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 2015  maggio 26 Martedì calendario

E PARTE LA CACCIA AGLI UNICORNI

C’è una parola tabù a San Francisco e dintorni. È “bolla”. Anche se alcuni sintomi ricordano proprio l’atmosfera esaltata e irreale di fine ’99 inizio 2000, cioè l’ultima bolla speculativa di Internet, quella che si concluse col fracasso del Nasdaq nel marzo del 2000. Anche oggi una visita a San Francisco rivela cantieri di grattacieli che crescono come funghi, prezzi immobiliari e affitti alle stelle, “gentrification” che avanza implacabile coi ragazzini milionari delle start-up che sfrattano il ceto medio tradizionale. Ma “bolla” non si può dire. E allora parte la caccia agli Unicorni. La nuova metafora è questa. Gli animali mitologici qui vengono evocati per alludere a quelle start-up che hanno già superato un miliardo di dollari di valore. Non ancora quotate in Borsa, e già appetite dagli investitori – le cerchie privilegiate che possono entrare nell’azionariato – al punto da sfondare quella soglia ambita. I più celebri tra gli Unicorni sono già ben oltre, valgono un multiplo di quella soglia: Uber è stimata 50 miliardi di dollari. Pinterest è stimata a 11 miliardi.
La maggior parte degli Unicorni hanno nomi quasi sconosciuti al grande pubblico. E molti non hanno ancora chiuso un solo bilancio in attivo, cioè con un profitto vero. (Non è il caso di Uber, che nel 2015 stima di incassare ricavi di 10 miliardi). Quest’ultima – la fragilità dei bilanci – è l’altra caratteristica che ispira le analogie con l’euforìa del 1999, perché anche allora molte dot.com richiedevano un atto di fede, i ricavi e gli utili erano ipotetici. Un altro aspetto preoccupante è il fatto che molti fondi comuni d’investimento a larga diffusione, quelli che raccolgono risparmio delle famiglie, stanno investendo anche negli Unicorni. Grandi gruppi del risparmio gestito come Fidelity, Janus, T. Rowe Price, che tradizionalmente acquistavano solo azioni di società quotate in Borsa (poiché dovrebbero dare maggiori garanzie di trasparenza) sgomitano per entrare nel club esclusivo degli azionisti di Unicorni. Non è proprio quel che si dice un comportamento prudente, se chi investe nei fondi sta cercando di costituirsi un’integrazione della pensione.
Anche perché l’altra accezione dell’Unicorno, è quella che lo vede condannato all’estinzione. La Silicon Valley a questo è abituata. Ci vogliono cento o mille o diecimila start-up destinate a schiantarsi, prima di veder nascere la prossima Apple o Google. È nel Dna di questa terra, che incarna a meraviglia la teoria della “distruzione creatrice” di Joseph Schumpeter, più di recente rilanciata dai guru del management che esaltano l’innovazione “disruptive” (dirompente, sconvolgente). Come descrizione del nuovo capitalismo è affascinante, come modello di sviluppo per l’intera società, un po’ meno. Tra Unicorni digitali, e lupi di Wall Street, è il ceto medio a rimanere schiacciato in mezzo.