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 2015  maggio 25 Lunedì calendario

NON È VERO CHE LE IMPRESE SONO POI COSÌ PICCOLE

Per un Paese tanto abituato a considerare se stesso un’eccezione, rendersi conto di essere normale a può risultare spiazzante. L’Italia è nella media: non è particolarmente affetta da nanismo d’impresa. L’Ois, l’Organismo di contabilità, si è messo a fare i conti e ne è venuta fuori una realtà in parte sorprendente. In Italia solo lo 0,6% delle imprese è descrivibile come «grande», secondo la definizione statistica comunemente accettata in Europa: queste aziende hanno più di 250 dipendenti o un fatturato superiore ai 50 milioni di euro l’anno. Nel Paese ci sono 6mila gruppi di queste dimensioni, e in proporzione al totale delle imprese la loro incidenza è esattamente pari alla media europea (0,6%), non è molto inferiore alla media tedesca (1%) ed è persino superiore al peso relativo delle grandi imprese in Gran Bretagna, Francia e Spagna. Non solo: la proporzione di micro-imprese nel sistema produttivo italiano non risulta affatto elevata in maniera anomala, al contrario è inferiore alla media europea. Questa categoria (fatturato entro il milione di euro, fino a dieci dipendenti) pesa in Italia per il 71% del totale delle imprese, mentre la media europea è di dieci punti più alta e in Francia o Gran Bretagna addirittura nove imprese su dieci risultano piccolissime. Non ha dunque molto senso attribuire semplicemente alla struttura pulviscolare del sistema produttivo la caduta delle produttività che ha segnato il Paese negli ultimi vent’anni. Dev’esserci qualcos’altro. Dove in realtà emerge una relativa anomalia italiana rispetto alle medie del continente, è semmai in un punto più specifico: la proporzione fra strutture produttive piccole e medie; quelle che, rispettivamente, hanno fra i 10 e i 50 addetti e quelle che ne hanno fra i 50 e i 250. Qui in effetti l’Italia è diversa: ha molti più «piccoli» rispetto alla media continentale (il 25% del totale, contro il 15% europea) e chiaramente meno «medi» (il 2,5%, contro il 3,3%). La Germania ha il 6% di aziende in questa categoria e anche la Spagna presenta una concentrazione di aziende medie superiore all’Italia. Di qui può venire dunque un’indicazione utile per il governo, se vuole aiutare il sistema produttivo a rafforzarsi: può introdurre incentivi fiscali alle fusioni e aggregazioni fra imprese piccole, perché divengano medie e possano godere di migliori economie di scala a tutti i livelli. Se non succede, è perché il costo degli sgravi peserebbe troppo sul deficit pubblico. C’è però qualcosa che si può fare da subito, senza creare buchi di bilancio: cancellare gli oneri fiscali e minimizzare quelli amministrativi sulle imprese che vogliono fondersi, e magari non lo fanno proprio per evitare questi costi. Qui il governo dovrebbe agire subito. Sarebbe utile. E darebbe un segnale di direzione per la struttura produttiva della sesta economia manifatturiera del mondo.
Federico Fubini, Affari&Finanza – la Repubblica 25/5/2015