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 2015  maggio 22 Venerdì calendario

«SONO UNO SCRITTORE», COSI’ IN GERIATRIA PASSAI PER MATTO

Sarà capitato a tutti. Una volta nella vita, almeno. Entrare in un ospedale per sottoporsi a un intervento chirurgico. L’ansia la fa da padrona. Soprattutto nei giorni immediatamente precedenti l’evento. L’attesa. La preparazione psicologica e fisica. Si tratta di non lasciare nulla di insondato nel proprio corpo: valori fisiologici... Il sangue, i polmoni… Di modo che, circa lo stato del paziente, il chirurgo, intervenendo, possa compiere il suo lavoro con la maggiore sicurezza possibile. E poiché la chirurgia è “materialista” un solo elemento dell’operando, salvo alcuni casi, è diciamo trascurato: la psiche. In chirurgia non sono molti gli ambiti di manovra nel groviglione esistenziale di cui siamo fatti e che si organizza, volatile, tra le mente e il cuore. Per cui… A meno che, il paziente, pronto all’intervento chirurgico, non abbia superato l’età “canonica da protocollo”: settant’anni. E che, salvo le piccole rogne del tempo, abbia come si suol dire la mente a posto. Va invece a vedere cosa hanno escogitato i sommi saputi. E soprattutto il sistema sanitario nazionale. Una protocollare indagine geriatria è obbligatoriamente preventiva per chi, superati i settanta anni, debba affrontare un intervento chirurgico. Al “protocollo” poco importa del cardiologo, dell’anestesista, del radiologo, ecc. Ci vuole una visita geriatria. Che poi è un colloquio con due curiose in camice bianco che vogliono indagare sulle più sublimi stranezze del mondo, per capire dalle risposte del signore che hanno davanti, se sia in procinto della demenza. Con anche qualche semplicissimo esercizio ginnico: “Con la punta delle mani si tocchi la punta dei piedi”. Oppure: “Stringa questo morsetto per controllare la forza che ancora hanno le sue mani…”.
Allora… Ecco l’esperienza di un signore che ha superato i settanta anni, inviato al “colloquio geriatrico”. L’incontro avviene al padiglione cinque dello storico Ospedale di Genova. Uno di quegli antichi edifici tardo liberty, con un’aria leggermente sinistra, nascosti tra il fogliame. Il signore viene accolto da due in camice. Una, sguardo severo da madre superiora. L’altra, chioma fluente bionda da Amalasunta, con un par d’orecchini modello barbarico, oro e turchese, molto pendenti, tipo quelli indossati dalle comparse nei film sfondo steppa, desolata Siberia. Potrebbe anche pretendere di essere la moglie di Schliemann abbigliatasi con il tesoro di Troia. Qui siamo alla bigiotteria. Le due, dietro a un tavolo dallo smalto semischizzato, in una stanza squallida che rievoca il parlatorio di un carcere serbo, accolgono “l’inquisito” con compiacenza affettata. Gli si rivolgono in tono tranquillizzante, vezzeggioso per metterlo a suo agio. Come si fa con i bambini e gli anziani che non si vogliono spaventare. La madre superiora annuncia che saranno poste alcune semplici domande alle quali “il settantenne” dovrà rispondere. “Domande facili, facili… Intanto come si chiama?”. Il perplesso sciorina le proprie generalità. Quando arriva alla data di nascita, la monaca scrivente – che opera sotto l’occhio attento della bionda barbarica – alza il capo suadente da serpentone, e dice “Lei ha superato i settant’anni. Allora è in pensione”. E il signore: “No. Continuo a lavorare”. Al che la bisciona, fintamente compresa: “ Interessante. E cosa fa?”. “Scrivo per i giornali, pubblico libri, mi capita d’essere invitato a tenere qualche seminario in università in giro per l’Europa… Insomma faccio il mestiere comunemente definito dell’intellettuale”. Da vedere la faccia delle due. Avrebbero potuto anche chiedere: “Che tipo di libri pubblica? Che materia insegna? Quali i giornali dove escono i suoi articoli?”. E invece, convinte che dopo i settanta l’uomo non vi sia più con la testa, con l’aura delle geriatre a piede scatenato, esibendo un incontrollato orgasmo che si percepiva nell’emozional tremito delle loro mani, dandosi un’occhiata d’intesa, le due avevano finalmente un caso da studiare: “Il mitomane ultrasettantenne”. E lì è cominciata la giostra. Nella loro specificità non sono state sfiorate minimamente dal dubbio che il pacifico tipo che avevano davanti fosse un signore che serenamente continuava a fare il mestiere che aveva fatto tutta la vita. Giornalista?. Palle. Per propria convinzione, fatto il giusto traslato, nelle scientificissime e solerti loro menti era uno che credeva d’essere Napoleone.
E lì è cominciata la giostra. Con l’occhio puntuto di una Kalì, la bionda orecchinata, posando il gomito sul tavolo e con un dito indicando l’orologio da polso, fissando invitante e severa il signore, chiede improvvisamente: “E questo casa è?”. Roba da far sobrillare i grattacieli. “E che ha da esse?! Un orologio!”. E poi, levando al cielo una biro, ancora chiedeva imperiosa la biondessa: “E questo cosa è?”. Uno risponde per cortesia. “Una penna a sfera”. E però il signore comincia a inquietarsi. E la bionda barbarica incalzante: “Oggi che giorno è?”. “7 maggio 2015”. “Il giorno della settimana? ”. “Giovedì”. “Dove siamo?”. “Nel quinto padiglione dell’Ospedale di San Martino”. “E in che città siamo?”. “….”. A questo punto il “poveretto” comincia a credere d’essere finito su Scherzi a parte. E cerca da qualche parte la telecamera. Mentre gli viene su dal cuore una frase da premio Nobel mediata dal marchese del Grillo: “Ma qui lo facciamo o stiamo a coglionarci”. Non che l’aria si scaldi. Semplicemente il clima è da altro mondo.
Le due “geriatre” insistono con domande da Monopoli andato a male e il povero ultrasettantenne è sul punto, con un po’ di sana ragione, di rovesciare il tavolo in testa alle “scienziate”, così comprese nella loro “isteria” da non rendersi conto di stare mancando letteralmente di rispetto a una persona che ha superato serenamente i settant’anni e che soltanto nella loro “furia scientifica” “le geriatre” reputano un caso clinico prossimo all’Alzheimer. O quanto meno un esempio di esagitato sociale perché “convinto d’essere un giornalista e uno scrittore”.
E procedono con quiz, tabelle, disegnetti e figure storte e diritte. Infliggendole alla loro sacrificale vittima, ipotetico oggetto di chissà qual pubblicazione o comunicazione in un futuro convegno scientifico: “Il caso dell’uomo che, superati settant’anni, si credeva un intellettuale”.
Al cireneo ultrasettantenne, un po’ per sua natura tollerante, e vista la piega, non restò che buttare in vacca tutti i test delle due invasate. Rispondendo a casaccio. Sperando di far saltare loro ogni schema. Va a vedere, preparato magari in annose riunioni d’altissimo pensamento burocratico in qualche ambulacro del Ministero della Salute.
Poi vi fu il vertice, la prova suprema. La biondazza dagli orecchini pendenti fin alla radice del seno, impose un’estrema richiesta. “Dovrebbe scrivere una frase di senso compiuto”. Al povero mentecatto non restava che ricorrere all’aiuto di tutti gli amati letterati. Vi sarebbero stati. E scrisse: “E ‘l naufragar m’è dolce in questo mare”. Volse il foglio verso le “esaminatrici” e, c’è da credere, con il sorriso più perfidamente acido che natura potesse fornirgli, sibilò: “Adesso il test a voi due lo faccio io. Chi l’ha scritto?”. Le “geriatre” tacquero.