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 2015  maggio 24 Domenica calendario

L’Irlanda ha detto sì ai matrimoni gay “Ora siamo tutti uguali l’Europa ci segua”– IL PIÙ grande gay party della storia celebra nella città di Joyce la fine di un’odissea durata ventidue anni e l’inizio di una rivoluzione in grado di cambiare il mondo

L’Irlanda ha detto sì ai matrimoni gay “Ora siamo tutti uguali l’Europa ci segua”– IL PIÙ grande gay party della storia celebra nella città di Joyce la fine di un’odissea durata ventidue anni e l’inizio di una rivoluzione in grado di cambiare il mondo. L’Irlanda ha votato a stragrande maggioranza “sì” nel referendum sul matrimonio fra “persone dello stesso sesso”, e già questo sarebbe significativo: è la prima volta ovunque sulla terra che una questione simile viene decisa da una consultazione popolare. Ma la svolta è quasi incredibile tenuto conto che su quest’isola soltanto nel 1993 l’omosessualità smise di essere un reato, in quello che era il paese più ferventemente cattolico, moralmente conservatore e ostinatamente tradizionalista d’Europa. «We are all equals», siamo tutti uguali, gridano adesso nei pub, nella strade e perfino davanti alle chiese di Dublino, gli attivisti uomini e donne, gay e lesbiche, avvolti in mantelli e bandiere arcobaleno, nella festa scoppiata spontaneamente subito dopo l’annuncio dei risultati ufficiali. Il “sì” ha prevalso 62,1 a 37,9 per cento, confermando i sondaggi della vigilia, con una maggioranza ancora più forte (oltre 70 per cento) nella capitale. L’alta affluenza alle urne (60 per cento, insolita per un referendum), la massiccia partecipazione dei giovani, l’arrivo da Londra e da tutta l’Inghilterra di molti irlandesi espatriati per votare (non era ammesso farlo per corrispondenza), hanno influito sull’esito. «Siamo un faro, una luce di libertà e eguaglianza per il resto del pianeta », commenta il ministro della Sanità Leo Varadkar, diventato a gennaio il primo membro del governo irlandese a dichiararsi apertamente omosessuale, «oggi è un buon giorno per sentirsi orgogliosi di essere irlandesi». Con lui gioisce peraltro l’intero panorama politico dell’Isola di Smeraldo: il “sì” alle nozze gay era appoggiato da tutti i partiti, di destra, di centro, di sinistra, e da 354 dei 360 deputati del parlamento irlandese, segno di un mutamento d’opinione che attraversa ogni ideologia. Dal cantante Bono all’attore Colin Farrell, dal football alla letteratura alle imprese digitali, tutta l’Irlanda che conta era a favore del “sì”. La Chiesa cattolica locale, pur contraria, per ora tace: ma si era opposta alla nuova legge con minor vigore rispetto ad altre battaglie del passato, come i referendum sul divorzio (approvato di un soffio nel 1995) e sull’aborto (bocciato di pochissimo varie volte — consentito solo in casi eccezionali). «La verità è che l’Irlanda è profondamente cambiata e ha preso una decisione storica, siamo dei pionieri», esulta il primo ministro Enda Kenny. Il boom economico degli ultimi due decenni, nonostante il terremoto della grande recessione del 2008, ha trasformato il suo paese nella “Tigre celtica”, uno dei centri mondiali dell’high-tech, quartier generale europeo di tutte le grandi aziende digitali, contribuendo a modernizzare e laicizzare una nazione proveniente da un passato rurale di fame, miseria ed emigrazione di massa. In più, la Chiesa ha perso prestigio, consensi e fedeli a causa degli scandali sugli abusi sessuali in conventi, scuole e orfanotrofi religiosi: oggi gli irlandesi sono tutti cattolici, ma sempre meno praticanti, o come riassume uno slogan della campagna per il sì sono «in maggioranza cattolici e in maggioranza favorevoli al matrimonio gay». In altre parole è la Chiesa ad essere in ritardo sulla so- cietà e ad avere bisogno di adeguarsi. Ma l’adeguamento è in corso anche altrove. Le nozze tra omosessuali sono state approvate in Francia nel 2013, in Gran Bretagna nel 2014, sono già legali in 34 dei 50 stati degli Usa, dove una sentenza della Corte Suprema potrebbe presto renderle legge federale (Barack Obama ha già segnalato che lui è d’accordo). Il “pionieristico” vento che si alza in questi giorni da Dublino, per usare il termine del premier irlandese, potrebbe abbattere pregiudizi e discriminazioni nel resto d’Europa e farsi sentire, venendo da una roccaforte del cattolicesimo, perfino nella Roma del papa. Del resto bastava fare un giro sabato sera tra il castello di Dublino e Grafton street, la strada che va dal Trinity College, più antica università irlandese, a St. Stephen Green, la piazza della capitale, per capire che a celebrare la vittoria dei “sì” non sono soltanto gli attivisti del movimento gay, ma tutta la città: i tassisti strombazzano il clacson, nei pub si offre da bere, giovani con l’arcobaleno dipinto sulla faccia prendono a braccetto accennando un passo di danza vecchie signore che sembrano uscite da messa. Una giornata particolare e un’Irlanda irriconoscibile, rispetto non solo all’“Ulisse” di Joyce ma pure a quella assai più recente che poco più di vent’anni fa considerava ancora l’omosessualità un reato. E se l’Irlanda dice sì alle nozze gay, è verosimile che possa farlo tutto l’Occidente. «Una piccola isola, ai confini dell’Europa e sulla rotta per l’America, può indicare la strada al mondo », afferma John Lyons, uno dei deputati gay del parlamento irlandese. «Sono la madre di due figli meravigliosi, uno eterosessuale e uno omosessuale, e ora finalmente i miei figli sono uguali», proclama la casalinga Anne O’-Neil, godendosi insieme al marito il gay party collettivo. Ecco la storia bella e istruttiva che ci racconta oggi Dublino.