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 2015  giugno 26 Venerdì calendario

RENÉ REDZEPI, IL CUOCO CHE HA CONVINTO IL MONDO A MANGIARE LICHENI, MUSCHIO, AGHI DI PINO E INSETTI: «QUANDO ABBIAMO COMINCIATO, SIAMO STATI INNOVATIVI E SPERICOLATI. ABBIAMO INSERITO IL NO SMOKING, ABOLITO LE TOVAGLIETTE, E SOPRATTUTTO DETTO ADDIO AL LUSSO. TUTTO IL DENARO VA INVESTITO NELLA RICERCA E NEL REPERIMENTO DEL MIGLIOR CIBO POSSIBILE». IL SUO È STATO IL RISTORANTE MIGLIORE DELLA TERRA MA ORA È DIVENTATO IL NUMERO TRE. MA NON GLI IMPORTA PIÙ DI TANTO. ORA SPIEGA LA SUA FILOSOFIA IN UN LIBRO, “A WORK IN PROGRESS”

«Chiedimi se sono felice...». René Redzepi lancia questa domanda e socchiude appena gli occhi, come a farsi colpire meglio dal sole benevolo di un pomeriggio d’estate. Nel giardino del Bulgari Hotel, dove lo chef, fino alla notte dell’1 giugno primo al mondo, se ne sta seduto, sembra di essere in aperta campagna. Lui, dopo poche ore, terrà una delle ambite cene a numero chiuso della rassegna Epicurea, organizzata dal Bulgari con la supervisione del critico gastronomico Andrea Petrini. Ma nell’attesa, con la sua brigata al completo, si gode questo sprazzo di pseudo-vacanza milanese. E chiacchiera. Sorride. Racconta e si racconta.
Dal primo al terzo posto
Ecco, se dopo la proclamazione della classifica mondiale dei «50 Best restaurants» ci si poteva aspettare un Redzepi immusonito e preda della malinconia, la realtà sembra essere davvero un’altra. Davanti a me ho un uomo gentile («Stai bene qui? Sposto la sedia così non hai il sole negli occhi?»), allegro, con una visione della vita ben precisa. Attenzione, sa bene che qualcosa è cambiato. Ma ha una sua filosofia: «È bello essere primi, sia chiaro. E se potessi scegliere, che dubbio c’è, vorrei essere ancora il primo ristorante al mondo. Ma subito dopo l’annuncio mi sono reso conto che le cose per me sono cambiate. Quando gli anni scorsi perdemmo il primo posto, ne subimmo le conseguenze anche a livello di prenotazioni: calarono subito. Invece questa volta è stato diverso. Nessuna cancellazione. Si vede che le persone hanno capito che siamo davvero bravi. E solidi. Non una moda passeggera». E pazienza se per anni ha subito anche l’ostracismo dei puristi (primo fra tutti Gualtiero Marchesi: «Cosa resterà della sua cucina? Nulla»). Gli stessi che la sera della sua discesa dal podio hanno tirato un sospiro di sollievo pensando alla fine dell’egemonia degli insetti e dei grilli nelle tavole gourmet di mezzo mondo. Tu guardi questo cuoco e vedi una persona soddisfatta. Capita raramente. La ragione forse è il suo passato, solido e faticoso: «Se mi guardo indietro, a 22 anni fa quando ho cominciato a compiere i primi passi, mi dico: René, complimenti! Good job. Perché per me la cosa più importante nel lavoro e nella vita privata è l’onestà». Questo ragazzo di 37 anni, due stelle Michelin e per quattro volte primo nella «World’s 50 Best restaurants» con il ristorante «Noma», sembra non conoscere l’incertezza.
Gli dei della cucina
Con il suo locale di Copenaghen, Redzepi è salito all’onore delle cronache per aver reinventato la cultura gastronomica di quei Paesi creando la «nuova cucina nordica» (suo il copyright). Il contenuto? Prodotti stagionali e solo del territorio. Ma anche grande e accurata pulizia di sapori e piatti. Il Mick Jagger dei fornelli, messo da Time nella famosa copertina degli «dei della cucina», ha il volto scanzonato e barbuto di un eterno Peter Pan. Sempre alla ricerca di uno stimolo, di una novità. Può essere molto utile leggere il suo libro (che ha vinto un James Beard Award): A work in progress. Potreste capire meglio il fascino di mangiare licheni, muschio, aghi di pino o insetti. Un menu che ha conquistato lo scorso inverno anche il Giappone nel temporary restaurant gestito da Redzepi al «Mandarin Oriental» di Tokyo. Un successo che non si ricordava dai tempi di «El Bulli» di Ferran Adrià. Una consapevolezza che oggi forse lo aiuta ad accogliere con leggerezza il cambio della guardia nella classifica mondiale dei ristoranti, confermando il dualismo tra la sua nordic cuisine e la cucina catalana dei Roca (ora al primo posto, seguiti da Bottura). Ma smentendo rivalità: «Esplorano, come me. Li stimo moltissimo. E comunque per me è importante piuttosto essere il miglior capo possibile per la mia squadra. E il numero uno per i miei bambini».
Il futuro del cibo
Inevitabile tornare indietro con la memoria: «Quando abbiamo cominciato, siamo stati innovativi e spericolati. Abbiamo inserito il no smoking, abolito le tovagliette, e soprattutto detto addio al lusso. Tutto il denaro va investito nella ricerca e nel reperimento del miglior cibo possibile. Questa è stata la mia filosofia sin dal primo giorno. Mi muovo su un territorio che non è mai stato famoso per le sue materie prime. Esplorare le praterie e le spiagge è stato obbligatorio. Individuare le erbe selvagge commestibili e poi convincere i miei clienti ad assaggiarle, una sfida con me stesso». Vinta. La popolarità del «Noma» è cresciuta in maniera inarrestabile. Ma Redzepi non sembra colpito: «Non sono un genio. I geni sono altri. Quelli che salvano la gente o cambiano il mondo. Io cucino solo per delle persone. E credo che tutti noi cuochi dovremmo ricordarcelo ogni volta che ci esaltano». Ma dove sta guardando, adesso, lo chef danese, il «principe del foraging»? «Al futuro della cucina. Mangeremo sempre meno carne e sempre più verdure e insetti, perché le nostre abitudini alimentari non sono più sostenibili». Per sensibilizzare il pubblico ha creato con l’università di Copenaghen il «Nordic food lab». O il «Mad simposium», il meeting che richiama a Copenaghen chef e foodies da tutto il mondo. «Lo faccio perché stiamo vivendo una crisi della cucina. Sì, nonostante le manifestazioni che proliferano come funghi... Le persone non sanno nutrirsi. Il futuro del cibo? Disumanizzato». Bisogna tornare alle origini. «Riscoprire il piacere di mangiare intorno a una tavola. Condividere. Io con i miei bambini e mia moglie lo faccio sempre. Mi piace cucinare per loro». Questo è il futuro. Il suo. Di un uomo semplice. Capace di emozionarsi per un espresso fatto bene. Che ama circondarsi di piccole cose importanti. E che adesso, mentre la conversazione sta terminando, torna al quesito iniziale: «Pochi giorni fa in Messico ho mangiato tre tacos alla carne di maiale. Un pasto da pochi soldi. Eppure ne conservo ancora il sapore. Ecco, basta questo per rispondere alla domanda che le chiedevo di pormi: sì. Sono un uomo felice».