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 2015  maggio 24 Domenica calendario

CORDIALE AMARCORD DEL FANTASTICO CAV

Lascia o raddoppia? Arrivato alla soglia dei 79 anni, Silvio Berlusconi annuncia che abbandona la politica. Ma sarà vero? Io non ci credo. Il Cavaliere è un simpatico bugiardo e neppure dieci gemelle di Francesca Pascale potrebbero convincerlo a dire la verità. Del resto al Cav darsi da fare nella battaglia contro i partiti avversari è sempre piaciuto, persino più che sollazzarsi con il meglio della gioventù femminile. Altrimenti alla fine del 1993 non avrebbe deciso di scendere in campo su un territorio abitato dal peggio dell’umanità: ladri, truffatori, corrotti, tangentari, molti dei quali forniti di mandato parlamentare con relativo vitalizio. Confesso di aver scritto troppo sul conto del Cavaliere. E quasi sempre contro di lui. Ho persino pubblicato uno dei primi libri che tentavano di farlo a pezzi: L’intrigo, uscito nel 1990, un quarto di secolo fa. Però adesso mi dispiace che Silvio decida di gettare la spugna. Ho un anno più di lui. E penso che noi anziani non dovremmo mai scendere dal ring. Checché ne dica quel bamboccione del Renzi, i giovani in agguato per cibarsi delle nostre spoglie valgono poco. Quasi tutti sono stupidi come i bambini del Belgio. A sentire mia nonna Caterina, non si accorgevano neppure che i tedeschi del Kaiser gli tagliavano la mano destra per impedirgli, da grandi, d’imbracciare un fucile. Le qualità superiori del Berlusca ho avuto modo di constatarle la prima e unica volta che lo incontrai. Era la sera di lunedì 21 novembre 1977, a Milano nevicava, i tram sembravano spettri in tuta bianca. Stavo impalato all’ingresso della Sacrestia delle Grazie in attesa di intervistare Amintore Fanfani. Ma a vietarmi il passaggio c’era Giampaolino Cresci, il butirroso portavoce del professore. Strillava: «Non puoi entrare adesso, il senatore deve ricevere un personaggio ben più importante di te!». Gli chiesi: «E chi è questo stronzo?». Ma Giampaolino scuoteva il testone, strillando: «Segreto, segreto!». Finalmente, a bordo di una berlina corazzata, arrivò il super vip. Era il Berlusconi, in quel momento presidente della Edilnord progetti e proprietario di Telemilano, che prometteva di diventare la più potente televisione privata dell’Italia del nord. Mi ero occupato di lui in un libro appena uscito per Bompiani: «Comprati e venduti», un saggio sui giornali e i potenti. A Silvio erano dedicate poche righe dal momento che aveva acquistato il 12 per cento del Giornale di Indro Montanelli. Cresci fu costretto a presentarmi. E il Cav mi azzannò: «Ah, lei è Pansa! A pagina 215 del suo libro mi definisce un neopalazzinaro. Ma si sbaglia. Lei non sa chi sono io, chi siamo noi. Il palazzinaro è soltanto uno che approfitta della fame di case. Noi siamo tutt’altra cosa. Noi costruiamo quartieri modello, dove trionfa l’ecologia e la gente vive nel verde. Corregga, Pansa, corregga!». Poi sparì di corsa dentro la sacrestia, preceduto da un cerimonioso Cresci, insuperabile pesce pilota. Potrà sembrare strano, però dopo di allora non ho più incontrato di persona il Cav. Ma per un ventennio e passa la mia vita professionale è risultata uno specchio che rifletteva le imprese del Berlusca. Tanto che oggi mi domando quali articoli avrei scritto e quali opinioni avrei nutrito senza la presenza costante, l’allegria spavalda, la disinvoltura anche sessuale del Cavaliere. Con la sua prima vittoria, nelle elezioni del 1994, mi ha messo sotto gli occhi la debolezza casinara della sinistra italiana. Vi ricordate la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto? Doveva asfaltare Silvio e segnò la fine del povero Baffo di ferro. Tutto quello che è accaduto dopo sul versante rosso della Casta lo dobbiamo all’esistenza del Cavaliere. L’ingresso di Max D’Alema alle Botteghe oscure. La nascita dell’Ulivo. L’arrivo a Palazzo Chigi del professor Romano Prodi. L’andata e ritorno al potere delle tante sinistre. E quello che è successo dopo, sino ai governi di Monti, di Letta e dell’attuale Bamboccione fiorentino, non l’avremmo mai visto se non ci fosse stato l’imperialismo mediatico di Silvio. Vale a dire il suo piacere di interpretare la parte del leader sempre pronto a stupire il prossimo. La sorte ha voluto che fosse la cartina di tornasole in grado di svelare se i suoi avversari erano quaquaraquà oppure competitori intelligenti. Ancora oggi, quando accendo la tivù e vedo un politico o un giornalista che si scaglia contro il Berlusca come se vivessimo sempre nel 1994, sapete che cosa faccio? Cambio subito canale e vado alla ricerca di un film con Bombolo e Alvaro Vitali. Nei talk show circolano indisturbati signore e signori che nel 2015, non sapendo che cavolo dire, si affannano a dipingere Berlusconi come se fosse un nuovo Adolf Hitler o un redivivo Benito Mussolini. E mi viene spontaneo dire: ma cercatevi un moroso o una morosa e sfogatevi con loro. Qui si entra in un capitolo delicato della storia di Silvio: le ragazze. Anch’io penso che il Cavaliere avrebbe dovuto comportarsi con saggezza. E non strafare, infischiandosene delle conseguenze. Ma la carne è debole: ecco una regola che vale per tutti. Del resto, che mortorio sarebbe stata la politica italiana senza le tante bonazze di Silvio? Diciamo la verità: è merito loro l’aver reso sexy migliaia di pagine dei quotidiani e dei settimanali che altrimenti sarebbero finite nel cestino della carta straccia senza essere lette da nessuno. Da che mondo è mondo, il potere ha sempre avuto un arredo fondamentale: il letto. Il Cav ci ha condotto per mano in un paese dei balocchi strapieno di ragazzaccie che altrimenti non avremmo mai incontrato. La magica Ruby, nipote di Mubarak. La Nicole Minetti con la bella faccia da monella audace. La severa D’Addario. Il carnevale delle Olgettine. Sino alla solare Pascale che possiamo soltanto invidiare a Silvio. Berlusconi è passato da un incendio all’altro, senza mai bruciarsi del tutto. Pensate a Licio Gelli e alla Loggia P2. Poteva mancare il suo nome in quella lista di potenti, veri o fasulli? Assolutamente no. Quando ha dovuto spiegarlo a un magistrato, non l’ha fatta lunga: «Speravo di ricavarne un vantaggio come presidente del Consorzio per l’edilizia industrializzata. In più avevo della Massoneria una considerazione positiva, pensavo al Risorgimento. E poi mi piace far parte di un club. In America mi sono iscritto persino all’Associazione per la difesa dell’Alce Selvatico». Dove trovarlo un altro leader politico capace di battute alla Woody Allen? In Italia assolutamente no. Da noi la Casta è sussiegosa. Tutti sono convinti di essere dei Premi Nobel. In tivù non parlano: pontificano. Stare ad ascoltarli è una perdita di tempo. E poi, lasciatelo dire a un vecchio signore: nella Casta ci sono di certo molte donne attraenti, ma i loro capi le tengono nascoste in cantina per paura di sfigurare nel confronto. L’unico che le ha sempre mostrate è stato il Cav. Volete un nome? Mara Carfagna, una bellezza ultra terrena, tanto da scatenare la gelosia di Veronica Lario, la legittima di Silvio che si decise a rompere il matrimonio. Il Berlusca è sempre stato un hombre vertical, come dicono gli spagnoli. Senza neppure il timore di mostrarsi in pubblico tenendo tra le braccia Dudù, il barboncino di Francesca, la nuova regina. Al Bestiario fa malinconia che oggi Berlusconi voglia ritirarsi a vita privata. Ecco il motivo che mi ha spinto a scrivere questo cordiale amarcord in onore di un fantastico Cavaliere.