Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 24 Domenica calendario

NAZIONALE - 24

maggio 2015
CERCA
10/11 di 64
LA LOTTA A COSA NOSTRA
Il racconto
Nonostante le inchieste Castelvetrano resta il feudo del superlatitante E riapre il negozio di abbigliamento sequestrato dalla Dia alla famiglia
Il sindaco che cercò Messina Denaro “Vive qui protetto da pezzi dello Stato”
SALVO PALAZZOLO
DAL NOSTRO INVIATO
CASTELVETRANO (TRAPANI) .
C’è la fila per entrare al “Mercatone diffusione moda” di via Giallonghi 93, il centro nuovo della città. «Prezzi scacciacrisi », annuncia uno striscione che pubblicizza le collezioni primavera-estate sui colori della bandiera italiana. Che coincidenza. Due anni fa, gli stessi colori facevano da sfondo allo stemma della Repubblica sistemato con grande evidenza su queste vetrine dagli investigatori della Dia: era l’annuncio che un’azienda così in vista veniva posta sotto sequestro. Perché il piccolo centro commerciale è della famiglia di Matteo Messina Denaro, il padrino condannato all’ergastolo per le stragi, che lo Stato non riesce ancora ad arrestare dopo 23 anni di latitanza.
Benvenuti a Castelvetrano, la nuova roccaforte di Cosa nostra. In via Giallonghi, li hanno strappati gli stemmi della Repubblica. Una delle sorelle del boss, Bice, e suo marito Gaspare Como hanno varato una nuova società e riaperto il negozio. Dall’altra parte della città, invece, gli studenti sono scesi in piazza per Falcone. Assieme a loro c’era il sindaco Felice Errante. Ma è stata una manifestazione dai toni dimessi, negli ultimi giorni due giovani si sono suicidati, segno di un disagio sociale ed economico forte nel regno della mafia imprenditrice.
«C’è come una cappa qui», dice il professore Antonino Vaccarino, l’ex sindaco Dc della città che nel 2001 si offrì di fare l’infiltrato dei servizi segreti per provare ad arrivare a Messina Denaro. Per qualche tempo riuscì anche a instaurare una corrispondenza con il capomafia. «Ma poi la notizia di questa operazione così delicata uscì su un giornale — racconta — io però resto qui, nella mia terra». Anche se Messina Denaro gli ha giurato vendetta. Vaccarino gestisce l’unico cinema della città, «il primo aperto in Sicilia, nel 1898 — tiene a ribadire — mio nonno aveva conosciuto i fratelli Lumiere ». Il professore Vaccarino, nei primi anni Ottanta componente della segreteria Fanfani, ha conosciuto invece il padre di Messina Denaro, Francesco, mafioso vecchio stampo.
«So che prima delle stragi del 1992 ha litigato col figlio — rivela — perché non voleva la carneficina che poi si è consumata ». Vaccarino è convinto che il superlatitante sia «da queste parti». Dice: «Nella sua terra può godere di protezione da parte di apparati dello Stato». E aggiunge: «Messina Denaro mi fece sapere che il mio nome in codice per la corrispondenza sarebbe stato Svetonio. Ma come può conoscere Svetonio uno che non ha mai aperto un libro di letteratura latina?». Fa una pausa, Vaccarino. Poi dice: «Catullo era invece il nome che negli anni Novanta i Servizi avevano assegnato all’ex capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera. Quanti appassionati di letteratura latina».
Chissà se gli insospettabili complici dei Messina Denaro hanno aiutato la famiglia ad aprire anche il “Mercatone 2” in via Giallonghi. A Castelvetrano nessuno si meraviglia più di tanto, i Messina Denaro sono sempre stati imprenditori brillanti. Adesso, sono riusciti anche a beffare l’antimafia, che fa dei sequestri la bandiera della lotta ai clan. I vicini di casa dicono addirittura: «Gli hanno restituito tutto». Non è vero. La Direzione investigativa antimafia e la Guardia di finanza continuano a sequestrare beni per milioni di euro in questo lembo di Sicilia, mentre polizia e carabinieri cercano senza sosta il padrino, coordinati dal procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato. Ma quel centro commerciale riconquistato è diventato ora un simbolo per la famiglia della primula rossa della mafia siciliana. E lo ostentano. Persino su Facebook. «Cerchi abbigliamento di ultima tendenza? Ottima qualità e prezzi bassi. Vi aspettiamo ». E giù tanti «mi piace».
All’amministratore giudiziario nominato dal tribunale non è rimasto che cancellare la vecchia società sequestrata, la ditta individuale “Como Valentina”, ormai diventata una scatola vuota. Simbolo del padrino che c’è ma non si trova.
© RIPRODUZIONE RISERVATA