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 2015  maggio 24 Domenica calendario

CARA, VECCHIA BANCONOTA CHE CI GARANTISCI LIBERTÀ

Nella seconda metà del Duecento, Kublai Khan, imperatore della Cina, faceva stampare grandi quantitativi di carta moneta ricavata dalla scorza del gelso. Vi faceva apporre il proprio sigillo e usava queste «carte» in luogo dell’oro e dell’argento, per effettuare i pagamenti pubblici. «Nesuno», come racconta Il Milione di Marco Polo al capitolo 95, «li osa refiutare, a pena della vita». L’imperatore emetteva queste «carte» anche per facilitare il commercio, a fronte di depositi di «perle e oro» da parte dei «mercanti», come i governanti europei impararono a fare due-trecento anni più tardi.
È quanto meno curioso trovare la citazione di un testo medievale in un libro scritto da un esponente di rilievo della nuova cultura informatica. Succede in un volume su «la fine del denaro», che conserva il suo titolo inglese nell’edizione italiana («The end of money», edito dagli Itinerari Laterza nella serie Chefuturo!). L’autore è David Wolman, giornalista, saggista, una delle colonne di «Wired», il mensile emblematico di questa cultura.
Per un non informatico, il fascino di questi prodotti culturali deriva in buona parte dalla precisione di accostamenti inaspettati, da un’erudizione poliedrica che lascia da parte le regole del «saggio», tradizionale prodotto culturale degli intellettuali ormai vecchio stile. Diventa così un prodotto nuovo in cui all’argomentazione intellettuale si mescolano incontri, interviste, testimonianze, persino, si potrebbe dire, divagazioni. Facciamo la conoscenza – quasi per caso, come in una «navigazione» su Internet - di falsari e pastori battisti, di tecnici della moneta elettronica e di nostalgici della moneta cartacea in un viaggio senza un ordine preciso che nelle sue tappe annovera l’Islanda e Honululu.
Che il denaro non sia soltanto un mezzo di scambio ma abbia un’ampia dimensione sociale lo aveva già scoperto il sociologo tedesco Georg Simmel, il cui saggio Filosofia del denaro comparve nel 1889. Il filosofo Vittorio Mathieu, dell’Università di Torino scrisse un saggio dal medesimo titolo nel 1985 in cui, rovesciando le convinzioni correnti, sostenne il carattere «ideale» del denaro, catalizzatore delle aspettative umane, in contrapposizione a quello «materiale». Friedrich von Hayek, premio Nobel dell’economia nel 1974, invocò la privatizzazione della moneta e la libertà dei singoli di scegliere di operare con la moneta preferita e forse le nuove monete elettroniche, come l’americana Bitcoin, ricordata nel libro di Wolman, vanno in questa direzione.
Tutto ciò può rappresentare il retroterra ideale di Wolman, ma il suo interesse immediato è per i biglietti di banca e il loro fruscio, per le monetine e il loro tintinnio come dimensione della nostra vita. Potremo vivere senza di loro? Curiosamente, come Wolman sottolinea, senza peraltro approfondire, la moneta cartacea o metallica, nata almeno in parte per imposizione del sovrano, da simbolo di potere diventa simbolo di libertà. Con le banconote e le monetine, infatti, i nostri acquisti non potranno essere «tracciati», i computer di Google non riusciranno a definire il nostro «profilo», che rischia di diventare una moderna forma di schedatura. Sia pure per una parte ridotta delle nostre transazioni, la moneta emessa da quel signore antico che è lo Stato garantirà almeno un poco la nostra indipendenza. Vecchi anarchici e vecchi despoti si daranno con riluttanza la mano sullo sfondo di una moneta da 100 euro.
Mario Deaglio, TuttoLibri – La Stampa 24/5/2015