più resta ferma e più va indietro.
«In sei mesi la Grecia ha perso tre punti di Pil di crescita», stima un’analisi economica della Commissione. Il conto dei posti di lavoro si farà in autunno. Un buon bookmaker difficilmente quoterebbe bassa la possibilità di un miglioramento.
[m. zat.]



Il risultato delle urne
già alle otto di sera



Il risultato del referendum di domenica 5 luglio dovrebbe essere già noto attorno alle 20 (ora italiana), cioè due ore dopo la chiusura delle urne. A partire dalle 20, ora italiana (le 21 in Grecia), dovrebbero essere disponibili le proiezioni dopo lo spoglio del 20% circa dei voti. Ma secondo gli ultimi sondaggi il risultato sarà sul filo di lana, il che potrebbe portare a forti scostamenti fra le proiezioni e i dati effettivi. Le urne resteranno aperte dalle 7 di mattina
alle 19 (dalle 6 alle 18 in Italia). In Grecia il quorum, cioè la partecipazione
minima dei votanti perché un referendum sia valido, è del 40%.

Il risultato del referendum di domenica 5 luglio dovrebbe essere già noto attorno alle 20 (ora italiana), cioè due ore dopo la chiusura delle urne. A partire dalle 20, ora italiana (le 21 in Grecia), dovrebbero essere disponibili le proiezioni dopo lo spoglio del 20% circa dei voti. Ma secondo gli ultimi sondaggi il risultato sarà sul filo di lana, il che potrebbe portare a forti scostamenti fra le proiezioni e i dati effettivi. Le urne resteranno aperte dalle 7 di mattina
alle 19 (dalle 6 alle 18 in Italia). In Grecia il quorum, cioè la partecipazione
minima dei votanti perché un referendum sia valido, è del 40%.


ALTRO ZATTERIN SULLA STAMPA

Fra Atene e Bruxelles nuove scintille
L’Ue: il vostro futuro sarà durissimo
Varoufakis prevede l’intesa post-voto. La Commissione: così drogate l’opinione pubblica Il governo chiede il taglio del debito. Per Juncker “negoziato difficile anche se vince il sì”

Marco Zatterin

I mercati hanno chiuso la settimana quasi spaventati davanti all’incertezza, un po’ come tutti. Quando riapriranno, lunedì, i giochi referendari in Grecia saranno fatti e si potrà cominciare a capire cosa attende l’Europa. Nell’attesa va in onda il balletto delle dichiarazioni che preparano la prossima disfida, esercizio in cui spicca la rivalità rovente fra il greco dell’Economia, Yanis Varoufakis, e l’olandese dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem. Il primo ha affermato che «un’intesa è imminente», riferendosi al patto con cui il governo Tsipras deve conquistarsi i miliardi per non fallire. Il secondo, come prevedibile, gli ha ricordato che «non siamo vicini a una soluzione». E se non fosse abbastanza, lo ha avvertito che «il futuro del vostro paese sarà estremamente duro».
Un solo miliardo in cassa
Il dato concreto è che, secondo il numero uno dell’associazione bancaria greca Louka Katseli, nelle casse degli istituti di credito è rimasto un miliardino. La Bce risulta avere già in calendario una riunione d’emergenza lunedì per decidere cosa fare, ma è chiaro a tutti che senza l’intervento di Francoforte le banche resteranno a secco alla riapertura, se ci sarà. I sostenitori del referendum e del «no» non sembrano badarci. Danno per scontato che Draghi - che hanno descritto come il crudele affamatore dei greci - debba comunque evitare il peggio.
Di lì comincerà il «dopo voto», dalla decisione di tenere in vita il pianeta credito nella repubblica gestita dal governo Tsipras. Si riunirà anche il fondo salvastati Esm, altro soggetto che potrebbe chiudere il rubinetto. In settimana probabile Eurogruppo, se non Eurosummit. Il ministro tedesco dell’Economia, Wolfgang Schaeuble, è pessimista. Comunque vada, pensa, i colloqui dopo il referendum saranno «molto difficili». Berlino non è stata esente da errori nell’influenzare la trattativa.
Però bisogna dar atto ai negoziatori europei che l’atteggiamento del governo Tsipras avrebbe fatto perdere la pazienza a chiunque. «Non ha mai parlato di un referendum», ha detto il capo della Commissione, Jean-Claude Juncker, uno che ha fatto molto per tenere vivo il dialogo. «Il “no” indebolirà Atene drammaticamente», aggiunge. Nessuno si fida più dei greci.
Il premier di Syriza è tornato a sottolineare che il referendum, domani, non è pro o contro l’Europa. Ha assicurato che non si piegherà agli ultimatum, ha invocato il taglio del 30% del debito e una moratoria ventennale per gli interessi. «Sta drogando l’opinione pubblica», ha commentato stizzita una fonte europea. «Un imprevedibile manipolatore», ha aggiunto il capo dell’Europarlamento, Martin Schulz.
Lo scenario più semplice
La vittoria del sì è lo scenario più semplice. Si riprende a confrontarsi con la speranza di chiudere entro il 20 luglio, giorno in cui scade un prestito da 3,5 miliardi con la Bce. Tsipras potrebbe essere uscito di scena, ma non è detto. Dovrebbe comunque tenere presente che il popolo gli ha detto di andare avanti. Con il no la strada sarebbe più in salita. Un’Europa scornata dopo essere stata presa in giro per mesi potrebbe non fare complimenti. Il caso diventerebbe ancora più politico e l’estate potrebbe farsi lunga, oltre che calda. «Per fare un ponte occorre un luogo per costruirlo su ambedue le rive», ha detto il premier lussemburghese Xavier Bettel, da tre giorni presidente di turno Ue. A suo modo, era un invito a parlarsi e a fare la pace.

TONIA MASTROBUONI SUL CROLLO DEL MERCATO IMMOBILIARE


C’è un isola dell’Egeo con centinaia di case in vendita e nessun agente immobiliare che risponde al telefono. A Paros, alle quattro del pomeriggio, gli uffici immobiliari attorno al porto di Paroikìa, nonostante l’orario continuato annunciato dai cartelli, sono sbarrati. I telefoni di altre cinque agenzie squillano invano. Al sesto tentativo, risponde una voce squillante. «Sì, i prezzi sono ancora alti», ammette Gaelle. Un eufemismo. Sessanta metri quadri in un punto bruttino di Naoussa, incastrati tra un supermercato e una pompa di benzina, e a 400 metri dal mare non sono proprio il massimo. Ma il prezzo è 250 mila euro. E i proprietari non scendono di un centesimo. «Intanto, l’affittano per l’estate. Se possono, la vendono, altrimenti ci riprovano l’anno prossimo». Anomalie dell’isola? Nient’affatto. Se nessuno risponde al telefono, non è per pigrizia. E’ per rassegnazione. In tutta la Grecia, secondo alcune stime, ci sono tra 200 e 250 mila immobili in vendita, su una popolazione di undici milioni di abitanti. Un’enormità. Paros è una metonimia: il mercato immobiliare dell’intera Grecia è paralizzato. E nasconde una bomba ad orologeria di cui nessuno parla.
Il tratto che va da Naoussa, il villaggio a nord dell’isola, alle spiagge di Piso Livadi, è impressionante. Quarantasette cartelli lungo appena dieci chilometri di costa. Terreni, case, negozi «vendesi», in un tratto di strada con poche tracce di urbanizzazione. L’aria è profumata, sui numerosi terreni incolti, capre e asini vagano a caccia dei rari punti di ombra. Tassos è il proprietario di un’agenzia immobiliare famosa, vende case da venticinque anni. Anche lui risponde al telefono, ma dopo due tentativi. Preferirebbe incontrarci di persona, è nervoso. Poi decide di fidarsi e si sfoga: «i prezzi qui sono crollati del 60%. L’autunno scorso, finalmente, qualcosa ha ricominciato a muoversi, poi sono arrivate le elezioni e siamo riprecipitati nel caos. Avevo già dei contratti firmati: gli acquirenti hanno deciso di stracciarli. Non si fidavano più». E ora? «Ovvio che adesso nessuno compri più. Aspettano tutti di vedere se usciamo dall’euro per comprare le case in dracme, a prezzi stracciati».
Il dramma immobiliare greco è antico e affonda le radici nelle Olimpiadi del 2004; il boom successivo ha creato una bolla, che non è ancora esplosa del tutto. Per fortuna. Altrimenti, la già tragica situazione greca rischierebbe di diventare insostenibile. I numeri parlano chiaro. Secondo la Banca centrale greca, dopo aumenti vertiginosi, i prezzi delle case sono cominciati a calare con lo scoppiare del dramma del debito, nel 2009. Nel triennio 2011-2014, del 5,5, dell’11,7, del 10,9 e del 7,5%. Con percentuali molto simili nei principali centri urbani - Atene e Salonicco - e nel resto del Paese. Le compravendite sono precipitate del 28 e del 38% nei soli 2011-12. I permessi per costruire nuove case sono collassati del 28,4% nel 2011, del 36,9% nel 2012, del 27,7% nel 2013 e del 18,1% l’anno scorso. Gli investimenti in costruzioni si sono contratti del 14,2, del 29,6, del 16,1 e del 20,6% tra il 2011 e il 2014.
Ma nonostante la Grande Depressione immobiliare, le case costano ancora tanto. Secondo l’agenzia di rating Fitch, troppo. L’Associazione degli agenti immobiliari greci calcola che un appartamento costava in media 181 mila euro nel 2009; nel 2014 è sceso a 110 mila. Una caduta del 38%. Ebbene: secondo Fitch gli immobili dovrebbero scendere del 45% rispetto al 2008. Altrimenti il mercato rischia di non riprendersi mai più. D’altra parte, molte famiglie finirebbero sul lastrico, se accadesse. La quota di mutui sul Pil è schizzata dal 26,2% del 2006 al 39% del Pil nel 2015. I mutui inesigibili sono passati dal 3,4% del Pil nel 2006 al 28,6% nel 2015. Se i prezzi precipitassero ancora, milioni di greci si ritroverebbero con una casa che varrebbe la metà rispetto a cinque o sei anni fa. E tanti rischierebbero di dover continuare a pagare il mutuo anche dopo aver venduto la casa. Un incubo.

(REUTERS) - In vendita Il cartello vendesi appare su decine di immobili lungo tutte le strade dell’isola


LA COPPIA DI NEW YORK RIMASTA SENZA SOLDI

E la coppia in luna di miele a New York
si ritrova senza denaro e albergo

Francesco Semprini

Per Valasia Limnioti e Konstantinos Patronis, giovane coppia greca, il tanto atteso viaggio di nozze rimarrà certo indimenticabile, ma non per emozioni positive, visto che i due sposini si sono ritrovati “homeless a New York”. Colpa della crisi ellenica, quella che vede il loro Paese in uno stato di “default tecnico” e a rischio uscita da Eurolandia. Ebbene, Valasia e Konstantinos si sono ritrovati con le carte di credito bloccate e i bancomat congelati a causa della serrata delle banche elleniche. «Eravamo affamati, ho pianto per due giorni - racconta all’Ap Limnioti - Ci sentivamo come homeless a New York». Loro che la Grande Mela l’aveva sognata per un anno intero mettendo da parte ogni euro per il viaggio della loro vita, “coast-to-coast” in Usa e giù nei Caraibi in crociera, tre settimane in tutto. Dopo il matrimonio, lo scorso 6 giugno, a Volos, in Grecia appunto, poi la partenza, in tasca i biglietti aerei, le prenotazioni degli alberghi e pochi contanti forti di quelle due carte che la loro banca gli aveva emesso poco prima, una di credito Visa e una bancomat. «A casa di solito paghiamo in cash, sono più graditi, ma ci avevano consigliato di usare queste in Usa». Tutto è filato liscio sino a New York, quando il loro albergo di Midtown ha chiesto loro di pagare un extra di 45 dollari, a quel punto il disastro. Le carte a quel punto sono diventate inutilizzabili, e il loro contante è finito poco dopo. In loro aiuto sono pero’ accorse due chiese ortodosse greche del Queens, la St. Demetrios Greek Orthodox Church e la St. Irene Chrysovalantou, entrambe nel quartiere greco di Astoria. “Questa è la chiesa di Cristo e noi aiutiamo sempre le persone in difficoltà”, ha detto loro il reverendo Vasilios Louros, che ha prelevato dal conto corrente della chiesa 350 dollari. In loro aiuto, con una somma di denaro, è accorso anche un connazionale, un giornalista greco residente a New York, e McDonald’s, che con i dollar menù ha permesso alla coppia di poter mangiare sino a ieri, giorno della ripartenza. Pronti a riabbracciarli a casa ci saranno i loro familiari, ma anche la disoccupazione di lei, tanti sacrifici - qualunque sia l’esito del referendum - e la resa dei conti con la loro banca.

PEZZO DI STAMATTINA DI LIVINI SU REP
DAL NOSTRO INVIATO ETTORE LIVINI
ATENE. Una smorfia di disperazione. Due occhi pieni di lacrime. Le mani abbandonate sui pantaloni color carta da zucchero con la riga fresca di ferro da stiro. A terra, gettati quasi con rabbia, un’agendina azzurra e quello che pare un libretto previdenziale. Benvenuti, finalmente, nel cuore della crisi greca. Lontani mille miglia dall’iper-uranio degli Eurogruppo, dalle bizze di Wolfgang Schaeuble e Yanis Varoufakis, dai diagrammi gelidi sul rapporto debito/Pil. Le parole e i numeri, in certi casi, non servono. Basta un’immagine. E quella del pianto disperato dell’anonimo pensionato fotografato ieri accasciato a terra di fronte a un’agenzia della banca nazionale a Salonicco, racconta da sola il lato B della crisi della Grecia.
Nessuno, ieri sera, sapeva ancora come si chiamasse. Pare non averglielo chiesto il fotografo dell’Afp che ha ripreso la scena. Non lo sanno nemmeno il poliziotto che gli si è avvicinato tendendogli la mano e che – aiutato da un distino signore in giacca e cravatta – ha provato (a giudicare dalle immagini senza troppo successo) a consolarlo per poi aiutarlo a rialzarsi. Nessuno delle decine di compagni di sventura accalcati davanti alla banca per ritirare i loro soldi si è mosso, temendo di perdere il posto in fila e dover ricominciare dall’inizio. La certezza è solo una: mentre a Bruxelles si discute su quante decine di miliardi servono per salvare Atene e, soprattutto, chi deve pagarli, qui la tragedia del paese è una questione di 120 euro. La “dose” settimanale di liquidità che un pensionato può ritirare allo sportello. Questione - per molti - di vita o di morte, come dimostrano le commoventi lacrime di Salonicco che in un secondo, viaggiando via web, hanno raccontato il volto quotidiano del dramma del paese. Le code interminabili, gli svenimenti e gli spintoni per conquistarsi un buon numerino d’ingresso - e ora persino i pianti a dirotto - sono diventati negli ultimi giorni cronaca quotidiana davanti alle banche elleniche. La prova provata che quando un paese si avvita alla fine pagano sempre i più deboli. In fila davanti all’agenzia Salonicco (come accade ogni mattina davanti a mille filiali in tutto il paese) ci sono le vittime collaterali dell’austerity. Decine di migliaia di pensionati che non hanno mai imparato a usare il Bancomat, sono allergici ai Pin e sono rimasti tagliati fuori quando il governo ha deciso di chiudere gli istituti di credito per una settimana causa crisi. Garantendo alle famiglie un prelievo massimo di 60 euro al giorno dai bancomat.
«Per me è stato un disastro – racconta Eva Sordeli, ex insegnate di matematica a Neo Psichico, in coda davanti all’Alpha Bank di Akadimias, ad Atene – Avevo in casa 85 euro che mi sono dovuta far bastare per quattro giorni. Ho svuotato il freezer. Ridotto le crocchette al gatto. Poi, per fortuna, hanno riaperto le banche per noi». In mano sventola come un trofeo i suoi 120 euro. «Io per fortuna vivo sola – dice - La mia amica Katherina stava peggio di me: lei di euro ne aveva in casa 242, ma con quei soldi doveva camparci lei, i due figli disoccupati e una nuora».
Il 49% delle famiglie elleniche – ha calcolato la Confindustria nazionale – ha come unica entrata mensile un assegno previdenziale. Ogni euro, insomma, è un tesoro. Anche perché per far quadrare i conti di casa con 713 euro (il valore della pensione media) bisogna fare i salti mortali. «A volte viene da piangere anche a me – ammette Costas Andreadis, 81 anni, in coda alla Piraeus del Panepistemiou -Specie se penso che per la Troika devo essere ancora io che prendo 683 euro al mese a salvare la Grecia tagliandomi per la quinta volta in cinque anni le entrate mensili. Nel 2009 prendevo 820 euro!».
Le lacrime di Salonicco rischiano di essere solo l’antipasto del dramma di Atene in caso di Grexit. Le casse delle banche sono vuote. «Abbiamo i soldi per arrivare a lunedì. Oltre quella data potremo riempire i bancomat solo con l’aiuto della Bce», hanno annunciato ieri i vertici del settore creditizio. Paypal, Amazon e ITunes hanno smesso ieri di accettare transazioni dal paese. Le transazioni in Bitcoin sull’unica piattaforma del paese, un sotterfugio per riuscire a parcheggiare liquidità in euro, sono aumentate del 400%.
Il barometro, insomma, segna tempesta. Domani c’è il voto, lunedì – in teoria – da queste parti potrebbe cadere il mondo. Ci saranno Eurogruppi straordinari, vertici ai massimi livelli, ultimatum, tiri alla fune negoziali, potrebbe persino cambiare il governo ellenico, come sognano molti falchi del nord.
Basterà sintonizzarsi sulle televisioni di tutto il pianeta, lunedì mattina, per seguire minuto per minuto la cronaca del (potenziale) default. Sul palcoscenico della tragedia greca riprenderanno il loro ruolo di primattori Angela Merkel, Alexis Tsipras, Jean Claude Juncker & C. L’ignoto pensionato di Salonicco con la sua bella camicia mezze maniche tornerà con le altre comparse della crisi ellenica dietro le quinte. Lontano dalle telecamere, ma con tanti buoni motivi, purtroppo, per piangere ancora.

FUBINI SU CDS
Atene L’errore alla fine è stato corretto, ma decine di migliaia di greci decideranno del futuro del loro Paese e dell’Europa senza saperlo. Nella traduzione dall’inglese del testo di nove pagine sul quale otto milioni e mezzo di elettori sono chiamati a votare nel referendum, era finito fuori posto un «no»: nella prima versione, pubblicata lunedì sul sito del ministero dell’Interno, si leggeva di una stima dei creditori che portava (in certi scenari) all’insostenibilità del debito. Peccato che il testo originale spiegasse l’opposto: «Non ci sono problemi di sostenibilità».
La correzione è arrivata sul sito del ministero solo al terzo giorno di una campagna di sei, dopo che l’agenzia Bloomberg aveva notato l’incongruenza. Ma chi aveva già scaricato il testo europeo sul quale domani si gioca il futuro dell’euro, forse non lo scoprirà mai. Il governo di Alexis Tsipras non ha emesso comunicati per attirare l’attenzione sul nuovo testo. Non ha spiegato la differenza fra le due versioni, di cui la seconda (quella vera) è più favorevole ad Atene.
Dettagli del genere sarebbero insignificanti, se la posta non fosse altissima per centinaia di milioni di europei e l’esito non potesse essere deciso da poche migliaia di greci. Gli ultimi sondaggi danno una differenza fra i 40 mila e i 100 mila voti fra il «No» e il «Sì», con il primo o il secondo che si alternano in testa. Quei sondaggi lasciano presagire che, chiunque vinca, partiranno presto scontri a tutti i livelli, dai tribunali alla piazza, sulla legalità del risultato: i passi falsi, le strane novità, le pratiche clientelari e le minacce sono così diffuse, che il dopo rischia di lasciare una scia di veleno in più in nazione spezzata.
I greci entreranno nei seggi domani in condizioni che in molte parti del mondo non sarebbero regolari. Non c’entra solo l’osservazione del Consiglio d’Europa, per il quale il referendum non è in linea con gli standard internazionali, visto il poco tempo concesso agli elettori per farsi un’idea e la complessità del testo sul quale devono dare un sì o un no.
C’è almeno un problema in più: gran parte degli elettori non ha accesso alla «proposta dei creditori» (nel frattempo ritirata) su cui si vota. Il ministero dell’Interno non ne ha distribuito copie e il governo non l’ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale all’annuncio della consultazione. Ai seggi il testo non sarà affisso. Le nove pagine in greco sono pubblicate solo sul sito del ministero, in un Paese che — secondo le stime della Commissione europea — resta agli ultimi posti per la diffusione di Internet con la Bulgaria, Cipro e la Romania. Metà della popolazione non si è mai affacciata in Rete, e basta l’uno per cento di quella metà per deci dere l’esito del referendum.
Non sorprende se molti pensino di poter votare «No» eppure restare nell’euro, perché la posta in gioco non è mai stata chiarita. Né stupisce che riemergono pratiche clientelari ben note anche in Italia: un governo senza risorse rende gratuiti i trasporti pubblici per la settimana del voto, al mercoledì riassume 230 dipendenti della metropolitana e al giovedì 1.293 bidelli delle scuole. Neanche il fronte del «Sì» peraltro è estraneo alle stesse tecniche: si moltiplicano i casi di imprenditori che invitano i dipendenti a votare per l’accordo se vogliono vedere la prossima busta paga.
C’è poi il problema dei 200 mila elettori all’estero, un gruppo decisivo ma tagliato fuori: pochi di loro sembrano essere riusciti a organizzarsi per rientrare a votare in così pochi giorni, ma il governo non permetterà loro di depositare la scheda nelle ambasciate come accade alle elezioni europee. Niente tuttavia risulta strano come la scelta, nuova per la Grecia, di far mandare tutte le schede votate direttamente dai 19.160 seggi del Paese al ministero dell’Interno di Atene. Non più alle sedi regionali vicine, come si sempre fatto. A differenza che nel referendum sulla Repubblica nel 1974, gli spazi da barrare del «Sì» e del «No» stanno sulla stessa scheda, non su due distinte, con il «No» favorito dal governo piazzato sopra. Il rischio è che gli scrutatori annullino più facilmente i voti sgraditi. Del resto il comitato del «Sì» avrà un rappresentante per seggio, il «No» tre: uno di Syriza, uno di Alba Dorata (neonazisti) e uno di Anel (estrema destra).
Proprio il leader di Anel Panos Kammenos, ministro della Difesa, giovedì ha notato che la sicurezza interna al Paese è garantita: lo è dalle Forze armate, ha osservato. Sarebbe incostituzionale anche solo dirlo, in un Paese che ha subito una giunta militare. Ma Tsipras, al suo fianco, non ha eccepito. E se sembra un paradosso che il futuro dell’Europa si decida così, forse è perché lo è.

E se la Grecia tirasse fuori dal cassetto il «greuro»? Lunedì prossimo, sia che vinca il «sì», sia che vinca il «no» al referendum, Atene potrebbe cercare di risolvere la crisi di liquidità creando una nuova moneta agganciata in qualche modo alla divisa comune europea. Ci sono differenti ipotesi sulla fattibilità o semplicemente l’opportunità di introdurre una doppia moneta nel Paese, asfissiato dalla mancanza di liquidità e impossibilitato a reperire nuovi finanziamenti sui mercati internazionali. Per alcuni, il «greuro» potrebbe partire già zoppo, ovvero svalutato del 40% rispetto all’euro ufficiale. Per altri, potrebbe mantenere la parità 1 a 1 rispetto alla moneta comune. In definitiva, il «greuro» agirebbe come una cambiale, un «pagherò» emesso dal Tesoro di Atene. D’altro canto, non sarebbe certo una novità: la California del governatore Schwarzenegger emise dei simili «pagherò» nel 2009, nel bel mezzo di una crisi di bilancio.

LORENZO SALVIA SU CDS
DAL NOSTRO INVIATO ATENE «Guardi, io penso che la maggior parte dei greci non si renda conto di cosa può succedere se vince il no. Purtroppo si preparano a votare con la pancia, non con la testa. E questo perché la politica parla alla pancia e ha dimenticato la testa». Camicia bianca, passo veloce, cuffiette dell’iPhone nelle orecchie, Giorgios Kaminis ha quell’aria super efficiente che devono aver scelto i sindaci di tutto il mondo. Sono le quattro del pomeriggio e proprio adesso sta entrando nel portone del suo ufficio a Kotzia, una piazza piena di piccioni come quelle italiane di una volta e di poliziotti che chiacchierano sotto gli alberi. Lì a sinistra c’è lo sportello della Piraeus Bank, il solito bancomat, la solita fila. Difficile votare con la testa quando ogni giorno perdi mezzora per ritirare 60 euro, non crede? «You too», anche lei, risponde il sindaco, che è nato a New York, ha vissuto in mezzo mondo e quanto a inglese se la gioca con Varoufakis. «Qui tutti pensano che le banche sono state chiuse dall’Unione europea. E invece no, è stato il governo greco a chiuderle dopo aver detto no a Bruxelles. E dopo aver preso una decisione, quella del referendum, che ha dei rischi inimmaginabili».
Eletto sindaco nel 2010 con il sostegno del Pasok, il partito socialista pro Europa, confermato l’anno scorso battendo al fotofinish il candidato di Syriza, Kaminis è uno dei leader del fronte del sì per il voto di domenica. L’altro giorno in piazza ha detto che una vittoria del governo significherebbe non solo tornare alla dracma ma anche a lasciare l’Unione europea. Per poi aggiungere: «Io non voglio che i miei figli facciano parte del Nord Africa». Non ha esagerato, sindaco? «No, non ho esagerato» dice lui, mentre comincia a salire questo scalone con il tappeto rosso anche un po’ buio e fa capire alle guardie del corpo che adesso può bastare. «La Ue ha fatto i suoi errori ma è un treno al quale dobbiamo tenerci agganciati. Ok? See you». E allunga il passo. Professore di diritto costituzionale, per anni difensore civico nazionale eletto all’unanimità dal Parlamento, quattro lingue, Kaminis sembra proprio tagliato per il ruolo del grande mediatore.
Il suo piano non è neanche troppo segreto. Lo ha studiato con un collega, il sindaco di Salonicco Yiannis Boutaris. La premessa necessaria è che il risultato del referendum veda il sì e il no vicini fra loro. In quel caso, sostiene Kaminis, il negoziato con Bruxelles dovrebbe essere affidato non più al governo ma a un comitato con tutti (o quasi) i partiti che siedono in Parlamento. Una sorta di mini costituente che porterebbe al commissariamento di Tsipras e Varoufakis. Ci sta lavorando, sindaco? Lui non risponde. Ormai sta salendo le scale, ha ripreso a parlare al telefono. Dicono però che gli incontri importanti li faccia solo di persona. Nella stessa piazza c’è un palazzo dove sull’euro e sul referendum la pensano proprio come lui. È la sede della Banca nazionale greca. Quando dici le coincidenze .
Lorenzo Salvia
@lorenzosalvia

DANILO TAINO SUL CORRIERE
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO Thomas Mayer è stato capo economista di Deutsche Bank e oggi è direttore dell’istituto di ricerca Flossbach von Storch, a Colonia. È uno degli economisti più apprezzati in Germania: di recente ha discusso le sue analisi e proposte con il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis. In questa intervista sulla crisi ad Atene, propone la Soluzione Montenegro nel caso al referendum di domani vincano i No e sostiene che sarebbe meglio per tutti che la Grecia si sganciasse dall’eurozona.
Cosa succede se al referendum vince il No?
«Non credo che la Grecia potrebbe fare ripartire i negoziati con l’Eurogruppo. Rimarrebbe da sola. Non potrebbe essere espulsa dall’eurozona e dalla Ue, perché non c’è il meccanismo per farlo. Ma non avrebbe più accesso all’Eurosistema, cioè la Bce non potrebbe più sostenere le sue banche, nemmeno con la liquidità d’emergenza».
Sarebbe costretta a tornare alla dracma.
«Non necessariamente. Ha un’alternativa migliore. Il Modello Montenegro, il quale non fa parte né della Ue né dell’eurozona però usa l’euro, come moneta estera che ha corso legale. Anche la Grecia potrebbe mantenere l’euro senza avere accesso all’Eurosistema delle banche centrali».
Senza soldi, dunque?
«Nei mesi scorsi, le banche greche hanno ricevuto liquidità di emergenza dalla Bce per 90 miliardi. La Banca centrale greca, controllata dal governo, potrebbe dichiarare un default su quelli. Le banche greche hanno crediti incagliati per 80-90 miliardi, quindi se ne libererebbero e tornerebbero a funzionare a favore dell’economia. Sarebbe una novità».
Fuori dall’eurozona ma con l’euro.
«Certo. Tutto dovrebbe funzionare bene, però: i greci dovrebbero smettere di non pagare le tasse e i debiti che hanno con le banche, altrimenti non funzionerebbe. E lo Stato dovrebbe mantenere un surplus primario (prima degli interessi sul debito, ndr). Altrimenti sarebbe il caos e Atene dovrebbe emettere una moneta parallela, per uso interno».
Ma resterebbero gli altri debiti, con l’Europa e con il Fondo monetario.
«Anche quelli si possono non ripagare. Nessuno manderebbe i carri armati».
Le pare politicamente possibile?
«Dopo la vittoria del No, Alexis Tsipras si presenta in televisione e dice che la Grecia ce la può fare da sola, che non si deve avere paura. Ci vuole carisma politico, per convincere i cittadini. Ma il vantaggio sarebbe che così si concentrerebbero le menti, non si aspetterebbero denari da fuori. Come dimostrano la Germania dell’Est e l’Italia del Sud, oltre che la Grecia, i capitali che arrivano da fuori hanno effetti negativi».
Se invece vince il Sì?
«Si crea una situazione difficile per Tsipras. Non so se potrebbe rimanere primo ministro. Ci sarebbero nuove elezioni? Siamo in luglio, difficilmente si terrebbero prima di settembre. Poi, si dovrebbe aprire un negoziato per un terzo programma di aiuti, ma i soldi non arriverebbero prima dell’autunno inoltrato al più presto. Intanto, i politici europei non potrebbero fare andare a fondo la Grecia: costringerebbero la Bce a dare altra liquidità di emergenza al Paese, 40-50 miliardi. Inoltre: un nuovo programma, vista la situazione di oggi, funzionerebbe? Se fallisse, tornerebbe Tsipras. Anche dal punto di vista dei creditori, un problema enorme».
Tanto che molti, forse anche Angela Merkel, sperano che vincano i No.
«Probabilmente molti preferiscono il No: almeno non prenderebbero la colpa, davanti agli elettori, di avere perso un sacco di soldi. Soldi che perderanno in ogni caso».
Se fosse greco cosa voterebbe?
«Confesso che voterei No. Siamo di fronte a una scelta cattiva e a una peggiore. Si tratta di stabilire qual è la cattiva e votarla. Dal punto di vista dei greci, credo che andare da soli sarebbe la scelta meno peggio».
Questa crisi può fare deragliare l’euro?
«In qualunque modo vada, la natura dell’euro è già cambiata: la gente lo vede diversamente. Mi preoccupa cosa succederebbe se arrivasse un forte rallentamento economico. Con la disoccupazione e i debiti pubblici già così alti, non so come si potrebbero gestire le tensioni nell’area euro».
@danilotaino


STEFANO MONTEFIORI SUL CDS
ARIGI « Se anche in Grecia dovesse vincere il no, non credo a un contagio finanziario. Il sistema di sicurezza messo a punto negli ultimi tre anni è ben congegnato e proteggerà gli altri Paesi europei. Il problema è più ampio, geopolitico: fuori dall’Europa, e guidata da Syriza, la Grecia potrebbe diventare una repubblica balcanica, un Venezuela senza petrolio nel cuore del Mediterraneo, nel momento in cui il futuro è già incerto in Siria e anche in Turchia». Pascal Lamy, 68 anni, socialista, è un grande europeo: direttore di gabinetto di Jacques Delors (1985-1994), commissario al Commercio (1999-2004), direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (dal 2005 al 2013), presidente emerito dell’Institut Jacques Delors.
Cosa succederà domani?
«Se vince il no, il segnale del popolo greco sarà ”preferiamo la miseria fuori dall’Europa piuttosto che l’austerità”. Se vince il sì come sembrano suggerire i sondaggi, i greci diranno ”accettiamo la miseria dentro l’Europa, per ricostruire il nostro Paese”. Perché questo è il punto, la Grecia è un Paese a pezzi, che va ricostruito dalle fondamenta».
Si parla troppo delle finanze pubbliche?
«Sono solo la punta dell’iceberg, il sintomo di qualcosa di più grave e vasto. La Grecia è crollata, sul piano economico e su quello politico. La campagna di Syriza per il no è estrema, il periodo è rivoluzionario, le istituzioni poco credibili. Il punto è come ricostruire la Grecia: se all’interno dell’Unione, tutti assieme, o se lo faranno loro fuori dall’Europa».
Se vince il no sarà la fine dei negoziati?
«Potrebbe essere un’ennesima tappa nel processo negoziale, ma con esiti sconosciuti. Se l’Unione Europea si sarà dimostrata incapace di gestire al suo interno un Paese che rappresenta appena il 2% della sua economia, sarà minata la sua legittimità storica».
E se vince il sì?
«Almeno verrà scartata l’ipotesi di un’uscita disordinata, nel caos, con problemi geopolitici per tutti».
Che cosa vogliono Tsipras e Syriza?
«È difficile capirlo, nelle partite a poker i giocatori nascondono i loro obiettivi. Ma è possibile che non lo sappiano neanche loro. Tenuto conto della matrice ideologica, che è molto comunista anni Cinquanta, potrebbero volere costruire una repubblica tra i Balcani e l’America Latina esasperando il loro antagonismo. Oppure più semplicemente stanno giocando al rialzo».
Pensa che se vincesse il no la Grecia potrebbe in futuro uscire dalla Nato e entrare nell’orbita della Russia?
«C’è stato qualche segnale al vertice di San Pietroburgo, anche se Putin non si è sbilanciato troppo, lo stato dell’economia russa non glielo consente. Ma è vero che se Syriza pensa davvero di costruire una repubblica antagonista, questo mi sembra poco compatibile con la permanenza in un’alleanza come la Nato».
Chi è responsabile per questa situazione?
«La classe dirigente greca al 70%, quella europea al 30. I politici greci hanno speso i 200 miliardi di fondi strutturali europei, invece che per modernizzare il Paese, per sostenere i consumi. Ma niente si produce in Grecia, è tutto importato, tranne il turismo. Svalutare passando dall’euro alla dracma non servirebbe assolutamente a niente: le esportazioni sono a zero».
E le responsabilità europee?
«Avere chiuso gli occhi, non avere applicato le regole del fondo di coesione. C’ero anche io nella Commissione: siccome Chirac e Schroeder avevano appena violato il patto di stabilità, non si voleva dare l’impressione di usare due pesi e due misure. Poi, quando la Commissione ha proposto di cambiare gli strumenti statistici per valutare quale fosse lo stato reale dell’economia greca, il Consiglio ha detto no. Tipica reazione degli Stati nazionali, che quando si comincia a guardare nelle tasche degli altri hanno paura che si finirà con il guardare anche nelle proprie».
I 320 miliardi di debito greco saranno restituiti?
«No, in ogni caso, lo sanno tutti. È impossibile. Per adesso non lo si dice chiaramente per non fare arrabbiare quelli che i loro debiti li hanno pagati, come irlandesi e portoghesi».
Francia e Germania sono apparse divise fino all’ultimo, la prima favorevole a un accordo anche dopo l’annuncio del referendum.
«C’entra un po’ il carattere nazionale: non a caso in tedesco debito si dice Schuld , ossia colpa. Ma poi è anche un gioco delle parti, una dinamica da poliziotto buono e poliziotto cattivo».
Paradossalmente, questa crisi drammatica è il momento per rilanciare l’integrazione europea?
«È quel che sta già accadendo. In tre anni, tra meccanismi di solidarietà, unione bancaria, interventi della Bce, gli Stati hanno ceduto sovranità come non mai. Il documento dei cinque presidenti e la lettera Macron-Gabriel vanno in questo senso. Ci vorrebbe però un salto di qualità da parte dei leader europei, uno sforzo ideale, una proposta meno contabile e più legata alla cultura, intesa come civiltà comune».