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 2015  maggio 24 Domenica calendario

LA MAIL, L’INCONTRO MANCATO E L’OCCASIONE PERSA DA DETROIT

NEW YORK
Anticonformismo e provocazione contro la palude. In Italia ci siamo abituati, Sergio Marchionne riesce sempre a sorprendere. Ma ieri la notizia “ufficiale” di una sua email dello scorso marzo al Ceo di Gm per proporre una fusione ha sorpreso anche Wall Street e il New York Times, che in genere reagiscono con distacco a curiosità intriganti, come la novità di questa nota, «inusuale», come scrive il New York Times. È giusto che un Ceo si rivolga via email a un altro Ceo per proporre una fusione? È giusto sollevare un polverone, come ha fatto Marchionne in un incontro con gli analisti lo scorso 29 aprile riprendendo i temi della sua lettera alla Gm, allora sconosciuti, che riguardano la necessità di un consolidamento del settore? Il Ceo di Fca ha confermato ieri la sua tesi e ha rilanciato il tema: nel settore ci sono troppi protagonisti, si spende troppo – miliardi di dollari - in ricerca su nuovi motori, su nuove tecnologie, su nuovi metodi produttivi e c’è uno spreco di risorse che abbatte i margini di profitto potenziali. L’unione fa la forza insomma, mettiamoci insieme e debelliamo gli sprechi: «È immorale continuare così» ha detto.
Il messaggio è coraggioso. È anche degno della visione che ha sempre contraddistinto Marchione, «provocatore capo» come titola il New York Times che ha pubblicato una lunga intervista con lui. Ma è anche rischioso, almeno nel breve termine: dopo le sue dichiarazioni agli analisti sulla necessità di consolidare il settore, il mercato e gli operatori non hanno preso l’appello come un messaggio del Profeta della montagna, ma come una richiesta di aiuto da parte di un manager che temeva di vedere la Fiat Chrysler stritolata dalle altre grandi. E il titolo Fca ha perso il 10%.
È qui che subentra il «disconnect» tra l’irrequieto e creativo Marchionne e l’establishment industriale e finanziario americano, cosa di cui forse il capo di Fiat Chrysler dovrebbe prendere nota. Mi spiego: anche se le sue uscite sono in buona fede per alcuni non sono altro che «gimmicks», «trucchetti» per attirare l’attenzione e muovere il titolo al rialzo. Già a marzo/aprile, quando abbiamo avuto le prime indiscrezioni di un possibile interesse Chrysler a una fusione con Gm, il gossip a Wall Street diceva che il messaggio su Gm era in realtà per Volkswagen. Chissà che con lo spauracchio Gm i tedeschi non avrebbero deciso di scendere in campo. Il messaggio del mercato con le vendite del titolo però è stato chiaro: certi toni non piacciono. In effetti Marchionne rischia di peccare di incoerenza: da una parte promette di vendere 7 milioni di nuove vetture all’anno, dall’altra sembra dire che sarà difficile . Ieri ha cercato di chiarire: volevo solo aprire un dibattito, «se si deve procedere con una fusione si parla coi banchieri» ha detto. Ha anche chiesto ai concorrenti di seguirlo nell’impostare la prossima piattaforma negoziale con il sindacato americano, puntando su una convergenza verso il basso del costo del lavoro. Ma la risposta è stata prudente. C’è una cosa da aggiungere: Marchionne sa bene che con i «gimmicks» non si va molto lontano. E dietro il suo lavoro c’è di sicuro molta più sostanza che «gimmicks»: ha più che raddoppiato il target iniziale di vendita di Jeep da 500.000 a 1 milione, ha organizzato con successo una fusione tra due grandi dell’auto in difficoltà che ad altri (e parliamo di Daimler Benz) non era riuscita, ha “inventato” nuovi prodotti. Conoscendolo c’e da credere che Marchionne potra’ sorprendere coi fatti chi oggi reagisce perplesso alle sue parole di visione per il futuro. Di certo un manager come Mary Barra avrebbe fatto meglio a incontrarlo: nel discutere e nell’immaginare il futuro non ci si perde mai nulla. Soprattutto quando dall’altra parte del tavolo c’è un personaggio vulcanico che si muove fuori dalle logiche consolidate.
Mario Platero, Il Sole 24 Ore 24/5/2015