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 2015  luglio 04 Sabato calendario

NIBALI, LA SFIDA PIU’ DURA. È UN TOUR PER QUATTRO CAVALIERI

I cavalieri sono quattro e l’apocalisse non c’entra. Il Tour comincia con una cronometro cittadina. C’è un caldo innaturale per queste latitudini, ecco perché affermare che farà caldo da subito è piuttosto banale. Nibali, l’ultimo vincitore, si ritrova contro due degli avversari disarcionati l’anno scorso, Froome e Contador, che abbandonarono la corsa in seguito a cadute.
A completare il quartetto dei candidati alla vittoria finale c’è il più giovane, indecifrabile Quintana. Ha venticinque anni ma ne dimostra molti di più. Ha una voce arrochita da vecchio fumatore. È alto come Maradona ma molto più leggero. È arrivato secondo dietro a Froome nel 2013, l’anno dopo ha vinto il Giro, quest’anno ha puntato sul Tour. E comunque ha provveduto a smorzare un incidente diplomatico. Al Dauphiné Nibali aveva detto di lui: «Non si sa mai dov’è». Va a sapere come la frase è stata riportata a Quintana, che aveva risposto: «Io mi alleno sulle strade di casa mia e non ci vedo nulla strano. Non ho bisogno di andare sui vulcani». Il riferimento è a Nibali, a Contador, ai tanti corridori che scelgono di allenarsi sul Teide. Commento esterno: se certe abitudini (leggi doping) sono dure a morire, i sospetti non moriranno mai. E, comunque, è inutile farsi nemici prima ancora di partire. Nel festival di aria fritta che sono state le conferenza stampa della vigilia, Nibali ha detto: «Mi scuso con Quintana e con la Colombia se si sono sentiti offesi. La mia frase è stata interpretata male. A una domanda su Quintana al Tour ho risposto che non si sa mai dov’è perché non lo vedevo dal Romandia». Mezz’ora dopo Quintana ha porto il ramoscello d’olivo. «È stato solo un malinteso». Però ha tenuto a precisare che nel 2015 in Colombia è già stato controllato cinque volte. Che poi sulle strade di casa (Combita, provincia di Boyaca) trovi più o meno le condizioni del Teide è naturale. Vive a 2.750 metri, ossia 110 metri più in alto della cima del Galibier.
Dei tre sfidanti, Contador può risentire delle fatiche del Giro, ma è una possibilità, non una certezza, e Froome dice di pensare alla rivincita dal giorno in cui è stato costretto al ritiro, ed era appena il quinto giorno di corsa. Favoriti e assistenti hanno la stessa certezza: sarà un Tour molto duro, molto nervoso, che non perdonerà nemmeno gli sbagli piccoli. Non avendo risparmiato in passato critiche a chi disegna il percorso del Tour, devo ammettere che, magari sull’esempio del Giro, si cerca di togliere monotonia alla corsa, spesso condannata in avvio a sette-otto tappe per velocisti. Già nella prima tappa in linea il nemico sarà il vento, sul mare del Nord. Al terzo giorno si arriva, come la Freccia Vallone, in cima al muro di Huy (1300 metri col 9,6 per cento di pendenza). Questo arrivo da classica sarà il termometro del giorno dopo, con sette tratti di pavé per complessivi 13 km. È fondamentale, oltre a saper mantenere l’equilibrio (e qui Nibali è di molto il più abile) avere vicina l’ammiraglia in caso di foratura o guasto meccanico. E l’ordine di marcia delle ammiraglie lo dà la classifica generale [...].
Delle montagne si parlerà più avanti, ma una cosa, strategicamente, è già chiarissima. Mentre gli altri tre cavalieri possono correre relativamente in difesa, limitandosi ad evitare le trappole e i danni nell’ordine dei secondi (pavé a parte), Nibali è il solo che deve inventarsi qualcosa o molto nella prima settimana. Perché in salita non è superiore agli altri tre. Il diretto interessato e il suo preparatore Slongo garantiscono che il grado di forma, il peso (64 kg) sono uguali a un anno fa. Sulle Dolomiti, simulando in moto il ritmo più alto dei tre cavalieri, Slongo ha torchiato Nibali sul lavoro di scatto e recupero, portandogli il cuore sotto sforzo fino a 192 battiti al minuti. Risultati soddisfacenti. Vincenzo dovrebbe avere eliminato le ruggini dovute a un inverno vissuto nel modo sbagliato: troppi inviti accettati, troppe rappresentanze. Come l’anno scorso, si è sbloccato vincendo il campionato italiano per la seconda volta di fila e ora tenta l’impresa con la maglia gialla. Fin qui, degli italiani ci è riuscito solo Bottecchia.
Non basta l’assenza dalla corsa tricolore a giustificare la rottura col fedele gregario Vanotti, dopo anni di convivenza agonistica e psicologica. «Restava qualche dubbio e chi ha fatto la squadra ha preferito schierare Gruzdev». Ora, va bene che Gruzdev è l’unico kazako al Tour in una squadra ben finanziata dai kazaki, mentre Vanotti è di Bergamo. Ma è impensabile che si formi una squadra per il Tour senza che un capitano dica la sua. Ho chiamato Vanotti ma deve assorbire la mazzata e preferisce non parlare.
A me, comunque, nel festival dell’aria fritta Nibali è parso un po’ teso, scarsissimo di sorrisi, come se la maglia gialla da difendere gli pesasse più di una maglia da conquistare. A suo favore il fatto che, dei quattro cavalieri, è per carattere il più portato all’improvvisazione. In un ciclismo sempre più computerizzato, ecco un’arma non trascurabile.