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 2015  maggio 25 Lunedì calendario

LA LEZIONE SVEDESE IL DEFICIT FA BENE SE FINANZIA LA RICERCA

Stoccolma
L’aeroporto è perfetto, ma la compagnia aerea di bandiera non basta più: troppi svedesi cittadini medi viaggiano benestanti in ogni stagione per ferie in mari lontani, troppi businessmen atterrano qui ogni giorno e notte. Arlanda accogliente e postmoderno, lontano dalla città ma tanto il treno da 210 orari ti ci porta in 20 minuti, surclassa Zurigo Francoforte o Monaco, è lo hub perfetto di Sas, ma i low cost di lusso come Norwegian, airlines premium del Golfo o aviolinee vicine come Finnair devono soccorrere Sas per il volume di arrivi e partenze. Poi quando quel treno-proiettile made in Sweden ti porta in corsa in centro, anche venendo da Berlino vedi un altro mondo: gente ben vestita casual o classico in ogni quartiere, belle signore, famiglie giovani sempre con carrozzine, teenagers in carriera nelle start-up che crescono come funghi: sorridono, passeggiano, comprano. La ripresa svedese la cogli subito, da Ostermalm quartiere bene in decollo ma rimasto abitativo, sopravvissuto alla gentrification col suo splendido mercato coperto bella époque, a Sodermalm zona dei designers e dei geni internettiani, fino alle città-satelliti più lontane dove la Tunnelbana ( l’elegante métro profondissimo perché visto il Grande Vicino è anche rifugio atomico) ti porta puntuale giorno e notte: anche laggiù, gente a basso reddito e una marea di migranti ed esuli, massima percentuale al mondo per abitante, vivono dignitosi. Le cifre fanno impressione, devi leggerle per distrarti dai continui segnali di gioia di vivere, lo ‘hej’ (ciao) sorridente con cui tutti ti accolgono – qui non esiste il ‘lei’, dài del tu anche al re – o i continui joggers che ti schivano scusandosi. Prognosi di crescita del pil più 2,7-2,8 quest’anno, più 3 od oltre nel 2016. Debito sovrano un tempo mostruoso, oggi abbattuto a medie del 35-40 per cento del pil, sacrifici solidali varati in tempo negoziandoli, mi fa notare mostrandomi i dati Mats Dillén, l’ascoltatissimo direttore dell’Istituto pubblico per la Congiuntura, e sottolinea: “La disoccupazione è ancora troppo alta, 8 per cento, ma l’occupazione cresce dell’1 per cento l’anno, e i migranti ed esuli da Siria e altre zone di guerra spesso si integrano, e aumentano la natalità”. L’export produce metà del pil ed è tutto eccellenza: auto di lusso, aerei ai migliori livelli tecnici Usa o cinesi, elettronica, tlc, Internet con invenzioni come Skype o Spotify. Eppure la Riksbank, la Banca centrale, ha sposato la linea Draghi: tassi negativi, quantitative easing. Stefan Ingves, il governatore, blinda a modo suo il miracolo del Grande Nord, diffida dell’ortodossia targata Maastricht e lo dice in pubblico: rigore Bundesbank? No, grazie. Meglio così: Volvo sta aprendo un impianto in Usa per sfidare Bmw Audi Mercedes e Lexus, la grande industria spende sempre più nella ricerca appoggiata dall’alto bilancio della pubblica istruzione, insiste Mats Dillén, . Qual è il segreto? Consenso e fiducia tra Stato e cittadini, fisco pesante accettato, valori costitutivi comuni tra sinistre al governo e moderati all’opposizione solo a metà, appoggiano i rossoverdi al potere su ogni voto-chiave per sbarrare la strada ai populisti. E convinzione di dover riflettere e cambiare sempre, mi fa capire Christina Persson, la potentissima ministra del Futuro. Già, un dicastero per progettare lo sviluppo ipercompetitivo ma insieme solidale e sostenibile. Affidato guarda caso a una donna, come la diplomazia, con Margot Wallstroem, e la guida della (quasi) opposizione moderata con Anna Kingberg Batra. Gender revolution, e non solo. “Crescita insieme a Quantitative easing e tassi negativi, sembra un paradosso ma non lo è”, mi dice Dillén. “La Riksbank teme debito privato e bolle immobiliari, ma il mercato interno è fortissimo, tira come l’export, non è serie B rispetto all’export come in Germania. E il nuovo governo di sinistra non cancella le riforme fatte per creare più occupazione, varate dai moderati prima al potere e ora là in Parlamento ad appoggiare i progressisti. La storia è anche lunga, solo con sacrifici coraggiosi siamo scesi da un debito che negli anni Novanta, all’80 per cento del pil come oggi in Germania, ci appariva inaccettabile e troppo minaccioso”. Fabbrica Volvo in Usa, tlc globali, sistema bancario solido, caccia Saab 39 Gripen venduti molto meglio degli Eurofigther anglotedescoitaliani o dei Rafale francesi, “ma solo a democrazie”, precisa la compagna Margot Wallstroem. I successi del made in Sweden li incontri ovunque, ma senza l’autocritica-autocoscienza comune sarebbero impossibili, suggeriscono a Rosenbad, il palazzo del governo in riva alla baia che affaccia sul castello reale. “Il mondo corre, non ci aspetta, i baby-boomers come me invecchiano, dobbiamo ripensarci di continuo per restare insieme efficienti e solidali”, mi diceva di recente Christina Persson, la ministra-stratega del Futuro. “Ci servono più migranti, anche per finanziare la previdenza, ma dobbiamo ancora imparare a integrarli, così come dobbiamo imparare di continuo a mantenere il welfare finanziabile”. Persino le voci neoliberisteconservatrici dissidenti qui hanno poca voglia di obiettare: “Temo che un giorno i socialdemocratici rinneghino il loro pragmatismo attuale e vogliano più tasse e dirigismo, ma al momento non lo fanno”, mi dice il giovane, brillante Jesper Ahlgren di Timbro, il think tank neoconservatore. “Gli errori che ci ferirono”, continua, “li fece in passato la Banca nazionale coi tassi alti spinta dal timore di bolle immobiliari. La politica attuale, sviluppo solidale con tassi negativi e Qe, è un esperimento anomalo ma credo sia la scommessa giusta, un’economia forte e non deindustrializzata sopporta tassi negativi, che aiutano nella moderazione nei negoziati contrattuali nell’industria e mantengono forte il mercato interno”. Capacità di progettare, pragmatismo, solidarietà e concertazione con la “Lo”, i fortissimi sindacati che Christina Persson ascolta ogni giorno come tratta coi vertici di Volvo, Ericsson e Saab, insieme a spirito globale. Il modello nordico è in crisi altrove, dalla Norvegia per i prezzi del greggio in calo alla Finlandia in recessione da tre anni anche per ortodossia stile Bundesbank. Qui no. E allora crescono, nell’establishment della splendida Stoccolma, riflessioni e dubbi sull’eurozona e su ogni prospettiva di addio alla corona per l’euro. “Entrare in un’area monetaria globale vuol dire contare di più nel mondo”, nota Dillén spiegando la strategia del governo di cui è consigliere, “però anni di recessione dell’eurozona ci hanno frenato. E l’insufficiente flessibilità dei loro Patti ci lascia perplessi. Noi con un debito sovrano meno di metà di quello tedesco perché mai dovremmo entrare in un’area in cui un disavanzo primario ancora al 2 per cento, lo usiamo per ricerca scientifica e istruzione, ci farebbe rischiare procedure punitive? Il target di ridurlo e portarlo a un avanzo primario dell’1 per cento lo abbiamo già deciso, da soli. E sarà grazie al mercato interno forte e non punito da rigore a oltranza, e alle altre sponde dell’export, Nordamerica Cina e Brasile, se lo raggiungeremo più presto”.
Andrea Tarquini, Affari&Finanza – la Repubblica 25/5/2015