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 2015  maggio 27 Mercoledì calendario

ORA CHE SONO UN SUPER EROE

[Intervista a Max Pezzali] –
«Rivedere una ex, dopo che sono successe tante cose, matrimoni, figli, è come rivedere se stessi nell’universo parallelo che esisterebbe se fossimo rimasti con lei. Se c’era totale incompatibilità, la sensazione di averla scampata prevale sul rimpianto».

Max Pezzali sta parlando di sé e del suo ultimo disco, Astronave Max (in uscita il 1° giugno, anticipato dal singolo È venerdì), dove nella canzone Col senno di poi descrive un incontro con una ex fidanzata: se c’è un cantante in cui esperienze autobiografiche e testi sono un tutt’uno, quello è lui.
Nato a Pavia da una coppia di fiorai, Pezzali è uno dei cantanti italiani che vende di più, oltre 8 milioni di dischi nella sua carriera, compresi i successi con gli 883, il gruppo con cui è nato a inizio anni Novanta.
Il successo e i dischi di platino sono continuati anche da solista: l’ultimo album, la raccolta Max 20 (con la partecipazione di Ramazzotti, Jovanotti, Renga, Sangiorgi, Nek, Baglioni), è stato nella top ten dei più venduti del 2013.
Ci incontriamo a Milano per un pranzo che durerà due ore, il tempo che ci metterà Pezzali a mangiare un trancio di tonno, sbocconcellato tra il fiume di parole di questa intervista e le altrettante interruzioni dei fan che gli chiedono una foto insieme e l’autografo (sì, c’è ancora chi li chiede).
In barba al tonno e alla giornalista, lui non dirà mai di no: sorriderà, firmerà, fino a quando nel ristorante rimarremo solo io e lui.
A parlare soprattutto di rapporti di coppia, che peraltro sono il tema portante del nuovo disco, il primo dalla sua separazione avvenuta nel 2013.

Parlando di ex, ha più lasciato o è stato più lasciato?
«È finita più spesso per colpa mia, ma sono sempre partito con le migliori intenzioni».
Mai stato mollato?
«Una basta per tutte, mi ha segnato per sempre: avevo ventotto anni, facevo già questo mestiere, lei era una ragazza di Genova, molto bella, e onestamente non me l’aspettavo. Ero in tournée e al ritorno mi sono trovato davanti al fatto compiuto, una botta. In seguito a quel trauma è nata la canzone Nessun rimpianto, che ovviamente significava che stavo morendo, perché altrimenti una cosa del genere non la scrivi, ma dovevo fare training autogeno. Quando poi, anni dopo, ci siamo rivisti, è stato bello sentirsi dire da lei che mi ha sempre seguito a distanza, e che mi aveva lasciato solo perché eravamo troppo giovani. Rimane un grande ricordo».
Perché l’ha mollata.
«È come aver preso dei gol da Messi: fa male ma non ne puoi negare la grandezza».
Nel 2005 si è sposato con Martina Marinucci, nel 2008 è diventato padre, e nel 2013 si è separato. Rimpianti in questo caso?
«Ogni storia, e ogni momento vissuto di ogni storia, ha il suo perché, io rifarei tutto cento volte. Nel mio matrimonio abbiamo iniziato ad avere piccole conflittualità, la malattia di nostro figlio non ci ha aiutati (Hilo, 6 anni, ha sofferto della sindrome di Kawasaki, come aveva raccontato a Vanity Fair nel 2013, ndr), poi si è arrivati all’insofferenza reciproca. C’era anche un’incompatibilità ambientale perché lei abitava a Roma, dove era radicata la figlia che aveva avuto da una precedente relazione, e io non posso viverci per il mio lavoro. Ma tra noi c’è sempre stato un grande senso di collaborazione per il bambino, e lui è sereno».
Dagli errori si impara?
«Li riconosco e riesco a metabolizzarli, adottare contromisure per quelli ricorrenti. Si può cambiare a qualunque età. Io oggi, a 47 anni, gestisco cose che mai avrei pensato – dalla compulsione per il cibo a mio figlio – da solo. Sono diventato un supereroe, con riflessi esagerati, capace di prendere al volo il succo di frutta che sta cascando in treno. Mi sono reso conto, da genitore single, che le difficoltà delle madri di crescere un figlio spesso non si riescono a comunicare al partner».
Fa parte dei buoni propositi contenuti nel brano Ogni giorno una canzone?
«L’uomo ha, per natura, la tendenza a dare tutto per scontato. Appena la relazione si stabilizza, tende a pantofolizzarsi, mentre la donna ha un bisogno pazzesco di continue conferme e gratificazioni. Mi piacerebbe essere il protagonista del testo, che ogni giorno vive l’amore con una canzone diversa».
Perché il titolo Astronave Max?
«Nasce da un brano che parla di una mia fascinazione da sempre, il centro commerciale: li ho girati tutti. È il simbolo dell’alienazione del nostro tempo, un’astronave che brilla luminosa nel deserto della pianura, una via di fuga, illusoria, dal grigiore del quotidiano. Abbiamo bisogno di scappare perché la nostra vita ci mette sempre più pressione, si pensava che la tecnologia l’avrebbe alleviata, invece l’ha peggiorata. Oggi siamo connessi ventiquattr’ore al giorno e io, che anni fa mi credevo un pioniere in materia, confesso di essere arrivato a un pelo dal non farcela più».
Si sente vecchio?
«Alla mia età certe cose sono irreversibili, come la perdita dei capelli. Io ho iniziato nel ’95, un operatore che mi riprendeva dall’alto in un video disse che dovevano mettere il turacciolo di sughero annerito per coprire la piazza. All’inizio ho sofferto, ma poi ho capito che non c’era niente da fare. Per fortuna in quegli anni andava di moda il rasato, se fossi stato nei Settanta ero spacciato».
Si sta avvicinando ad anni pericolosi per gli uomini, la cosiddetta crisi di mezza età.
«Su questa crisi vive un intero settore industriale: il cinquantenne compra la Porsche, la Harley-Davidson (di cui Pezzali, appassionato di moto, possiede una concessionaria a Pavia, ndr); sente la paura della morte e vuole vivere, recuperare la giovinezza perduta. L’importante è capirlo e limitarsi a un oggetto, perché se lo fai con una donna o la tua famiglia, butti la tua vita intera. La presenza di farmaci che allungano la giovinezza purtroppo non ha aiutato, ma basterebbe avere la lucidità di ricordarsi come giudicavamo trent’anni prima il cinquantenne con la ventenne: 
ridicolo».
Lei non ci starebbe con una ventenne?
«Io, che pure sono privilegiato grazie al mio lavoro, non riuscirei a interfacciarmi neanche con una trentenne. Gli ultimi venticinque anni sono stati così veloci, il cambiamento così epocale, che si parla una lingua diversa».
Da Hanno ucciso l’Uomo ragno sono passati 23 anni. Pochi avrebbero scommesso su una sua carriera longeva.
«Io per primo: l’estate in cui è uscito quel primo disco l’obiettivo era arrivare a settembre e cercarmi un lavoro. Pensare che ogni lavoro fosse l’ultimo è ciò che mi ha salvato. Assieme alle mie origini contadine: la tempesta per gente come me non è sfortuna ma un fatto naturale, le cose finiscono».
Lei è molto amato dai suoi colleghi, in Max 20 c’erano proprio tutti.
«Io non mi considero un addetto ai lavori ma un fan, uno che ha avuto la grandissima fortuna di conoscere i big della musica, di poterla vivere dall’interno. Con tutti gli episodi che ho vissuto con le star, potrei intrattenere i miei amici al bar per tutta la vita».
Ma vende almeno quanto loro.
«Non sono un competitivo, ero uno che alla corsa campestre, da ragazzini, si imboscava alla prima curva. Quando vedo uno che va più forte di me lo lascio andare, ho bisogno dei miei tempi. Rifuggo il conflitto, se il vicino posteggia nel mio box, lascio correre. Le donne purtroppo mi considerano arrendevole, oggi serve l’uomo che non deve chiedere mai. Se devo diventare il punto di riferimento per una donna, è finita in partenza».
Ha perso fiducia nel rapporto di coppia?
«No, non sono il tipo che non ci prova più perché ha paura che finisca male. Da un anno e mezzo ho una fidanzata, ha 41 anni, è un avvocato, ci conoscevamo già prima, eravamo amici; come tutte le cose che cominciano a una 
certa età, tiene conto degli errori del passato».
Diventerebbe di nuovo padre?
«Al momento, mi sento molto padre di mio figlio, che sto salvaguardando in questa fase transitoria; sarei anche un po’ stanco, ma rimango aperto alla vita e penso che tutto quello che arriverà lo prenderò volentieri».