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 2015  maggio 26 Martedì calendario

Notizie tratte da: Mario Desiati, La notte dell’innocenza. Heysel 1985, memorie di una tragedia, Rizzoli 2015, pp

Notizie tratte da: Mario Desiati, La notte dell’innocenza. Heysel 1985, memorie di una tragedia, Rizzoli 2015, pp. 181, 16 euro.

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«Tu pretendi di fare la rivoluzione senza sapere che ha fatto la Juventus?» (Palmiro Togliatti).

«Quando cade l’acrobata, entrano i clown» (Michel Platini ricordando i fatti dell’Heysel nel primo anniversario della trasferta).

Mercoledì 29 maggio 1985, Bruxelles, stadio Heysel, è in programma la finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool. Prima della partita le cariche degli hooligans inglesi costano la vita a 39 persone: 32 italiani, quattro belgi, due francesi e un irlandesi (fatale il crollo di un muro nel settore Z). Circa 600 i feriti. Le squadre giocarono lo stesso. Vince la Juventus 1-0 con gol di Platini su rigore (concesso per un fallo su Boniek commesso ampiamente fuori area). I bianconeri diventano così la prima squadra ad aver conquistato tutte e tre le coppe europee.

L’Heysel è uno stadio costruito nel 1935 per l’Esposizione Universale. Inizialmente si chiama stadio del Giubileo. «Da fuori non ha proprio le fattezze di un vero impianto sportivo, dietro le curve c’è addirittura un prato con degli alberi che digradano verso l’alto formando una collinetta. La tribuna centrale assomiglia a un fabbricone e ci sono due coperture soltanto per i settori centrali. I muri esterni, così come molte parti della struttura, sono fatti di calcestruzzo, un conglomerato composto da acqua, sabbia, ghiaia, ma anche calce e cemento. Può contenere 50.000 spettatori, anche se negli anni Trenta ne poteva contenere 70.000, i posti non sono numerati e con qualche escamotage si arriva anche a superare la massima capienza consentita. Le richieste di tagliandi per la finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus e il Liverpool sono dieci volte superiori alla sua capienza […] L’Heysel si presenta con una pianta simile alla maggioranza degli stadi di quegli anni, con un largo spazio tra curva e campo da gioco, pista d’atletica e aree per la cartellonistica».

Il settore Z inizialmente doveva essere misto, in realtà è occupato quasi interamente dai tifosi bianconeri. A dividerlo dai settori X e Y, tutti dei supporter del Liverpool, ci sono solo una rete metallica alta circa due metri sostenuta da paletti di
profilato metallico del diametro di ottanta millimetri e una decina di poliziotti, tra cui una donna con un cane lupo al guinzaglio

«Nel pomeriggio la gendarmeria è intervenuta fuori dallo stadio per sedare l’assalto a un chiosco di hot dog, dove gli inglesi hanno rapinato la titolare e sua figlia. L’assalto al chiosco di hot dog resta per tutto il pomeriggio, e fino a sera inoltrata, l’unico intervento messo a verbale dalle forze dell’ordine belghe, che ancora non sono al corrente di quanto sta accadendo all’interno dello stadio».

«19.07, un minuto prima dell’incidente. Il settore z contiene 6.000 spettatori. Il settore X e il settore Y dovrebbero contenerne circa 17.000, ma vi sono almeno 5.000 tifosi inglesi in più che sono entrati senza biglietto. Il settore Z è colorato, variegato, ci sono uomini vestiti di bianconero in modo anche pittoresco, le tute acetate e cappelli buffi a falde tese, tre tipi vestiti ironicamente da mafiosi che deridono certi radicati luoghi comuni sugli italiani. Gli sfottò sono blandi, ma gli inglesi vicino al settore z provocano, vorrebbero uno scontro, sono troppo alterati dall’alcol per capire che davanti a loro ci sono solo famiglie e sparuti cani sciolti. La rete leggera cade facilmente, viene tagliata, scavalcata, non c’è più; un parà reduce della guerra nelle isole Falkland chiama la carica, la gente scappa, cerca una via di fuga verso il prato, ma i pochi poliziotti presenti non capiscono il dramma in cor- so e manganellano gli italiani che vogliono fuggire dal settore e scavalcano la recinzione che lo divide dal campo».

Alle 19.49 lo schermo nero dello stadio riporta a grandi lettere bianche il seguente messaggio: «Si prega di contenere ogni manifestazione di gioia o disapprovazione nei limiti della sportività e di collaborare con i servizi di sicurezza nell’esercizio delle loro funzioni».

Superato l’orario in cui era previsto il fischio d’inizio della partita, ovvero le 20.15, i tifosi dei Reds si mettono a intonare ripetutamente il coro: «We want football! We want football!».

Il ricordo di Cesare Prandelli, quel giorno in campo negli ultimi minuti della partita: «Manca un bel po’ al via. Siamo concentrati. Quella Coppa è importantissima. È ciò che manca alla Juve. C’è silenzio. Poi arriva Boniperti. È sconvolto. Urla. Grida che non si gioca, parla di morti, è fuori di sé. Noi non capiamo cosa stia accadendo. Boniperti va via chiamato dai dirigenti Uefa. Arriva il suo autista, uno piccoletto, ci dice di aver visto dei cadaveri sotto lenzuoli bianchi davanti allo stadio. C’era confusione. Panico. Non si capiva bene. Poi arrivò qualcuno a dirci che dovevamo andare in campo e giocare per motivi di sicurezza. Era un ordine. Nessuno di noi pensava a giocare. Mi ricordo un silenzio surreale. Occhi bassi. Io nel frattempo ero stato incaricato di dire a tutti i nostri familiari presenti di tornare assolutamente in albergo».

Il telecronista italiano è Bruno Pizzul. «Pizzul era puntuale, professionale, mai enfatico, rigoroso nel trasmettere le informazioni che arrivavano confuse ma che lui traduceva con chiarezza e buon senso. Si percepiva la solitudine del cronista che filtrava la messe caotica di notizie incontrollabili con una cautela che lo rendeva ammirevole, come un inviato di guerra al fronte. Il fatale riscontro arriverà più tardi a metà diretta, con un sospiro: “La fonte è dell’Uefa: pare ci siano trentasei vittime”. Ce ne saranno trentanove, ma l’Italia apprese in quel momento la notizia della più grave tragedia».

Il giornalista di Radio Rai Bruno Gentili: «Ero entrato in possesso della lista degli italiani che avevano perso la vita, Ameri la consultò senza dire una parola, la mise da una parte e, nonostante le pressanti richieste degli ascoltatori che chiedevano notizie dei propri familiari, non volle mai comunicare quei nomi».

Alle 20.30 i giocatori scendono tra i tifosi, i primi sono Cabrini, Tardelli, Brio. Sono quasi aggrediti dalla folla, «Pare ci siano dei morti» gli urlano, e loro sono lì per calmarli, la Juventus non vuole giocare, si sta ipotizzando il rinvio.

L’altoparlante che rimanda la voce del capitano della Juventus Gaetano Scirea: «La partita verrà giocata per consentire alla polizia di organizzare la protezione durante l’uscita dallo stadio, non rispondete a provocazioni, restate calmi, giochiamo per voi».

«Quasi le nove di sera, c’è ancora luce sull’Heysel. I tifosi della Juventus hanno ritirato ogni striscione e ogni bandiera. L’elicottero rosso che ruba le immagini per portarle nei teleschermi dell’Eurovisione restituisce la fotografia di uno stadio apparentemente normale, un piccolo spicchio grigio ricoperto di detriti, una curva in festa e un’altra curva mesta, silenziosa. Alcuni tifosi juventini, andati a cercare vendetta, sono rimasti sulla pista d’atletica: sono una dozzina, dinoccolati, magri, e iniziano un giro di campo nel quale avvisano tutti di tenere nascoste sciarpe e bandiere in segno di rispetto e lutto, anche se il tam tam all’interno dello stadio è ancora convulso, girano voci strane, un morto, sette morti, ventuno addirittura, il muretto su cui erano appoggiati dei tifosi è crollato, forse sono di nazionalità miste. È un invito che viene rispettato da tutti».

Così Enrico Ameri in diretta radio alle 21, quando arriva l’Uefa da conferma, parziale, dei morti: «I morti ufficiali finora sono soltanto due, e noi adesso per il momento ci fermiamo a questi due morti, che sono già molti, che sono già troppi, per questo spettacolo sportivo che stasera tocca veramente il fondo della tragedia».

«Alle 21.40 inizia una partita che alcuni bene informati dicono finta. A quale punto siamo giunti. Poiché si gioca, mi tocca guardare» (Gianni Brera).

La partita ha inizio esattamente alle 21.42, circa un’ora e mezza dopo l’orario previsto. I due capitani Phil Neal e Gaetano Scirea si scambiano il gagliardetto e si stringono la mano. L’arbitro svizzero André Daina procede al lancio della monetina. Il sorteggio è favorevole agli italiani. Scirea sceglie la metà campo a sinistra della linea mediana, che dà le spalle al settore Z. Agli inglesi spetta il calcio d’inizio.

Alle 23.30, un attimo dopo che Scirea ha liberato di testa la sua aerea, l’arbitro Daina fischia la fine della partita. Se davanti ai settori X e Y i poliziotti sono ormai troppo numerosi perché gli ultras inglesi possano invadere il campo, i tifosi juventini delle tribune laterali approfittano della minore vigilanza per riversarsi sul prato. Si gettano sui giocatori, vogliono abbracciarli.

La cerimonia di premiazione al centro del campo è annullata. Il presidente dell’Uefa Jacques Georges consegna la coppa a Platini negli spogliatoi. Poco dopo il capitano della Juventus torna sul campo con il trofeo in mano e con i suoi compagni va sotto la curva dei tifosi bianconeri per festeggiare.

Sull’aereo del ritorno Scirea, Cabrini, Rossi e Tardelli affidano a Gianni Mura una sorta di comunicato per spiegare cos’era davvero successo alla fine della partita: «Ci hanno consegnato una Coppa e ci hanno detto di mostrarla ai nostri tifosi. Non ci rimaneva che terminare la nostra recita. L’abbiamo fatto. Nessuno è venuto a dirci niente. Ci hanno solo raccomandato di rimanere nella metà campo dello stadio dove c’erano i tifosi della Juventus. Non sapevamo assolutamente che fare, se dirigerci verso il luogo del disastro e magari eccitare ulteriormente gli animi oppure recitare soltanto fino in fondo il ruolo che ci avevano chiesto. Lo abbiamo fatto con la morte nel cuore e speriamo soltanto che nessuno ci chieda più una cosa simile, mai più».

Scendendo dall’aereo, al ritorno in Italia, il vicecapitano bianconero Sergio Brio viene immortalato mentre alza la Coppa al cielo in segno di vittoria. Un gesto che farà indignare i parenti delle vittime e tutta l’opinione pubblica. L’allora direttore della Gazzetta dello Sport Candido Cannavò scriverà un editoriale in prima pagina intitolato: «Juve, abbassa quella Coppa».

«Le autopsie furono rapide, invasive, molto violente. I corpi vennero letteralmente squartati e malamente ricuciti, per arrivare frettolosamente al referto “morte accidentale”. I corpi non furono suturati per affrettare i tempi del rientro e gli effetti personali di molti non furono mai recuperati perché oggetto dello sciacallaggio degli hooligans».

Nel processo che seguirà, i ventisei accusati, riconosciuti dalle telecamere e dalle fotografie durante atti di linciaggio e aggressione, dissero che erano stati provocati, che gli italiani avevano picchiato un bambino, ma di questo bambino inglese picchiato non ci sarà nessuna traccia.

«Mi è stato chiesto migliaia di volte di parlare dell’Heysel e ho sempre detto di no. Ho il diritto di tenere per me i miei sentimenti, non ho voglia di ritrovarli su un libro o su un giornale» (Michel Platini)