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 2015  maggio 24 Domenica calendario

NAZIONALE - 24 maggio 2015 CERCA 30/31 di 64 R2 Cronaca Erano chiamate così le donne cinesi dai piedi fasciati

NAZIONALE - 24 maggio 2015 CERCA 30/31 di 64 R2 Cronaca Erano chiamate così le donne cinesi dai piedi fasciati. Sono rimaste in poche Una fotografa ha raccolto le loro storie Ultimi fiori di loto GIAMPAOLO VISETTI PECHINO L’EPOPEA UNIVERSALE DELLA CINA è incisa anche con i piedi. Quelli delle donne, nell’ultimo secolo, hanno scritto il passaggio dall’impero alla repubblica, dalla rivoluzione di Mao all’ancora parziale emancipazione del presente. Oltre la Grande Muraglia la storia si confonde con il dramma: privo di senso per le vittime, denso di lezioni per chi sopravvive. A poter incarnare la crudeltà del tempo che ha sconvolto la nazione, con la dignità dei piedi scampati alla cancrena, non sono rimaste più di cinquanta. Le ultime donne cinesi con i “piedi di loto”, o “gigli d’oro”, sono diventate lo straordinario soggetto di un progetto durato otto anni e tradotto ora nel volume Storia vivente: i piedi fasciati delle donne della Cina di Jo Farrell, fotografa di Hong Kong. Sono quasi centenarie e vivono nello Shandong, o nei villaggi di Tuanshan e Liuyi, tra Yunnan e Shanxi. La mania orientale per i piedi, prima feticcio erotico, simbolo di sottomissione e strumento di riscatto sociale, poi pretesto per la propaganda ideologica, ha rovinato la loro vita. Al punto che solo oggi, mentre nelle aste internazionali le loro scarpette ricamate vanno a ruba, hanno il coraggio di rivelare la sofferenza che le ha private della libertà nella giovinezza, condannandole al dolore nella vecchiaia. Le immagini di Jo Farrell non trasmettono però solo violenza. I piedi rattrappiti diventano il simbolo di un’epoca di sacrifici vasta quanto l’Asia e le donne che hanno accettato oggi di mostrarli riacquistano d’incanto anche la bellezza dei loro occhi giovani, su cui contavano per trovare un marito. Testimoni d’eccezione: hanno resistito a un vita avara zoppicando sui calcagni in campagna, con dieci figli, e incarnano un passaggio cruciale della cultura e della politica dell’Oriente. I loro piedi, da bambine, sono stati compressi in fasce di seta. Dopo cinque anni le dita, piegate sotto la pianta, toccavano il tallone. Le ossa erano frantumate, la carne marcita e poi seccata, gli arti mutilati a dieci centimetri, deformati per sempre. «Ogni notte », racconta Xiong Xiufeng, «mia madre mi bastonava perché cercavo di liberarmi dalle fasce. Alla fine però avevo anch’io i piedi a mezzaluna, simili al bulbo del fiore di loto. E a quattordici anni potevo sperare di attirare l’attenzione di un uomo che sapesse scrivere». Rattrappire i piedi delle donne fu una pratica millenaria. Viene fatta risalire al 900 dopo Cristo, a una concubina dell’imperatore Li Houzhu, decisa a farlo innamorare con una danza. Divenne moda aristocratica, vizio e infine stigma popolare. L’andatura oscillante delle donne cinesi, simili a fiori scossi dal vento, è stata a lungo emblema nazionale. Più il piede femminile era magro e arrotondato, morbidamente adatto a raffinatezze sessuali e al lavoro domestico, più cresceva l’op- portunità di un salto di classe sociale. L’impossibilità di correre delle ragazze, al tempo di Confucio, servì anche per conservare il primato maschile. La mogliebambina non poteva fuggire dalla cucina, dalle bastonate, dalla risaia, o dal telaio delle sete. Solo nel 1902 un editto imperiale ha reso facoltativi i cinquanta tipi di fasciatura, ma ci sono volute la caduta della dinastia Qing e l’avvento della repubblica, nel 1912, perché l’usanza fosse messa al bando. «La forza della tradizione era tale», ha spiegato Pi Guiqiong, «che le madri per decenni costrinsero ancora le figlie a ridursi i piedi a moncherini. Chi si sottraeva era chiamata “piede da elefante” e restava un ramo secco». Dopo il 1949, con l’ascesa del maoismo, i “piedi di loto”, non si scoprirono solo ridicoli e fuori moda, ma pure perseguitati. «Si affermava la parità tra i sessi», ricorda oggi Luo Youzhen, «ma soprattutto l’obbligo femminile di lavorare in fabbrica. Violentate da bambine, ci siamo ritrovate umiliate anche da ragazze». Milioni di donne, costrette a ubbidire alle dinastie imperiali, non potevano eseguire i proletari ordini socialisti delle comuni. Una beffa: da vecchie schiave dell’aristocrazia a nuove vittime della furia contro la borghesia, zimbelli innocenti della campagna anti-capitalista. «Dopo la rivoluzione », racconta Wu Liuying, «ci guardavano con disprezzo. Non potevamo frequentare luoghi pubblici, o camminare per strada. La polizia ci strappava le fasce e ci costringeva a cantare inni alla liberazione del piede. A migliaia, per evitare ritorsioni contro la famiglia, si sono suicidate ». Nel 1928 resisteva in Cina un 38 per cento di donne dai piedi fasciati. Nel 1958 non più del cinque, ridotte alla clandestinità. Quindici anni fa ne sono state censite trecento, mentre nel 2001 ha chiuso la fabbrica di Harbin che confezionava poche centinaia di “scarpette di loto”. Ora siamo agli ultimi cinquanta «reperti archeologici viventi» e il loro sacrificio, documentato nel libro pubblicato dal British Council nell’ex colonia di Londra, si estingue senza alcun riconoscimento. Non una medaglia al valore, una citazione tra le vittime dei passaggi di civiltà, un risarcimento: in Cina, nemmeno la traduzione del volume, censurato, di Jo Farrell. «Mia madre», ha rivelato la storica Yang Yang, «per non essere mutilata dai parenti ha dovuto nascondere i piedi fino a dodici anni. Glieli hanno rotti infine gli emissari dell’ultimo imperatore e, per non farseli spaccare una seconda volta dai funzionari del governo, li ha poi celati fino al 1959. Durante la rivoluzione culturale fu messa alla gogna come passatista. È la metafora della tragedia cinese. Prima di morire era stata ridotta ad attrazione turistica a pagamento». Ora il destino delle sopravvissute, grazie a immagini che commuovono e riscattano, non potrà più essere dimenticato. Quando sono sole, queste donne invecchiate con la ferita dei loro impresentabili moncherini, confessano di ballare ancora sotto i melograni. Sognano di essere ritornate bambine, con dita lunghe e ossa intatte: gli ultimi “fiori di loto” della Cina non sono più ai piedi di un potere. © RIPRODUZIONE RISERVATA OGNI NOTTE MIA MADRE MI BASTONAVA PERCHÉ CERCAVO DI LIBERARMI DALLE FASCE. ALLA FINE AVEVO ANCH’IO I PIEDI A MEZZALUNA. E A QUATTORDICI ANNI POTEVO SPERARE DI ATTIRARE L’ATTENZIONE DI UN UOMO CHE SAPESSE SCRIVERE