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 2015  giugno 26 Venerdì calendario

IL TALENTO DI MISS SHARAPOVA

Maria Sharapova entra nella lobby dell’hotel indossando shorts giallo canarino e una maglia grigia. Ha il volto ancora arrossato da un’ora d’allenamento in palestra.
«Ciao, sono Maria», dice porgendo la mano. Presentazione gentile ma del tutto superflua. È uno dei volti più riconoscibili al mondo, anche in quello del marketing. È diventata una celebrità dalla sera al mattino quando, circa 10 anni fa, vinse il suo primo titolo a Wimbledon, a 17 anni. Da allora ha aggiunto al nome altri 4 titoli del Grande slam ed è diventata una delle 10 tenniste al mondo che hanno vinto almeno una volta a Melbourne, Parigi, Wimbledon e New York, i più ambiti trofei del tennis.
All’altezza dei suoi trionfi sportivi c’è forse solo il suo successo fuori dal campo. Sharapova è stata la miglior tennista del mondo solo per certi periodi ma da tempo è il più importante marchio sportivo. È rimasta al primo posto della classifica delle atlete più pagate del mondo ogni anno negli ultimi dieci anni.
Nike, Porsche, Evian, Tag Heuer e altre società pagano annualmente più di 20 milioni di dollari (dieci volte quanto ha guadagnato col montepremi dei tornei nel 2014) in cambio della sua immagine abbinata ai loro prodotti in affissioni, riviste e schermi di tutto il mondo. Hanno accesso anche al seguito che Sharapova raccoglie sui sociali media, tra cui 1,6 milioni di fan su Twitter e quasi 15 milioni su Facebook. La tennista ha una sua personale app in rete e sta mettendo in piedi un impero che va dalle caramelle ai vestiti ed è già presente in 30 mercati. È più di un volto familiare: è onnipresente.
Sparisce per una doccia. Torna con una maglia nera, pantaloni grigi di cotone e scarpe da tennis nere. Ordina un tè English Breakfast e si rilassa in poltrona. È nella capitale spagnola per il Madrid Open. L’anno scorso ha fatta sua la coppa proprio prima di vincere, di nuovo, a Parigi in una partita emozionante. A 28 anni, Sharapova sa bene che le restano solo pochi anni per aggiungere coppe alla sua lunga serie di vittorie. I due ultimi titoli del Grande slam (entrambi a Parigi) li ha conquistati dopo essersi rotta la cuffia della spalla. Per 9 mesi non ha potuto giocare a tennis, ha dovuto saltare due tornei dello Slam ed è scesa al numero 126 della classifica mondiale - la sua prima volta oltre le prime cento dal 2003. Le ci sono voluti 3 anni per farcela nuovamente fino a una finale di Grande slam e 4 per vincerne finalmente una. «L’infortunio ha anche insinuato dubbi nel mio modo di giocare, basato sostanzialmente su forza e profondità dei colpi. Il servizio era difficile perché di colpo avevo perso velocità. Io non sarò mai più in grado di reggere un servizio come quello che avevo a 17 anni».
Sharapova ha quindi dovuto reinventare parti fondamentali del suo gioco scambiando la forza per un approccio più tattico. Il suo servizio ha perso potenza ma la tennista ha migliorato molto la battuta aggiungendo mosse nuove al gioco, come la palla corta. Nella maggior parte dei match, Sharapova ora tenta di occupare una posizione centrale appena davanti alla riga di fondo campo. Da qui può dettare lo svolgimento del gioco mandando la palla da una parte all’altra del campo e costringendo l’avversario a una disperata e stancante caccia finché lei non individua la possibilità di mandargli una palla fuori portata.
È uno stile che si adatta bene alle superfici lente come la terra battuta. I due Grandi slam vinti dopo l’infortunio sono stati su terra battuta - a Parigi – così come l’ultimo torneo vinto a Roma (a maggio). Appena tornata alla posizione numero 2 nella classifica della Wta, l’associazione del tennis femminile, Sharapova è partita per Parigi per mantenere il titolo al French Open e riprendere le fila dell’impresa ormai decennale di battere la numero 1 al mondo, Serena Williams.
La costante nel gioco di Sharapova - e la sua arma più potente di gran lunga sul campo - è la testa. Non mostra mai nervosismo. Non cede mai. Spesso gioca il suo tennis migliore, quello più difficile, quello delle battute lunghe e delle palle corte proprio quando la pressione su di lei sembra al massimo. Corre dietro a palle che sa di avere poche possibilità di prendere - e che 9 volte su 10 manca ma, a volte, riesce a rimandare dietro la rete una palla impossibile. Ciò che conta è il messaggio che manda all’avversario: sono pronta a lottare fino alla fine.
«Nessuno come Maria ha una tale perseveranza, punto dopo punto e senza sosta», mi dice Chris Evert, vincitrice di numerosi titoli dello Slam. «L’ho osservata molte volte, quando sta perdendo, quando è indietro di un set e di un break, o di un set e due break. È lì che tira fuori la forza di lottare. Riprende la partita meglio di nessun altro».
Per giocare così, deve misurare come impiega le forze. Partecipa a meno tornei di altri giocatori e occasionalmente salta qualche girone di quelli ufficiali - è “il tempo di Maria” come lo chiama il suo entourage. «Per essere esplosiva occorrono motivazione e volontà. Per questo costruisco il calendario dei miei match in modo tale che quando considero necessario darmi una forte spinta, io sia abbastanza fresca da poterlo fare», dice lei.
E che fa durante “il tempo di Maria”? Sharapova appare confusa per un momento. «È difficile per me stare ferma».
La determinazione di acciaio che contraddistingue gli atleti moderni suscita spesso la tentazione di risalire alle origini della predisposizione. Nel caso di Sharapova, la ricerca la riporta inevitabilmente all’infanzia. Nata a Nyagan, nella Siberia dell’Ovest, cominciò a giocare a tennis a quattro anni, nel 1987, dopo che i genitori si trasferirono nella cittadina di Sochi sul Mar Nero. Quando aveva sei anni, fu vista da Martina Navratilova durante un evento di tennis a Mosca. Ciò impresse una svolta decisiva alla vita della bambina, perché l’ex numero uno suggerì ai genitori di Sharapova di mandarla negli Stati Uniti perché ricevesse l’allenamento giusto.
Arrivò negli Stati Uniti poche settimane prima del suo settimo compleanno per cominciare ad allenarsi alla Nick Bollettieri Academy in Florida. Non parlava inglese e il padre dovette accettare i lavori più strani per poterla mantenere (la madre arrivò solo due anni più tardi). «Mio padre a volte lavorava a due ore di distanza, non lo vedevo per settimane. Dormivo in collegio con altre bambine più grandi di me», ricorda, aggiungendo che non era «mai parte del gruppo».
Chi andasse a cercare indizi psicologici nell’esperienza della bambina russa sola, senza la mamma, che si temprava in un ambiente ostile e diverso, resterebbe però deluso. «Io stavo vivendo il mio sogno», esclama Sharapova. «Ero una ragazzina cui piaceva giocare a tennis e che lo faceva in una delle migliori accademie del mondo. Vedevo giocare Agassi, Monica Seles… Ho visto allenarsi i grandi campioni. Quando mi svegliavo al mattino non vedevo l’ora che suonasse la sveglia alle 6:30 per poter andare a prendere la mia lezione». Non essere parte di un gruppo non l’ha mai preoccupata. Sharapova è nota perché nei campionati si tiene in disparte. Il gruppo che l’accompagna è ridotto al minimo. La solitudine che il tennis professionale infligge non sembra crearle problemi. La maggior parte dei tennisti passa dieci mesi all’anno in viaggio, da un hotel all’altro, da un campo all’altro. Il gioco è impresa individuale quanto poche altre. Non c’è una base in cui rientrare, non c’è un gruppo familiare. Non ci sono compagni di squadra, né tristezza o gioia condivise (eccetto forse con i coach).
Per Sharapova la giostra si ferma dopo la lesione alla spalla. Per la prima volta trova il tempo per pensare a quale sarà la sua vita dopo il tennis. E, preoccupata che la carriera possa concludersi prima di quanto vorrebbe, Sharapova decide di reinventarsi come donna d’affari. Assieme a Max Eisenbud, l’agente che la segue da anni, nel 2012 sviluppa il progetto per una linea di dolciumi di fascia alta chiamati Sugarpova. Finanziata e interamente di proprietà di Sharapova, la società produce vari tipi di caramelle e gomme da masticare colorate, vendute in confezioni originali e dai sapori del nome di Flirty, Cheeky e Sporty. Eisenbud riferisce che Sugarpova ha venduto 3,5 milioni di confezioni di caramelle nei primi due anni e ora è presente in 30 mercati. «Cresciamo vertiginosamente», aggiunge.
Sharapova considera l’attività dei dolciumi soltanto un inizio. Sugarpova si è già diversificata verso la vendita di accessori come magliette e gioielli. I prossimi prodotti saranno cioccolatini e mentine, mentre l’obiettivo finale potrebbe essere applicare il marchio a profumi e altri capi della moda. «La mia visione è che diventi un marchio di lifestyle», dice Sharapova: una sorta di “Casa Sharapova”, collezione di marchi e prodotti. Ambizioso ma non impossibile. Chiedo a Eisenbud perché Sharapova abbia così tanto valore per il mercato pubblicitario. La questione è delicata. Lo sport dovrebbe rappresentare la meritocrazia estrema: il migliore atleta che vince tutte le coppe dovrebbe guadagnare più di tutti gli altri. Nel tennis femminile, però, le cose non vanno così. Serena Williams si è portata a casa 19 titoli Grande slam rispetto ai 5 di Sharapova, il doppio di coppe in generale e anche il doppio di montepremi rispetto a Sharapova. La rivista “Rolling Stone” ha scritto una volta che il tennis femminile «è gestito da Serena Williams come Kim Jong Un gestisce la Corea del Nord». Eppure, negli ultimi 10 anni, anno dopo anno, dal punto di vista finanziario è stata Sharapova la vincitrice. Come mai? «La risposta ovvia è che Sharapova è bella, perfetta per il marketing e ha vinto molto», risponde Eisenbud. «Quella corretta, invece, è che Maria è molto intelligente, donna d’affari avveduta e capisce il concetto di ricavo sull’investimento. Diversamente da altri atleti, capisce bene che se Porsche o Evian stringono con lei contratti milionari lei deve andare incontro ai loro obiettivi. Quando Maria partecipa a una sessione fotografica tutto deve essere perfetto. Non tralascia mai di chiedere se il cliente ha ottenuto tutto ciò che gli serviva o se vuole rifare qualche scatto. È speciale in questo».
Eisenbud è convinto che Sugarpova sarà lo strumento perfetto al servizio di Sharapova quando la carriera tennistica si concluderà. Lei peraltro dice di non sapere assolutamente quando si ritirerà, ma insiste che l’idea non la spaventa. «Quando finirà non avrò rimpianti. Ho voglia di avere tempo per la famiglia».
Da due anni è la compagna di Grigor Dimitrov, tennista bulgaro ventitreenne. Lui, 11º in classifica, è visto come uno dei principali talenti del campionato, anche se deve ancora vincere il suo primo titolo Grande slam.
Se quest’anno Sharapova non dovesse vincere a Parigi o altrove non sarà per mancanza di volontà ma perché la carriera di Sharapova si è sovrapposta a quella di colei che probabilmente è la più grande tennista di tutti i tempi: l’eterna rivale Serena Williams.
Sharapova batté Williams con tranquillità in quella speciale finale di Wimbledon nel 2004. Facendosi largo tra i giornalisti nel dopo match, l’adolescente Sharapova si girò verso Williams e disse: «So che ci saranno molte altre occasioni in cui c’incontreremo e batteremo. Ma - mi spiace - oggi dovevo vincere io».
Dal 2004, le due si sono confrontate in 16 occasioni e Williams ha vinto ogni volta. Il duello è stato così squilibrato verso la Williams che c’è chi non le considera rivali. Chris Evert non è d’accordo. «Per molti sarebbe una falsa rivalità», dice, «ma non è così. Rivalità vuol dire versioni del gioco opposte. In questo caso i contrasti sono tanti, dal temperamento all’aspetto, allo stile di gioco. Tutti nel mondo del tennis ci chiediamo sempre, quando le guardiamo giocare, se quella sarà la volta buona in cui Maria Sharapova batte Serena Williams».
L’ultimo match importante tra le due è stato all’Australian Open a gennaio. Ha vinto Williams, ma la partita (6-3, 7-6) è stata molto più serrata di altre e il secondo set si è trasformato in una lotta scatenata. Sharapova alla fine è stata sconfitta dalla potenza e dalla precisione del servizio della Williams, il meglio che il tennis femminile abbia mai visto. Ma se si chiede a Maria Sharapova “Pensa che un giorno batterà la Williams?” lei non esita un secondo a rispondere: «Assolutamente sì».