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 2015  maggio 26 Martedì calendario

È MAI POSSIBILE CHE LA MINISTRA PINOTTI POSSA FARE MEGLIO DEL PENTAGONO CONTRO L’ISIS IN IRAQ? DATI SU CUI RIFLETTERE

Sarà mai possibile che Roberta Pinotti riesca là dove hanno fallito Barack Obama e il Pentagono? «L’Italia, se ci sarà bisogno, è pronta a dare un aiuto ancora più forte contro l’Isis» ha detto la ministra della Difesa. «Sono già pronti 240 dei 280 soldati che invieremo in Iraq per dare una mano alla lotta che l’esercito iracheno e i curdi stanno conducendo contro lo Stato islamico». Non è noto se la ministra Pinotti, prima di affermazioni tanto impegnative, fosse stata messa al corrente di quanto aveva appena dichiarato il segretario Usa della Difesa, Ashton Carter, intervistato dalla Cnn, proprio sulla scarsa voglia di combattere dell’esercito iracheno. Nel tentativo evidente di soccorrere il presidente Obama, che pochi giorni prima aveva annunciato un’inesistente vittoria sull’Isis, coprendosi di ridicolo di fronte al mondo, il ministro Usa della Difesa ha spiegato la perdita del controllo della città strategica di Ramadi, in Iraq, con queste parole: «Quello che è successo, a quanto pare, è che le forze irachene non hanno mostrato alcuna volontà di combattere l’Isis e di difendersi. Possiamo addestrarli, possiamo dargli equipaggiamenti, ovviamente non possiamo dargli la voglia di combattere».
Ma se la situazione è questa, che senso ha mandare 280 soldati italiani in Iraq? Che cosa fa credere alla ministra Pinotti che i nostri addestratori militari siano più bravi dei loro colleghi americani nel convincere i soldati iracheni a sfidare sul campo i tagliagole dello Stato islamico? Mistero. «Fra le nazioni, l’Italia è quella che ha fornito un contingente fra i più significativi, proprio perché abbiamo compreso la gravità del rischio», ha sottolineato la Pinotti. «Quello dell’Isis è un punto su cui la comunità occidentale si gioca il futuro e la convivenza civile con l’Oriente: l’Isis è una minaccia per il mondo che vuole vivere senza oppressioni e terrorismo». Giusto. Ma per sconfiggere l’Isis, che dispone di milizie sempre più numerose e bene armate, ed è ricco dei pozzi petroliferi conquistati, le belle parole servono a ben poco. Basteranno 240 addestratori? Non è disfattismo, ma è lecito dubitarne.
Sul piano delle motivazioni, è bene ricordare che la stragrande maggioranza dei giovani italiani (66,7%) che hanno fatto domanda per partecipare al concorso militare di Vfp1 (Volontario in ferma prefissata di un anno) erano disoccupati provenienti dal Sud e dalle isole. Più o meno la stessa percentuale si registra per chi si propone per una ferma volontaria di quattro anni (Vfp4), con l’obiettivo di un posto fisso per qualche anno e uno stipendio di 800 euro al mese. Il risultato è che l’esercito italiano (102 mila unità) è composto da personale proveniente per il 50,8% dal Mezzogiorno, e per il 20,7% dalle isole (Sicilia e Sardegna).
Il sito linkiesta.it, che ha intervistato numerosi volontari Vfp1 e Vfp4, rivela che la maggioranza si arruola per sfuggire alla disoccupazione, spesso con il miraggio dei 3.500 euro di stipendio, dati a chi partecipa alle missioni all’estero, le più rischiose. Molti lo fanno perché hanno già moglie e figli da mantenere, altri per comprare la casa. Dopo il congedo, i più tentato di reinserirsi nella società, anche con lavori umili. Ma non di rado capita che molti, delusi, si arruolino di nuovo, avendone l’età, pur di avere un salario sicuro rispetto ai lavori in fabbrica o nell’edilizia. Piaccia o meno, al netto della retorica, la realtà è questa: abbiamo un esercito fatto da giovani che cercano in primo luogo un rimedio alla disoccupazione. E nessuno di loro ha veramente la passione per le armi, tantomeno voglia di battersi con l’Isis. Quanto ai 240 addestratori, sono forse sono più motivati dei soldati iracheni che dovrebbero convincere a combattere? Il dubbio è grande.
Poi c’è la questione delle risorse economiche. Giovedì 21 maggio è uscito il «Documento programmatico pluriennale per la Difesa per il triennio 2015-2017», che negli ambienti militari ha suscitato non poche preoccupazioni per le continue riduzioni di spesa. Il budget 2015 della Difesa si attesta a 13,1 miliardi, di cui 9,6 per gli stipendi del personale militare e civile (73,3%), 2,3 miliardi per gli investimenti (18%) e 1,1 per l’esercizio (8,7%). A causa dei tagli imposti dai vincoli del bilancio statale e dalla crisi, la spesa complessiva scenderà sotto i 13 miliardi nel 2016 (12,3 miliardi), per risalire di poco nel 2017 (12,7 miliardi). Il grosso della spesa (oltre i 9 miliardi) resterà quella destinata al personale, che sommando le tre forze armate conta più di 174 mila unità, di cui circa 90 mila sono ufficiali e sottufficiali. Più comandanti che comandati.
Il divario organizzativo con gli Usa è clamoroso. In Italia vi sono circa seicento fra generali e ammiragli, mentre gli Stati Uniti, che vantano un apparato militare di un milione 400 mila uomini, hanno appena 900 ufficiali dello stesso livello. Per contro, da noi l’eccellenza militare, pronta per le operazioni sul campo, è ridotta ai minimi termini, tra 12 e 15 mila unità, di cui 5 mila impiegate nelle 28 missioni all’estero. In pratica, un esercito per lo più di burocrati con le stellette. Una realtà che, per giudizio unanime degli analisti militari, va cambiata al più presto.
Tino Oldani, ItaliaOggi 26/5/2015