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 2015  maggio 27 Mercoledì calendario

Notizie tratte da: Emmanuel Carrère, Il Regno, Adelphi 2015, pp. 428.Vedi Libro in gocce in scheda: 2325324Vedi Biblioteca in scheda: 2311284Paolo era brutto, tarchiato e goffo

Notizie tratte da: Emmanuel Carrère, Il Regno, Adelphi 2015, pp. 428.

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Paolo era brutto, tarchiato e goffo. Nei ritratti era sempre calvo, con la barba, la fronte bombata, le sopracciglia unite.

Paolo, che in ebraico si chiamava Shaul, come cittadino romano aveva il nome Paolus, che vuol dire piccolo.

Paolo nomina Luca tre volte e lo chiama «il caro medico».

Secondo una tradizione, Luca era un siriano di Antiochia, ma forse era macedone perché aveva incontrato Paolo in un luogo tra Europa e Asia e fu la sua guida in Macedonia.

Secondo i grecisti, la lingua greca con cui sono scritti i due libri di Luca sono i più eleganti del Nuovo Testamento.

Luca, greco istuito ma interessato alla religione degli ebrei, conosce Paolo alla sinagoga di Troade. Lo sente parlare di Gesù, poi si trattiene a parlare con lui, eccetera. Oppure Paolo potrebbe essere stato un suo paziente. Paolo, infatti, più volte nelle sue lettere dice di essere malato. Ai galati scrive di esser loro grato perché non hanno mostrato disprezzo o repulsione di fronte alla sua infermità. In un’altra lettera si lamenta per una «spina nella carne».

Paolo da giovane era un ebreo molto religioso. I suoi genitori, ricchi commercianti di Tarso, volevano che diventasse rabbino e lo avevano fatto studiare da Gamaliele, grande maestro fariseo di Gerusalemme. Devoto fino al fanatismo, era sempre in prima fila a sorvegliare e denunciare i seguaci di Cristo.

Quando Luca descrive negli Atti degli Apostoli Paolo arrivare a Troade con Sila e Timoteo scrive «essi». Quando descrive le azioni da allora in poi scrive «noi».

A Filippi, in Macedonia, Paolo parla di Gesù. Una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, sposata con figli, è la prima a farsi battezzare nel fiume. Ospita in casa i quattro venuti da lontano. Si forma una comunità che crede agli insegnamenti di Paolo, il quale insegna loro l’agape, il banchetto che si fa di domenica per ricordare la cena di Cristo prima di essere messo in croce.

A Filippi Paolo esorcizza una schiava che aveva capacità divinatorie. I padroni della donna, che sfruttavano il dono della donna facendosi pagare gli oracoli da chi andava a interrogarla, denunciano Paolo e Sila. Accusati di turbare l’ordine pubblico, vengono strappate le loro vesti, frustati, riempiti di botte e messi in prigione. Durante la notte un terremoto distrugge il carcere: Paolo e Sila non fuggono, la loro fermezza colpisce il carceriere che si converte. Il giorno dopo i magistrati ordinano di liberarli. Paolo si qualifica come cittadino romano, pretende che gli sia chiesto scusa. Così è liberato e si rimette in viaggio.

Paolo e Timoteo a Listra, in Licaonia. Paolo guarisce un paralitico, gli altri abitanti della città si gettano faccia a terra convinti che si tratti di Zeus accompagnato da Ermes. Quando scoprono che venera un altro dio, lo lapidano e abbandonano mezzo morto in un fosso.

Sotto la guida di Paolo le conversioni si moltiplicano. I seguaci di Christós si danno il nome di christianoí.

Per frequentare le terme senza imbarazzi, alcuni ebrei ellenizzati si facevano ricostruire il prepuzio con un intervento chirurgico chiamato «epispasmo».

All’inizio del II secolo Plinio il Giovane diventa governatore della Bitinia, sul Mar Nero. Scopre con sorpresa che i templi sono vuoti e nessuno fa più sacrifici agli dei. La causa principale è il successo della setta dei cristiani che, a detta di voci chi gli giungono, si riuniscono in segreto per fare porcherie. Manda degli investigatori, i quali scoprono che durante le riunioni i cristiani si limitano a condividere un pasto frugale e cantare inni.

Paolo era celibe e casto. Si vantava di essere vergine e dichiarava che quella era la scelta migliore. Comunque in una lettera ammette con riluttanza che «è meglio sposarsi che bruciare», cioè essere sopraffatto dalle voglie.

«Il Signore sa meglio di voi di cosa avete bisogno. Non chiedete ricchezze, non chiedete che i vostri affari vadano bene, non chiedete nemmeno una virtù. Chiedete a Cristo soltanto di concedervi il dono della preghiera. È come se voleste fare un figlio: prima dovete trovare la madre, e la preghiera è la madre delle virtù. Solo pregando, imparerete a pregare. Non perdetevi in lunghi discorsi. Ripetete soltanto, con tutto il vostro cuore: “Marana tha”, che significa: “Vieni, Signore”. Lui verrà, ve lo giuro» (San Paolo).

Siccome Paolo aveva detto: «Vegliate in ogni momento», alcuni cercavano di non dormire più e a causa dell’insonnia avevano visioni.

In tutte le edizioni del Nuovo Testamento le Lettere di San Paolo compaiono dopo i Vangeli e gli Atti. È una collocazione fuorviante: le lettere risalgono ad almeno venti anni prima. Sono i testi cristiani più antichi, le prime tracce scritte di ciò che non veniva chiamato ancora cristianesimo. Sono anche gli unici testi di tutta la Bibbia di cui si sappia con certezza chi è l’autore.

Secondo i critici più severi, almeno due terzi delle lettere sono stati scritti proprio da San Paolo.

Paolo si manteneva nelle varie città in cui andava facendo il tessitore. Tesseva la tela con cui si fabbricavano vele e sacchi.

Paolo a Corinto con la sua predicazione fece infuriare gli ebrei, maledisse la loro stirpe e dichiarò che avrebbe aperto una sua scuola dove predicare la resurrezione di Gesù proprio accanto alla sinagoga. Legato mani e piedi, fu portato al proconsole Gallione, fratello di Seneca, che lo rimandò a casa.

A Corinto Paolo detta a Timoteo la sua prima lettera, indirizzata ai Tessalonicesi. Se è vero, come alcuni dicono, che nell’antichità uno scrivano impiegava un’ora per scrivere circa 75 parole, a Paolo sono servite almeno tre ore senza interruzione per dettare il lungo paragrafo introduttivo in cui si congratula con i tessalonicesi per come servono il vero Dio.

Alla fine della lettera ai galati si legge: «Questi grossi caratteri li ho tracciati io con la mia mano» (non esistono manoscritti originali delle lettere di Paolo: i più antichi sono posteriori al 150 e dunque copie). Frasi simili si trovano in parecchie lettere di Paolo, perché questi aveva consegnato alle sue chiese campioni della propria grafia per permettere di verificare l’autenticità delle lettere.

I falsari presero a utilizzare queste formule nello scrivere false lettere di San Paolo. Per esempio nella seconda lettera ai tessalonicesi si legge: «Il saluto è di mia mano, di Paolo. Questo è il segno autografo di ogni mia lettera. Potete riconoscere la mia scrittura». Lo scopo di questa lettera falsa è di screditare la prima, la cui autenticità è certa.

A Cesarea un profeta tenta di convincere Paolo a non andare a Gerusalemme. Mimando la scena, cioè legandosi lui stesso mani e piedi, gli predice che là gli ebrei lo arresteranno e lo consegneranno ai romani, i quali lo uccideranno. Paolo non cambia idea, i suoi ospiti lo salutano in lacrime.

Marco l’Evangelista riporta una scena in cui i parenti di Gesù pensano di farlo arrestare perché, dicono, non ci sta più con la testa.

Giacomo, fratello di Gesù, diventato capo della chiesa di Gerusalemme dopo la dispersione degli apostoli. Secondo la descrizione del vescovo Eusebio di Cesarea: «Fu santo fin dal grembo materno, non bevve mai vino né altra bevanda inebriante, non mangiò mai nulla in cui ci fosse stata vita. Sul suo volto non passò mai il rasoio. Non si ungeva con olio e non faceva mai il bagno. Non metteva vesti di lana, ma di lino. Entrava da solo nel Tempio e si tratteneva a pregare così a lungo che le sue ginocchia erano diventate callose come quelle di un cammello».

Il Tempio di Gerusalemme, rivestito di marmo e oro, steso su quindici ettari di superficie, cioè sei volte l’Acropoli. Secondo lo storico inglese Simon Sebag Montefiore ogni blocco del muro occidentale pesa seicento tonnellate.

Anania e Saffira, che vendettero la casa e deposero il ricavato ai piedi degli apostoli, trattenendone, però, una parte per loro. Informato dallo Spirito Santo, Pietro s’indignò al punto tale che Anania, il marito, e poi Saffira, la moglie, caddero morti davanti a lui. Cosa che provocò, precisa Luca, grande timore in tutta la Chiesa.

I convertiti ellenizzati, com’erano chiamati gli ebrei di livello sociale e culturale più elevato che si convertivano al cristianesimo. Presto in conflitto con gli ebrei palestinesi, cioè i fondatori, che hanno dalla loro l’autorevolezza delle origini.

L’apostolo Filippo è il primo cristiano del Nuovo Testamento a convertire un gentile: un eunuco etiope, quindi un alto funzionario, attratto dall’ebraismo tanto da andare in pellegrinaggio a Gerusalemme. Filippo lo vede sulla strada per Gaza mentre legge il profeta Isaia. Si offre di guidarlo nella lettura. Il brano è su un personaggio chiamato «l’uomo dei dolori». Filippo spiega che si tratta di Gesù e gli racconta la storia. Poi, appena arrivano a una sorgente d’acqua, lo battezza.

I Vangeli nel raccontare il prcesso a Gesù concordano nel dire che la responsabilità della morte di Cristo è degli ebrei. Lo accusano di blasfemia, reato che prevede la lapidazione. Ma il Sinedrio non ha il potere di emanare condanne a morte, e passa dunque il caso alle autorità romane, badando bene a non presentarlo come un caso religioso (perché il governatore Pilato non procederebbe al processo) bensì politico. Secondo il professore Hyam Maccoby, invece, la responsabilità degli ebrei nella condanna a morte di Gesù è un’invenzione: nella realtà storica egli era «una specie di Che Guevara che i romani, con l’ausilio dei loro uomini di paglia sadducei, ma non dei buoni farisei, hanno arrestato e giustiziato con la sbrigativa brutalità che adottavano alle prime avvisaglie di minaccia dell’ordine pubblico».

«Non è difficile capire perché gli evangelisti abbiano sostenuto e fatto trionfare questa versione revisionista. Le chiese di Paolo volevano essere gradite ai romani, e che il loro Cristo fosse stato crocifisso per ordine di un governatore romano rappresentava un serio problema. Per spiegare la crocifissione di Cristo, quarant’anni dopo hanno cominciato a dire che Ponzio Pilato era stato costretto a cedere a forti pressioni e, anche se formalmente la sentenza e l’esecuzione erano opera dei romani, la decisione e la vera responsabilità erano degli ebrei». Nascita dell’antisemitismo cristiano.

Leggende che circolavano su Paolo, tra i suoi contemporanei: non era ebreo, ma si era fatto circoncidere perché innamorato della figlia del sommo sacerdote di Gerusalemme. Eseguita da un dilettante, la circoncisione lo aveva lasciato impotente: motivo per cui era stato ferocemente deriso dalla donna amata. Il desiderio di vendetta, dunque, lo aveva spinto a scrivere libri contro la circoncisione, lo Shabbat e la Legge.

La casa dove si svolse l’ultima cena, a Gerusalemme, era di una donna di nome Maria, che aveva un figlio di nome Giovanni Marco, cioè Yohanan (il nome maschile più diffuso) cui aveva aggiunto, perché così usava, il romano Marcus. La tradizione dice che questo Yohanan Marcus è l’autore del Vangelo noto con il nome di Marco.

Marco, l’unico evangelista che nel descrivere l’arresto di Gesù al Getsemani mette il particolare di un ragazzo che, a differenza degli apostoli addormentati, seguì Cristo mentre lo portavano via. Visto dai centurioni, provò a fuggire: un soldato romano lo prese per la veste, ma gli rimase tra le mani e il giovane corse via nudo. Forse si trattava proprio di Giovanni Marco, cioè dello stesso evangelista.

La tesi delle due fonti. Marco è stato il primo a scrivere il Vangelo. Matteo e Luca hanno ripreso molto da lui nello scrivere i loro Vangeli. Ma Matteo e Luca avrebbero avuto accesso anche a una seconda fonte, che Marco forse non conosceva ed era ancora più antica del suo Vangelo. Si ipotizza che siano stati presi da questa seconda fonte (chiamata Q, da Quelle, fonte in tedesco) tutti i brani comuni a Matteo e Luca, ma non presenti in Marco. Inoltre, Matteo e Luca disponevano ciascuno di una terza fonte, diversa.

Roma, l’unica città del mondo antico a svilupparsi anche in altezza. I palazzi erano talmente alti che l’imperatore Augusto aveva vietato di superare il limite di otto piani. Ma gli imprenditori edili cercavano in ogni modo di aggirare il decreto.

Marziale, che abitava in affitto in un appartamento al terzo piano, si lagnava regolarmente perché con quello che pagava avrebbe potuto comprarsi una confortevole tenuta in campagna.

Dopo Paolo, altri si sono messi a scrivere lettere. Giacomo e Pietro non sapevano scrivere in greco e, anche ammesso che le lettere tramandate con i loro nomi siano state redatte quand’erano vivi e sotto la loro sorveglianza, si sono avvalsi dell’aiuto di scribi. Pietro alla fine della sua lettera specifica di averla dettata a un certo Silvano, ma menziona anche Marco, che chiama «figlio mio». Forse il futuro evangelista. In quella di Giacomo non compaiono nomi, ma è scritta in un greco molto elegante e cita la Bibbia nella versione dei Settanta. Lo scriba potrebbe essere stato Luca.

«Non compio il bene che desidero, ma il male che odio» (Paolo di Tarso).

Tra i Romani, un uomo libero poteva praticare sesso anale, ma non subirlo (era prerogativa degli schiavi). Fellatio, cunnilingus e donna a cavallo dell’uomo erano pratiche oscene.

I primi quattro discepoli erano Simone, che sarebbe diventato Pietro, suo fratello Andrea, quindi Giovanni e suo fratello Giacomo detto, poiché era il più vecchio, “il Maggiore”: tutti e quattro facevano i pescatori sul lago di Tiberiade prima di abbandonare ogni cosa.

Gesù chiamava Giacomo e Giovanni Boanerghés, figli del tuono, per il loro carattere irruento. Luca racconta che un giorno Giovanni se la prese con un uomo che scacciava demoni invocando il nome di Gesù pur non facendo parte dei discepoli. Voleva denunciarlo, ma Gesù gli disse di lasciarlo stare: «Chi non è contro di noi è per noi».

Tertulliano afferma che all’epoca della persecuzione di Nerone, anche Giovanni, come Pietro e Paolo, era a Roma. Subì il martirio: fu gettato in una vasca piena d’olio bollente. Ma riuscì a sopravvivere. Secondo la tradizione, durante i suoi viaggi non si separava mai da Maria, la vecchia madre di Gesù.