Antonio Pascale, Mente&Cervello 7/2015, 26 giugno 2015
CONFESSIONI DI UN VIAGGIATORE PIGRO
[Antonio Pascale]
Viaggiare mi risulta difficile; non che non viaggi, ma mi è difficile. Il problema si manifesta in tre stadi. Il primo: prendo un impegno fuori, sono, così mi sembra, contento del viaggio che mi aspetta. Secondo: mentre mi preparo lo zaino – e cerco di capire come evitare i pesi e le cose inutili – capisco che non ho voglia di partire. Capisco anche che le abitudini solite potrebbero essere spazzate via da un imprevisto e magari non ho l’attrezzatura per far fronte ai problemi. Questo pensiero mi causa stress.
Poi parto. Se viaggio in aereo, il momento più bello è il decollo, quello più brutto è toccare terra: guardo fuori dal finestrino e provo ansia. A metà percorso penso alla mia scrivania, e registro con inquietudine la sensazione che potrei non tornare più a casa, potrei non scrivere più. Per questa serie di ragioni, se viaggio, cerco di non superare i 4 giorni.
Il massimo di questa insania l’ho raggiunta in Perù (perché poi viaggio): 12 ore di volo, e la notte, a Lima, completamente sveglio, passata a camminare per le strade, affollatissime, del quartiere di Miraflores, gli occhi spalancati per cogliere più cose possibili, registrare dettagli insignificanti (quante volte il filo spinato messo a mo’ di protezione sui muri delle case si arrotolava su se stesso, e se ci fosse una regola). Primo giorno frenetico passato in tutti i musei, a mangiare più volte al giorno (anche perché si mangia benissimo), cioè due pranzi, due cene, dalle trattorie dei sobborghi agli chef del centro. Notte inquieta tra albergo e strade e aperitivi notturni, più barbiere per sistematina alla barba, aperto alle 4 di notte.
Poi aereo per raggiungere Machu Picchu, trasporto in pullman, visita al sito e scoperta, per me assurda, che gli abitanti di questo posto non conoscevano la ruota. Al che sono partite considerazioni varie e banalissime sul motivo del mio viaggio, insomma, vicino casa ho Borromini e devo venire fin quaggiù per sentire la guida affermare che ancora non s’era capito come facevano a trasportare enormi massi da valle a monte. Fuga e il giorno dopo aereo, e finalmente la sera, stanco ma felice, a casa.
Lo stress del viaggiatore, la voglia, la scommessa di fare più cose in brevissimo tempo, a volte mi portano in uno stato di trance meraviglioso, un attimo di sospensione e di comunione olistica e allora con stupore mi accorgo che le cose note davanti a me sono in realtà ignote, e l’ignoto, l’altrove dove sono capitato, presenta tratti comuni con le cose che conosco e che frequento ogni giorno. Allora cado in una condizione di incredibile semplicità, imparentato con tutto quello che esiste e mi dico, a mo’ di mantra, che solo di questo noi umani abbiamo bisogno. Ma poi, dopo un attimo, ricomincia la vita complessa.