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 2015  maggio 24 Domenica calendario

IL BUCO DELL’IVA E L’IPOTESI COPERTURA CON IL RIENTRO DEI CAPITALI

Copertura una tantum da definire per decreto in giugno, attraverso la sostituzione della «clausola di salvaguardia» con 728 milioni di nuove entrate garantite nell’anno in corso dal gettito atteso dal rientro dei capitali con il meccanismo della voluntary disclosure. Copertura a regime a partire dal 2016 da affidare alla prossima legge di stabilità. Si vanno definendo al ministero dell’Economia le contromosse per far fronte alla bocciatura dell’estensione del «reverse charge» alla grande distribuzione.
È la norma inserita nel pacchetto antievasione della manovra di bilancio per il 2015 che in sostanza punta a recuperare gettito attraverso l’inversione del meccanismo di versamento Iva per il comparto della grande distribuzione. Responso negativo per la verità atteso da settimane, tanto che i tecnici di Via XX Settembre già da alcuni giorni hanno cominciato a delineare lo scenario alternativo, ferma restando l’intenzione del governo di evitare che scatti dal 1° luglio l’aumento di 2 centesimi al litro delle accise su benzina e gasolio. È quanto prevede appunto la clausola inserita per blindare i conti in previsione di eventuali obiezioni da parte di Bruxelles. Il punto è che a parere dell’esecutivo comunitario quella norma, decisamente contestata dal mondo delle imprese, non era strutturata in modo da garantire un efficace contrasto alle frodi fiscali, con il rischio che queste ultime si trasferiscano al settore del commercio al dettaglio e ad altri Stati. Misura giudicata per questo non in linea con l’articolo 395 della direttiva comunitaria sull’Iva. Materia che per la verità occorre maneggiare con molta attenzione, poiché proprio sull’Iva (di fatto l’unica imposta realmente comunitaria) il controllo da parte degli organismi europei è da tempo alquanto stringente, anche attraverso l’individuazione di una forchetta di aliquote minime e massime all’interno delle quali devono muoversi le singole legislazioni nazionali.
La decisione del governo non sarà tuttavia immediata. La vera urgenza è disinnescare la clausola di salvaguardia e per questo – fanno rilevare fonti governative – c’è tempo formalmente fino almeno a metà giugno. Il ricorso alle maggiori entrate garantite dall’operazione rientro dei capitali è al momento la soluzione più accreditata. Più arduo intervenire a metà esercizio finanziario attraverso tagli alla spesa che non potrebbero che essere “lineari”, e dunque con effetti potenzialmente depressivi del ciclo economico. Il tutto in un anno in cui ancora si fanno i conti con i risultati attesi dai tagli già disposti a carico dei ministeri (1,5 miliardi) e degli enti territoriali (5,1 miliardi). La “dote” della spending review (10 miliardi dal 2016) è poi già interamente “prenotata” per disinnescare l’altra e più dirompente clausola di salvaguardia da 17 miliardi nel 2016 e 22 miliardi nel 2017. Entro il 2017 l’Iva passerebbe da 10 al 13% e dal 22 al 25,5% entro il 2018, mentre le accise su benzina e gasolio aumenterebbero di 10 centesimi.
Si potrebbe in linea di principio finanziare il mancato gettito del «reverse charge» elevando leggermente l’asticella del deficit nominale per l’anno in corso, ferma al momento a l 2,6% del Pil. Ma è un rischio che il governo non pare disposto a correre, a pochi giorni dalla decisione assunta per far fronte alla sentenza della Consulta sul blocco biennale dell’indicizzazione delle pensioni con importi superiori a tre volte il minimo. Per gran parte il bonus che scatterà dal 1° agosto è finanziato ricorrendo all’ex “tesoretto” (1,6 miliardi) ricavato dallo scarto tra la previsione di deficit tendenziale e programmatico. Operazione costruita nella fondata aspettativa che il Pil cresca quest’anno di almeno lo 0,7%. La Commissione europea, nel commentare la decisione assunta dal governo, non ha sollevato obiezioni ed ha apprezzato (non a caso) soprattutto il rinnovato impegno a mantenere ferma la stima di deficit per il 2015. In ballo – e non è una partita da poco conto – vi è la clausola di flessibilità sulle riforme che vale 6,4 miliardi a partire dal prossimo anno, a condizione che il deficit nominale resti al di sotto della soglia limite del 3% e che non si arresti il percorso di riduzione del debito.
Si prova dunque a far fronte alla nuova tegola che si è abbattuta sui conti pubblici, anche se per la verità stiamo ragionando di importi decisamente più contenuti rispetto ai 17-18 miliardi di costi stimati qualora si fosse deciso di dar corso per intero agli effetti pregressi e a regime della sentenza della Consulta sulle pensioni. Da qui il commento di Matteo Renzi che si dichiara “tranquillo” sull’individuazione della nuova copertura.
Dino Pesole, Il Sole 24 Ore 24/5/2015