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 2015  luglio 04 Sabato calendario

MPS, L’ALLEANZA E L’IPOTESI «SPEZZATINO»

Che fine farà il Montepaschi? Il futuro assetto della più antica banca italiana si deciderà nei prossimi mesi. L’aumento di capitale da 3 miliardi appena concluso ha permesso alla banca di chiudere definitivamente il capitolo aiuti di Stato, con il rimborso dell’ultima tranche di Monti bond da un miliardo. Ma la ritrovata indipendenza dallo Stato, che pure avrà una quota del 4% del capitale, non comporta anche un ritorno alla totale autonomia dell’istituto. La vigilanza bancaria europea della Bce è stata chiara: Mps ha l’obbligo di allearsi con un altro gruppo bancario. Senza aggregazione, l’istituto non ha oggi la forza per garantire una redditività adeguata agli azionisti. E difficilmente la situazione migliorerà in prospettiva, soprattutto tenendo conto dei nuovi «paletti» che Bce chiederà alle banche entro fine anno sulla base dello «Srep», che tiene conto della governance ma anche della sostenibilità del modello di business.
La drastica cura del nuovo vertice guidato dal presidente Alessandro Profumo e dall’a.d. Fabrizio Viola ha evitato che la banca precipitasse nel baratro. E ha rimesso in carreggiata l’istituto dal punto di vista commerciale. Tornando addirittura a rivedere l’utile nel primo trimestre dell’anno. Ma l’enorme stock di crediti deteriorati accumulato negli anni, che a marzo 2015 ha raggiunto i 24 miliardi su un totale impieghi di 123 miliardi, continua a rendere complessa la prospettiva della banca.
Anche senza il diktat della Vigilanza Bce, dunque, il management e i soci di riferimento sarebbero obbligati a percorrere la via dell’aggregazione. Tanto che già da 8 mesi, subito dopo l’esito degli stress test, la banca ha dato incarico a Ubs e Citigroup di sondare il mercato (non solo italiano) per un’aggregazione. Ora che il tentativo è diventato un obbligo stabilito dalla Vigilanza, si vedrà se qualche grande gruppo europeo si farà avanti. Il «pre-marketing» non è incoraggiante, visto che nessuna banca europea si è fatta avanti concretamente. In Italia, solo Ubi Banca ha preso in considerazione il dossier. Ma le condizioni per un’integrazione tra i due gruppi si sono arenate ben presto sul versante delle valutazioni e difficilmente il dossier andrà in porto. Dall’estero qualche interesse c’è stato ma finora non si è concretizzato in avances formali. Anche perchè a complicare il lavoro degli advisor di Mps è subentrata la riforma delle banche Popolari. La loro trasformazione in società per azioni le renderà contendibili e quindi potenzialmente preda di gruppi esteri interessati all’Italia. In più occasioni in passato sul mercato sono circolati rumor su un interesse a crescere in Italia di Credit Agricole o Bnp-Paribas, le due grandi banche francesi già presenti in forze sul territorio. Ma difficlmente si decideranno al grande passo su Mps, preferendo attendere gli sviluppi di una Bpm che, una volta trasformata in Spa, sarebbe l’anello mancante per completare il loro disegno italiano.
In assenza di alleanze, la prospettiva di Mps non potrà essere in autonomia. E sullo sfondo non può essere esclusa l’ipotesi del break up, ovvero della vendita a pezzi del «Grande Mps» per tornare al vecchio Monte Paschi, basato in Toscana e con presenza limitata nelle altre grandi aree. Sarebbero vendute le filiali venete della ex AntonVeneta, così come quelle della ex Banca Agricola Mantovana. E probabilmente, se ci fossero compratori, anche buona parte del network distributivo al Sud Italia (in parte ereditato dall’acquisizione della Banca del Salento). Resterebbe così un Monte Paschi dimezzato rispetto all’attuale attivo di bilancio ma più solido e forse in grado di resistere in autonomia per altri anni. Molte banche d’affari, ovviamente, da tempo lavorano a questo scenario. Che potrebbe diventare il piano A se nessuna grande banca estera si farà avanti per un’aggregazione nei prossimi mesi.
Alessandro Graziani