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 2015  maggio 27 Mercoledì calendario

MANGANELLI E LA PRIMA VOLTA: «MEGLIO TARDI CHE MAI»

A Gubbio, secondo una tradizione secolare, chi gira tre volte intorno alla Fontana del Bargello, ottiene la «patente di matto». A Gubbio, Francesco Magnanelli è stato allevato calcisticamente: nato qualche chilometro più a est, a Umbertide, e cresciuto a Badiale, un paesino del tifernate - valle del Tevere -, arrivò giovanissimo nel club rossoblù, che lo fece esordire a nemmeno 17 anni. Roba da matti, appunto. Eppure Magnanelli, come calciatore, è tutto fuorché matto. Lo raccontano il suo curriculum e le sue caratteristiche. Pirlo come idolo ma De Rossi come riferimento «molto molto alla lontana», il Magna annusò la Serie A partendo da Gubbio verso il Chievo: un anno con la prima squadra, niente esordio. Poi la Fiorentina in B: un anno con la prima squadra, niente esordio. E allora la Sangiovannese, C1, 7 presenze e tanta panchina. È il 2005 e Magnanelli fa l’incontro della vita: vuole giocare, c’è posto in C2. A Sassuolo. Comincia la storia neroverde. La C2, la C1, poi la B, infine la A. Magnanelli capitano, leader, uomo simbolo della scalata. Non bomber, non tocca a lui: un gol in C1, 3 in B. La A, poi, siamo seri, è la A. Fino a domenica. Alla presenza numero 56 nel massimo campionato, segna la sua prima rete. Vale tre giri intorno alla Fontana del Bargello.
Che sensazione si prova a segnare il primo gol in Serie A?
«Ottima, anche perché arrivavo da due mesi di infortunio (sofferto contro l’Empoli a marzo, era rientrato contro il Milan due domeniche fa, ndr ). Rientrare così fa molto piacere, la soddisfazione è doppia».
Il primo gol in carriera se lo ricorda?
«È talmente lontano... Non ne ho fatti tantissimi, però sono sempre stati bei gol. E anche quello contro l’Udinese lo è stato: un gran tiro di prima in diagonale. Realizzato tra l’altro in un momento delicato e difficile, che ci ha portato a ottenere tre punti che reputo molto importanti: per la crescita professionale e personale, per chiudere bene la stagione e anche per ottenere una classifica prestigiosa».
Ma se lo ricorda o no quel primo gol?
«Certo, anno 2007, maggio come stavolta, penultima di campionato contro la Pistoiese in C1: ci garantì l’accesso aritmetico ai playoff, non posso dimenticarlo. Anche allora un tiro da fuori, dal limite dell’area, ma dall’altra parte rispetto al gol di Udine. Ne ho fatti pochi, quindi me li ricordo tutti...».
È arrivato tardi in Serie A, 28 anni. Quanto ha sbagliato lei e quanto chi non la «vedeva»?
«Penso sia stato un processo di crescita mio personale, poi le situazioni, la fortuna, le scelte ti portano ad andare a prendere una strada o un’altra. Questo è il mio percorso. Ho avuto la grandissima forza e la grandissima fortuna di trovare una società nel momento giusto, ci siamo scambiati tanto, sono arrivato in Serie A con le mie gambe e finché reggeranno difficilmente mollerò questo club. Preferisco così che magari arrivare due o tre anni prima in A per altre strade. Sono molto orgoglioso del mio percorso».
Al Sassuolo siete quasi tutti italiani. Quanto vi aiuta?
«Devo ammettere che sono molto nazionalista. Gli stranieri li voglio ma che siano veramente bravi. Quando si dice che non ci sono grandi settori giovanili in Italia e che i giovani fanno fatica, io vado controcorrente. Per me ci sono, e sono forti. Se guardiamo la nostra Under 21 non è di meno rispetto alle altre. Abbiamo giovani di talento e andrebbero fatti giocare: ma senza aspettarsi subito tutto. In questo il Sassuolo è esemplare. Io credo molto nell’attaccamento alla maglia, a una nazione, a parlare la stessa lingua. Poi ben vengano gli stranieri, ma che facciano la differenza».
Tra gli allenatori che sono passati da Sassuolo c’è anche Allegri. Con voi ha vinto la C1 e ora si gioca la Champions. Se lo sarebbe aspettata una traiettoria così vincente in Europa?
«Sì ma non così velocemente. Sapevo che era un predestinato e che più giocatori forti avrebbe allenato e più situazioni delicate da gestire avrebbe dovuto affrontare, e meglio ne sarebbe venuto fuori. Perché aveva una gestione dello spogliatoio, degli uomini e dell’ambiente fuori dal comune. E nel tempo sarà pure migliorato. Da parte mia gli dico che se è là magari per un pezzettino lo abbiamo aiutato anche noi. Spero torni da Berlino con la Coppa, dimostrazione che il calcio italiano è tutt’altro che in declino».
Lei però è milanista.
«Dalla nascita. Ma sono contento di aver rubato ai rossoneri qualche punto (6 su 6 quest’anno... ndr ), perché lo sport è questo».