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 2015  giugno 26 Venerdì calendario

I RAGAZZI CHE IGNORANO HIROSHIMA


TOKYO. Con piena ma forse ingiustificata soddisfazione del primo ministro Shinzo Abe la camera dei deputati giapponese ha approvato in questi giorni la legge che abbassa il diritto al voto da 20 anni – età in cui si diviene maggiorenni in Giappone – a diciotto.
Abe, impegnato in una politica di restaurazione costituzionale che vuole riportare il Giappone ad uno stato di potenza militare guidata direttamente dall’imperatore a cui siano restituite le proprie prerogative divine, ritiene che i voti dei giovani al loro debutto elettorale rinforzeranno la sua maggioranza parlamentare e lo aiuteranno a proseguire più speditamente nel suo progetto.
È il primo cambiamento dell’età elettorale nel Paese del Sol Levante da settant’anni. L’ultimo era stato l’abbassamento da 25 sino a 20 anni stabilito nel 1945 dopo la fine della guerra.
Saranno 2,4 milioni i diciottenni e i diciannovenni ad avere diritto di lasciar cadere nell’urna la loro prima scheda nell’impegno elettorale previsto già per il prossimo anno, quando saranno chiamati a votare per l’elezione del senato. Avranno anche il diritto-dovere di svolgere funzioni di scrutatori per controllare che tutte le operazioni di voto e di conteggio si svolgano regolarmente. Ma saranno giudicati per direttissima da un tribunale come maggiorenni se trovati colpevoli di imbrogli elettorali.
Le speranze di Abe di acquisire nuova linfa per il suo partito liberale (Ldp) al governo ormai da 60 anni con un breve iato di due anni lasciato al partito democratico del Giappone (Dpj), sembra però siano destinate ad essere deluse. Per almeno un paio di ragioni. Una è la temuta grande astensione, tradizionalmente alta tra i giovani giapponesi: nelle elezioni della camera dei deputati lo scorso dicembre i votanti tra i venti e i 30 anni sono stati il 32,6 per cento contro il 68,35 dei votanti tra i 60 e i 70 anni. Meno della metà. E diversi osservatori ritengono che alle prossime elezioni la differenza sarà ancora più marcata. Un’altra ragione di probabile delusione per Abe è la crassa ignoranza dei giovani giapponesi della loro storia contemporanea.
In un’inchiesta giornalistica effettuata in occasione del settantesimo anniversario della fine della guerra mondiale, uno sbalorditivo 52 per cento dei giovani intervistati ha dichiarato di non sapere che il Giappone e gli Stati Uniti si fossero mai scontrati in un conflitto. Come se le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki e i 30 milioni di asiatici caduti in quella guerra fossero mitologia di una civiltà lontana e non cruda realtà che può ancora essere narrata da testimoni oculari e mostrata in foto e documentari in tutto il suo insostenibile orrore.
In parte, questa ignoranza è anche il risultato di un controllo ferreo dei libri di testo scolastici a cui non è consentito allontanarsi neanche minimamente dalla linea tracciata dal governo. Linea che sistematicamente ignora o edulcora pesantemente avvenimenti cruciali della storia contemporanea giapponese come i grossolani errori degli strateghi nipponici, il suicidio di massa della popolazione di Okinawa ordinato dalle forze imperiali giapponesi, il massacro di Nanchino, la riduzione di decine di migliaia di giovani donne a schiave sessuali al servizio delle truppe imperiali occupanti la penisola coreana, la concreta possibilità che il divino imperatore fosse impiccato come criminale di guerra, per citarne solo alcuni. «I libri scolastici sono pagati con i soldi pubblici» è la candida linea del governo «ed è quindi consequenziale che rispecchino le posizioni del governo a cui il Paese ha liberamente scelto di affidarsi».
Per rinforzare questa sua convinzione, Abe ha ribadito l’obbligo per insegnanti, alunni, e personale ausiliario di cantare l’inno nazionale (Kimi ga yo) ed alzare la bandiera nazionale (Hinomaru) in ogni grado scolastico dall’asilo all’università. Un professore di liceo è stato sospeso dall’insegnamento dopo essere stato scoperto da un solerte preside a muovere le labbra, mimando il canto dell’Hinomaru, senza in realtà emettere alcun suono. Un minidramma avvenuto in una manciata di secondi, essendo l’inno il più breve al mondo, appena 11 battute per 32 caratteri. Il professore apparteneva evidentemente alla consistente fascia di cittadini che ritiene l’inno un residuo di quel passato imperialistico, nazionalistico e militaristico che ha spinto il Paese del sol levante nel baratro della più devastante guerra della storia dell’umanità.
Gli studenti giapponesi sono ignoranti sulla storia contemporanea, ma lo stesso Abe ha dimostrato di non essere molto ferrato proprio in quella materia. Ha infatti fatto una ben magra figura quando, interpellato dal presidente del partito comunista giapponese Kazuo Shii, ha ammesso di non aver letto con la dovuta attenzione la storica Dichiarazione di Potsdam del 1945 in cui si condannavano senza attenuanti tutti «coloro che hanno ingannato e spinto il Giappone in un guerra per la conquista del mondo».
Shii gli aveva chiesto se condivideva questo duro giudizio storico e il premier aveva ammesso di non poter rispondere adeguatamente non conoscendo a fondo il testo della Dichiarazione. «La Dichiarazione di Potsdam» ha commentato Shii «è un documento storico che è alla base del processo di democratizzazione postbellico del Giappone. Che Abe abbia ammesso di non averlo letto con attenzione lo squalifica come primo ministro».
Un sorprendente sondaggio di questi giorni deve aver ancor più affievolito le speranze di Abe di vedere i giovani esordienti nel mondo della politica marciare sotto i suoi stendardi revanchisti. Il sondaggio ha relegato i giapponesi all’ultimo posto nella classifica dei popoli «determinati ad imbracciare le armi per la propria nazione». Alla domanda: «In caso di guerra, sareste pronti a combattere per la vostra patria?» hanno risposto affermativamente solo il 15,3 per cento dei giapponesi, contro il 57,7 degli americani, ed il 74,2 dei cinesi.
I nemici contro cui i giapponesi sarebbero più probabilmente chiamati ad imbracciare armi sono i «vicini di casa» cinesi e nord-coreani. Ed è in questa ottica che deve essere visto il favore con cui è seguita da Washington la deriva militaristica di Abe: sono gli stessi acerrimi nemici degli Usa ed è rassicurante per l’opinione pubblica americana sapere che il primo scontro in caso di conflitto sarebbe sostenuto da un esercito giapponese che, una volta approvata la «rilettura» della Costituzione, tornerebbe ad essere la temuta potenza militare, dura colonizzatrice di gran parte dell’Asia. L’attuale Costituzione dettata dagli americani («la nostra Costituzione ce la dobbiamo scrivere noi», tuona Abe) prevede che il Giappone possa disporre soltanto di un esercito di autodifesa (che comunque è già la quinta potenza armata mondiale) cui non è consentito di dispiegarsi lontano dal suolo patrio. La riforma costituzionale perseguita da Abe permetterà al Giappone di avere un esercito a pieno titolo, con libertà di intervenire contro nemici anche lontano dai propri confini in aiuto ad alleati attaccati, impiegando ogni tipo di arma ritenuta necessaria, ordigni atomici inclusi.
I giovani sono in gran parte indifferenti a questi «grandi giochi» della democrazia d’argento (silver democracy), come chiamano la classe politica incanutita che li governa. «Ma sbagliano a disinteressarsene» sostiene un professore di liceo di Tokyo (preferisce rimanere anonimo perché teme le reazioni del suo zelante preside) che ha organizzato nelle sue classi un’esercitazione di voto con urne e schede per far conoscere bene il meccanismo elettorale ai suoi allievi prossimi all’età del voto. «Parafrasando in parte la nota affermazione del filosofo spagnolo George Santayana, fatta sua anche dal vostro Primo Levi, dico ai miei allievi: Non solo chi dimentica il passato è condannato a riviverlo, ma anche chi lo ignora».
Silvio Piersanti