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 2015  maggio 24 Domenica calendario

NAZIONALE - 24 maggio 2015 CERCA 54/55 di 64 R2 CULT-Cultura Ad Abu Dhabi dove la moschea è l’unico caveau che non ha oro IMMAGINA di non vedere qualcuno da cinque anni

NAZIONALE - 24 maggio 2015 CERCA 54/55 di 64 R2 CULT-Cultura Ad Abu Dhabi dove la moschea è l’unico caveau che non ha oro IMMAGINA di non vedere qualcuno da cinque anni. Poi lo reincontri. Se è un adulto può avere capelli meno scuri, occhiali nuovi, essersi fatto un “ritocco”, ma sarà più o meno quel che era. Se invece è un bambino potresti semplicemente non riconoscerlo, tanto è cambiato. Roma è eterna, Abu Dhabi è nata ieri l’altro, oggi va a scuola, domani chissà, ma devono e dovranno assicurartelo, che sia la stessa, oppure non ci credi. Cinque anni, l’effetto di cinquanta. Non è il risultato di una somma nel tempo, ma di un elevamento a potenza: si moltiplica mentre respira, come la sorella Dubai, ma con un diverso profilo. Francis Fukuyama doveva essere venuto qui quando concepì l’idea che la storia fosse finita: dai una montagna di soldi agli arabi e riprodurranno l’America, pensò. Non un modello alternativo: il futuro è il presente. Quel che non considerava era l’elemento più improbabile: che qualcuno riproponesse il passato, il califfato che fu, i suoi codici e i suoi riti in un pio miscuglio che mette come primo ingrediente l’antimodernità. Il califfo e l’emirato sarebbero incompatibili. Se lo porti qui o il primo si adegua o il secondo sparisce. È per questo che, inesorabilmente, ti trovi ad apprezzare il luna park della Ferrari, il nuovo megamall, l’isola con la spiaggia artificiale: il male minore è parente co-stretto del bene. E poi, davvero non è possibile completare la creazione con la fantasia, l’eccesso, l’arte? Allora perché questa moschea immensa, costruita esplicitamente perché diventasse un capolavoro islamico e abbagliasse fedeli e visitatori? La scelta del verbo “abbagliare” non è casuale. È una balena bianca rilucente al sole, spiaggiata al lato di uno svincolo autostradale. Lo sceicco Zayed la volle con lo stesso spirito con cui in altre religioni sono stati fatti erigere templi e cattedrali. O con cui i signori della finanza si sono sfidati con i grattacieli. I monoteismi predicano l’Assoluto tramite superlativi relativi: ogni cosa deve essere la più grande. Questa moschea doveva oscurare, e l’ha fatto, quella voluta dal re del Marocco Hassan II a Casablanca, quindici anni prima. È la sineddoche di quel mondo arabo che fa parte dell’1%, è legittimato a Davos, gioca con le squadre di calcio europee, scambia auguri di compleanno con la famiglia Bush. Quando arrivi trovi le indicazioni per il parcheggio sotterraneo e ne risali su una scala mobile. Ci sono guardie a ogni angolo. Non garantiscono tanto la sicurezza quanto il dress code. Vietato superare la corda di velluto rosso, come non si fosse in lista all’ingresso di un locale notturno. Si cammina su superfici levigate, si ammirano rifrazioni di luce. Tutto è bianco, tutto è vuoto: un caveau di marmo con decorazioni floreali che ha messo l’oro all’esterno. Ci sono moschee dove non ti lasciano nemmeno entrare se non sei un seguace dell’Islam. Altre così austere da schiacciarti. Altre ancora, intrise di sacralità e furore. Poi c’è la moschea degli Ommayadi a Damasco, la più viva. Finita la preghiera la gente ci resta. Vedi famiglie fare il picnic, bambini giocare a pallone tra donne nero vestite, uomini fumare seduti con la schiena alle secolari colonne, saccopelisti distesi sotto preziosi lampadari. E, tanti, dormire: sul marmo, riscaldati dal sole, o sui tappeti, russando rivolti al cielo. Trovare la pace, non è forse un nobile scopo della vita? Se solo accenni a sdraiarti nella moschea di Abu Dhabi un custode severo ti telecomanda con lo sguardo di non provarci. Eppure è il riposo che vieni cercando in un luogo sacro, la resa nelle più accoglienti delle braccia. In Marocco, tra le montagne, in un villaggio blu chiamato Chefchaouen mi svegliò di notte la voce del muezzin, che altrove vivevo come un agguato. Aveva, in quel caso, una inedita dolcezza, era soave al punto da farmi pensare: «Come sarebbe bello poterci credere». Tentazioni che svaniscono prima dell’alba. O nel tramonto su Abu Dhabi, quando il richiamo alla preghiera convoca e si sale sul suv per venire a rispondere. Lasciare, prego, all’ingresso i mocassini griffati. Anche la fede ha le sue oasi elvetiche. La potenza dell’islam è nell’assenza. La moschea rappresenta il mondo come un guscio vuoto che riempiamo temporaneamente. Non ci sono immagini, né del profeta né della divinità, si è soli davanti al mistero finché non si accetta l’idea che se ne è parte e non occorre altro che ammetterlo e abbandonarsi. Proprio per questo, ogni volta più forte, torna l’idea che questa concezione abbia avuto una matrice a cui poteva non aggiungere altro, perfetta in sé e per sempre, creata non dall’uomo ma da qualcosa prima di lui: il deserto. Niente poteva essere più grande, assoluto, vuoto. Non c’era bisogno di scriverci sopra i 99 nomi di dio. Sabbia era e sabbia tornerà. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il califfo e l’emirato sarebbero incompatibili. Se lo porti qui o il primo si adegua o il secondo sparisce. È per questo che apprezzi il nuovo megamall: il male minore è parente co-stretto del bene DISEGNO DI PIERLUIGI LONGO