Fabrizio Guglielmini, Corriere della Sera 26/6/2015, 26 giugno 2015
LA MANCIA, OBBLIGATORIA IN AMERICA, INCLUSA IN BRASILE, GRADITA IN THAILANDIA, RIFIUTATA IN GIAPPONE. UN GIRO INTORNO AL MONDO PER CAPIRE DOVE VA PAGATA E DOVE È MEGLIO EVITARE. PER NON OFFENDERE NESSUNO
Fra i tanti «termometri» sociali, la mancia (il tipping anglosassone) è un codice non scritto che cambia non solo da Paese a Paese ma anche nella percezione delle diverse generazioni di italiani che si apprestano a partire per le vacanze. Negli Stati Uniti e in Canada dove le regole sono chiare e nette, la mancia (dal 15 al 20%) in hotel e soprattutto al ristorante è d’obbligo e quindi è raro che si generino situazioni imbarazzanti; sui bagagli la regola è da 1 a 5 dollari a seconda della categoria dell’albergo che vi ospita. Il classismo che relegava la figura del cameriere a un ruolo subalterno nei Paesi occidentali di norma è sparito ma capita spesso che in Africa o in Oriente (anche in buonafede) si dia una mancia sproporzionata rispetto alla valuta locale o, al contrario, troppo esigua e quindi offensiva. Ancora diverso il caso degli under 30 che ovunque si trovino considerano il rito della mancia antiquato e non «politically correct» a meno che (come negli Usa) sia praticamente imposto.
E poi c’è Oriente e Oriente: in Giappone il no è assoluto su tutta la linea; il personale che riceve la mancia (o la scambia per un resto dimenticato) si affretta a restituirla al turista (perché non deve essere retribuito con extra) mentre in Thailandia o Vietnam è molto gradita sia negli hotel che al ristorante. Anche l’Africa non è tutta uguale: a Dakar la maggior parte dei taxi gialloneri è dotata di tassametro e la mancia viene richiesta dall’autista senegalese quando si negozia un forfait a giornata. In Sudafrica, dove invece il tipping è di stampo anglosassone, si lascia un 10% per cento al ristorante mentre il taxi si arrotonda per eccesso. Ovviamente le regole per i locali sono diverse, ma questo vale a ogni latitudine.
Il «Tip Expert» globale
Nell’intrico di regole dettate dalla consuetudine è facile perdersi – soprattutto se si è al primo viaggio extraeuropeo (il vecchio continente è abbastanza omogeno con un 10% medio) – ma Michael Lynn, professore di amministrazione alla Cornell University si è dato come mission la fenomenologia del tipping, materia di centinaia di saggi iperspecialistici con titoli a volte surreali: «Effetti della postura del personale sulla mancia» fino a «I credenti non sono generosi con le mance?». Lynn è giunto a una conclusione su scala globale: «Se non esistono regole inequivocabili la mancia è una delle variabili più imprevedibili, associata a comportamenti e pregiudizi soggettivi e alla scolarizzazione del turista». Non è raro il caso, nelle ricerche della Cornell, che l’elemento razziale (cameriere bianco, cliente nero o viceversa) possa influire a causa di stereotipi introiettati a livello inconscio. Più che lo slancio empatico, sostiene Lynn, conta il sentirsi a posto con la propria coscienza. Per il sociologo Sabino Acquaviva la tendenza ad abbandonare la mancia è il risultato di un mutamento culturale: «La mancia è espressione di una società fatta di classi subalterne; la percezione dei clienti rispetto ai camerieri è totalmente cambiata, inoltre gli under 30 rifiutano la mancia come idea legata a un rapporto servitore-padrone».
Che cosa fare
In Argentina la mancia (propina) non è necessaria ma il turismo si è omologato su un extra del 10% sul conto; in Brasile il servizio può essere già incluso, se non lo è a discrezione del cliente, fino al 15%. La Cina fa capitolo a sé: prima delle Olimpiadi 2008 la mancia veniva riconosciuta solo alle guide. Oggi è diffusa ovunque nelle metropoli, ad eccezione dei tassisti. Agli antipodi, gli australiani seguono una regola lineare: essendo i camerieri e il personale turistico stipendiati in modo adeguato, le mance non sono incoraggiate. Un’ulteriore prova che la nostra idea di mancia è messa alla prova non appena scendiamo dall’aereo.