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 2015  maggio 25 Lunedì calendario

Get up and fight, sucker. Alzati e combatti, pappone. In una delle più celebri fotografie sportive della storia, scattata dall’americano Neil Leifer, si vede un gigante piantato in mezzo al ring che sbraita verso un uomo sdraiato a pancia in su

Get up and fight, sucker. Alzati e combatti, pappone. In una delle più celebri fotografie sportive della storia, scattata dall’americano Neil Leifer, si vede un gigante piantato in mezzo al ring che sbraita verso un uomo sdraiato a pancia in su. Il gigante è Muhammad Ali, l’uomo sdraiato Sonny Liston. È la sera del 25 maggio 1965, il luogo è la St. Dominic’s Arena di Lewiston, l’occasione è il campionato mondiale dei pesi massimi di pugilato. Cinquant’anni esatti fa: la storia di uno sport in un’immagine. Ma anche la storia di un pugno mai dato, o forse soltanto non visto. Non lo videro dal vivo i 2.434 spettatori paganti che stavano attorno al ring. Non lo videro coloro che stavano davanti alla tv. Non lo vediamo oggi che, connessi con YouTube, passiamo e ripassiamo i dieci secondi fatali di quello che è stato definito il match del pugno fantasma. Si tratta (tratterebbe) di un corto gancio destro che Ali fa scattare, in risposta a un blando jab sinistro di Liston, un minuto e 44 secondi dopo l’inizio del match. Liston si affloscia al tappeto come se fosse stato colpito da un missile terra-aria, tenta di rialzarsi, si riaffloscia, poi a fatica si rimette in piedi. La gente si guarda stranita: che cosa è successo? Il combattimento riprende, ma per pochi secondi, finché l’arbitro Jersey Joe Walcott (ex campione mondiale) lo arresta dichiarando Ali vincitore. Il match conferma il titolo che Ali ha conquistato l’anno prima a Miami, sempre contro Liston, sempre in maniera discussa: a fermare «Big Bear», il Grande Orso, come viene chiamato, è un misterioso infortunio alla spalla che lo costringe ad alzare bandiera bianca prima del settimo round. È storia che i due match contro Liston siano considerati una pagina oscura nella carriera di Ali, pugile nella prima fase della carriera e, seppur predestinato, bisognoso di attenzioni e riguardi. La mafia avrebbe condizionato pesantemente i due combattimenti: di sicuro c’è che Liston era «cosa loro», e che gli fu chiesto di non ostacolare il passaggio di testimone tra lui, vecchio campione ormai spremuto, e l’astro emergente appena ventitreenne. Liston, che non era uno sprovveduto, non fece opposizione, incassò le sue cambiali (si parla di una partecipazione finanziaria alle future borse di Ali) e voltò pagina alla sua carriera. Quanto al nuovo campione, il match di Lewiston fu il definitivo trampolino di lancio verso una carriera luminosa e, per quel che se ne sa, conquistata sul campo grazie al talento e a durissimi allenamenti. Molti anni dopo, davanti a un plotone di giornalisti, Ali avrebbe brillantemente spiegato la sua personalissima teoria del pugno-fantasma: «Nessuno l’ha visto? È perché tutti gli spettatori, contemporaneamente, hanno sbattuto le ciglia. Ecco perché». Li si è avuta la conferma di che stoffa era fatto l’uomo che ha rivoluzionato un intero sport. Cinquant’anni dopo, ciò che resta di quel match è un iconico scatto fotografico dove è riassunto il senso di una disciplina che, come scrive Joyce Carol Oates, «è il più teatrale ed emblematico degli sport». Mezzo secolo dopo, Lewiston continua a rimanere un’oscura cittadina del Maine a 200 chilometri da Boston; Sonny Liston riposa in pace da molti anni in un cimitero di Las Vegas; Ali combatte ogni giorno, a 73 anni, la sua battaglia contro il Parkinson. E la grande boxe è morta da un pezzo: per questo, ogni tanto, si fa bene a ricordare qualche pagina importante del suo passato.