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 2015  giugno 30 Martedì calendario

CONTAGIO IN ITALIA, TIMORE DA 60 MILIARDI

L’ultimo promemoria è arrivato ieri dal tonfo di Piazza Affari: -5,17 per cento, 30 miliardi di capitalizzazione bruciati e lo spread tra i nostri titoli di Stato a dieci anni e gli omologhi Bund tedeschi che ha sfondato quota 190, per poi attestarsi a 159 punti. Assist indiretto al fronte italiano del sì al referendum greco: il default di Atene ci costerebbe parecchio – la sintesi del concetto – meglio per noi che i greci scelgano il dialogo. Nel silenzio assordante del governo sull’affaire Grecia, ieri è toccato a Pier Carlo Padoan smentire gli allarmi, ribadendo il concetto degli ultimi giorni: “La speculazione non ci danneggerà”. Mentre le cancellerie europee riuniscono i gabinetti in emergenza, ieri Matteo Renzi ha rotto il silenzio con un messaggio su Twitter: “Il referendum greco non sarà un derby tra la Commissione europea contro Tsipras, ma euro contro dracma. Questa è la scelta”. “Gli effetti sui mercati di un default greco sarebbero limitati”, va ripetendo più pragmaticamente il suo ministro dell’Economia. Cosa c’è di vero?

Quei soldi di prestiti in fumo, ma già scontati
Premessa: l’esposizione delle banche italiane è zero. Dal 2009 il piano di aiuti della Troika ha scaricato sugli Stati i debiti di Atene verso le banche straniere (soprattutto tedesche e francesi). Quelle italiane hanno così riavuto indietro i 6,8 miliardi investiti in titoli greci. Discorso diverso per lo Stato: qui l’esposizione vale poco più di 60 miliardi, erogati attraverso diversi canali. La fetta più grossa è composta dai 10 miliardi di prestiti bilaterali del 2010, a questi vanno sommati i 27 erogati attraverso il Fondo Salva Stati Efsf. Poi c’è la Bce: attraverso il Securities market programme, Francoforte ha acquistato un buona dose di titoli di stato greci. Se Atene non li rimborsa l’Italia sarà chiamata a ricapitalizzare la Bce per la quota di capitale che ne detiene: altri 4,8 miliardi. Infine, la liquidità di emergenza alle banche greche garantita da Francoforte attraverso l’Emergency liquidity assistance fa lievitare i costi della Grexit, perché aumentano i crediti dell’Eurosistema nei confronti della banca centrale greca (che andrebbero in parte persi) attraverso i Target 2, il sistema di pagamenti dell’Eurozona, che transitano attraverso le banche centrali. Per gli analisti di Barclays parliamo di circa 20 miliardi. A questi vanno aggiunti i 14 che l’Italia ha garantito all’Esm, il Meccanismo europeo di stabilità chiamato a sostituire l’Efsf. Il conto finale supera così i 60 miliardi. Cifre molto teoriche visto che un default non è mai generalizzato. “L’esposizione netta è di 35,9 miliardi di euro”, ha specificato in una nota Padoan. Peraltro l’ammanco non crea nessun problema alle casse dello Stato: niente buco nelle entrate fiscali (il deficit 2015 resta lo stesso) ma un impatto minimo sul debito. Peraltro smentito ieri da Padoan.

Interessi più alti e i piani del governo
È il capitolo più controverso. Nel novembre 2011 toccò quota 575 (record di sempre). Ieri ha sfiorato i 150 punti, e il rischio di una sua impennata manderebbe a monte i piani del governo. Nel Documento di economia e finanza di aprile, infatti, i tecnici di Padoan hanno stimato 6,4 miliardi di risparmi derivanti dalla “flessione della spesa per interessi” nel solo 2015. Architrave di questa scommessa è che lo spread non superi quota 100. Quando a marzo era a 84 punti, l’economista Francesco Daveri stimò risparmi per 4 miliardi, cifre che verrebbero polverizzate dagli andamenti attuali. Ogni incremento di 100 punti, infatti, vale tra i 3-4 miliardi di maggiori spese per interessi. “E per il futuro il conto sarebbe più alto perché impatterebbe sui titoli che ogni anno il Tesoro mette all’asta”. Fatto 100 l’incremento, in sei anni il completo rifinanziamento del debito ci costerebbe 21 miliardi. Secondo Goldman Sachs, in caso di Grexit lo spread tornerebbe tra 350 e 400 punti: 5 miliardi. Nonostante questo, nel Def il governo ha previsto di coprire parte della spendig review del 2016 con la “minor spesa per interessi”. “Un elemento ciclico, mentre i tagli di spesa sono strutturali”, ha attaccato Lorenzo Codogno, ex capo economista del Tesoro, dimessosi a fine 2014 in polemica con queste le leggerezze contabili del Tesoro.

Niente sconti sulle promesse le riforme andranno fatte
È il vero costo di cui preoccuparsi. Saltata la Grecia, l’Ue chiederà cambiali concrete per concedere la flessibilità sui conti. Il governo ha ottenuto quest’anno di dover attuare un aggiustamento strutturale dello 0,1%, invece dello 0,5 previsto dal Fiscal compact: 1,5 miliardi anzichè 8. “Gli sconti gli avremmo solo a riforme fatte, e non solo promesse”, spiega Daveri. Un bel problema per il premier.