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 2015  giugno 26 Venerdì calendario

LA COREA DEL NORD ESPORTA GENTE

La Corea del Nord è il paese più chiuso del mondo, ma decine di migliaia di suoi cittadini vivono all’estero. E non sono soltanto diplomatici, emissari del regime, studenti, rifugiati o migranti clandestini, ma uomini e donne usciti legalmente dalla repubblica popolare democratica di Corea (Rpdc) grazie a quella che sembra una sorta di esportazione legale di monodopera.
Un fenomeno cominciato negli anni 60, ma che ha conosciuto una brusca accelerazione da quando si è insediato al potere il dittatore Kim Jong-un nel 2011. Al riguardo un’azione è stata intentata presso le Nazioni Unite contro una pratica che apparentemente potrebbe ritenersi una sorta di «schiavismo di stato». La presenza di nordcoreani all’estero si vede nei ristoranti aperti dal regime nelle province del Nordest della Cina, in Mongolia, e nel Sudest Asiatico, principalmente in Cambogia, dove si danno da fare squadre di graziose fanciulle in costume tradizionale. Quello che si vede meno sono gli operai che lavorano nelle fabbriche del Nordest della Cina, i taglialegna nella lontana Siberia, oppure quelli che sono stati spediti nei cantieri in Medio Oriente: Emirati Arabi, Kuwait, Libia, e Qatar, dove 2 mila nordocreani lavorano alla costruzione dello stadio per i Mondiali 2022. Una inchiesta del centro strategico sulla Corea del Nord, a Seul, la capitale della Corea del Sud, ha stimato che fossero all’incirca 60 mila nel 2012 i nordocoreani all’estero, ripartiti in circa 40 paesi nel mondo. Le loro rimesse portano nella Rpdc all’incirca dai 150-250 milioni di dollari (da 133-205 milioni di euro) l’anno. Ma il loro numero è più che triplicato negli ultimi tre anni, secondo le stime di Nk Watch, collettore di informazioni sulla Corea del Nord. Sulla base delle testimonianze di una quindicina di rifugiati nordcoreani riparati al Sud dopo aver lavorato all’estero, Watch ha depositato, a febbraio, un dossier presso il segretariato speciale dell’Onu sulle forme contemporanee di schiavitù chiedendo l’apertura di una inchiesta su quello che l’organizzazione ha qualificato come «schiavismo di stato». Questo rapporto si aggiunge a quello della commissione di inchiesta sui diritti dell’uomo delle Nazioni Unite che accusa la Rpdc di «crimini contro l’umanità». Accusa respinta da Pyongyang come una menzogna tesa a far cadere il governo. Secondo le testimonianze raccolte, il partito del lavoro e certi amministratori a Pyongyang ingaggiano i lavoratori in funzione delle richieste dei paesi che cercano manodopera a basso costo. In Cina, Mongolia e Russia intermediari nordcoreani trattano direttamente con le autorità locali. I candidati sono scelti in virtù della fedeltà al regime, sposati (per avere un maggior controllo su di loro perché le loro famiglie rimangono in Rpdc), e ricevono una formazione di tre mesi prima di partire.
Tutti i lavoratori nordcoreani all’estero vivono in dormitori, senza quasi contatti con i locali, indottrinati con sedute settimanali. Il loro salario è confiscato. La famiglia del lavoratore rimasta nella Rpdc riceve un terzo dei 150-200 dollari (133,8-178,5 euro) di paga. Il resto va nelle casse dello stato. Il reddito medio mensile di un nordcoreano è di 30-50 dollari (26,7-44,6 euro) e dunque questa sorta di «nuovi schiavi» non hanno la percezione di esserlo. Negli anni, migliaia di nordcoreani sono passati clandestinamente in Cina per guadagnarsi da vivere. Un accordo tra Pechino e Pyongyang siglato nel 2012, permette a 20 mila lavoratori nordcoreani di lavorare legalmente nelle province frontaliere cinesi. Secondo le testimonianze dei rifugiati al Sud, dal 2015 sono aumentati i nordcoreani che entrano in Cina per lavorare, in particolare alla costruzione delle infrastrutture come la ferrovia a Shenyang, nella provincia del Liaoning. I progetti di cooperazione tra Rpdc e la Russia nell’agroalimentare favoriranno l’invio di ulteriore manodopera nordcoreana in Siberia, tra 10-20 mila mentre già 3 mila stanno lavorando nei cantieri edili di Vladivostok. Lavorare all’estero viene considerato un privilegio nella Rpdc, quali che siano le loro condizioni di vita, e per essere ingaggiati i nordcoreani sono disposti a pagare bustarelle ai burocrati reclutatori.
Simonetta Scarane, ItaliaOggi 26/6/2015