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 2015  maggio 23 Sabato calendario

LE SOCIETÀ PARTECIPATE E I TAGLI DA FARE

Le società partecipate dagli Enti Locali e i servizi pubblici locali vanno razionalizzati per contribuire al rilancio della nostra economia. Questa è una delle recenti raccomandazioni del Fmi all’Italia di cui si apprezzano le riforme in corso. Il tema della riforma delle partecipazioni degli enti locali, già presente nella legge finanziaria del 2008, diventa un programma organico del Commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, nell’agosto del 2014. Infine entra nella Legge di stabilità 2015 e nel disegno di legge delega per la riorganizzazione della Pubblica amministrazione di recente approvato dal Senato ed ora approdato alla Camera. Pare che dal 2008, malgrado il divieto di detenere o costituire partecipazioni in società non necessarie ai fini istituzionali delle Pa, ne siano state invece costituite od acquisite 1264 nuove. I fatti sono dunque andati nella direzione opposta agli intendimenti dei governi. Perciò il disegno di legge di riforma della Pa, in linea con la legge di stabilità 2015, può e deve essere il passaggio risolutivo.
Le unità partecipate pubbliche (Upp). Con riferimento a quelle locali si è parlato spesso del capitalismo o del socialismo o del consociativismo o dell’anarchia municipale. Anche per questo è difficile parlare di imprese. Ogni denominazione mette in evidenza un problema a cominciare da quello che è persino arduo contare e caratterizzare le diverse forme di Upp. Comunque Istat arriva a censire un totale (sull’anno 2012, comprese anche le non locali) di 11.024 unità e di 977.792 addetti. La partecipazione può essere prossima, indiretta o tramite controllate, può essere di uno o più soggetti pubblici con diverse quote di partecipazione al capitale. Impossibile addentrarsi in tutte queste specificità e perciò ci limitiamo a tre caratteristiche.
La prima riguarda la distinzione tra imprese attive (pari a 7.685 per 951 mila addetti) e non attive (pari a 1.454), tra unità varie (agricole, non profit, ecc. pari a 994 unità per 16.500 addetti) e unità residuali (non classificabili pari a 891 unità pari a 9963 addetti).
La seconda caratteristica sono le aree di attività delle Upp che vanno dai servizi pubblici di rilevanza economica a rete (elettricità, acqua, gas, rifiuti, trasporto pubblico locale ove opera il 10,3% delle Upp attive con il 37% degli addetti) fino al commercio all’ingrosso, al dettaglio e alla riparazione di autoveicoli e motocicli (7,3% delle Upp attive). L’elenco è davvero impressionate.
La terza caratteristica, ricavabile dalla analisi di Cottarelli, sono le perdite (stimate per l’anno 2012) delle Upp locali pari a 1,2 miliardi a cui andrebbero aggiunte altre derivanti da costi latenti gravanti sulle amministrazioni locali o sui cittadini per inefficienze varie. Impressionano anche 37mila cariche in consigli di amministrazione per 450 milioni annui. Secondo i dati Istat a commento in sede parlamentare del Def sulle circa 3.000 società controllate dagli enti locali si rileva che due terzi hanno un utile di esercizio per un totale 900 milioni e un terzo ha registrato una perdita di quasi 1,1 miliardi. Solo una analisi specifica evidenzierebbe quali Upp locali (e ce ne sono) risultano efficienti.
In conclusione, per Cottarelli la riduzione delle Upp locali dalle circa 8.000 da lui stimate a 1.000 genererebbe risparmi almeno per 2-3 miliardi di euro all’anno.
Le direttrici di razionalizzazione. Con la Legge di stabilità del 2015 e con il disegno di legge delega per la riforma della Pa si fanno dei passi avanti molto importanti per mettere ordine nella Upp locali con particolare riferimento a quelle detenute da Regioni, Province, Comuni ed altre Amministrazioni locali. A noi pare perciò il lavoro del Commissario Cottarelli possa trovare qui un sbocco normativo importante. Senza entrare nel dettaglio dell’impianto normativo (si veda l’ottima analisi del “Laboratorio Ref ricerche”) sottolineiamo l’importanza di quattro criteri di evidente rilevanza economica e gestionale per ridurre le perdite e migliorare i servizi resi dalle Upp locali.
Il primo riguarda l’eliminazione delle società e delle partecipazioni non indispensabili al perseguimento delle finalità istituzionali degli enti partecipanti; di quelle composte da soli amministratori o con un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti.
Il secondo criterio riguarda sia fusioni delle partecipazioni “ridondanti” in società che svolgono attività sovrapponibili a quelle di altre partecipate o di altri enti pubblici strumentali sia l’aggregazione delle società dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.
Il terzo criterio prescrive per le società che gestiscono attività strumentali all’ente pubblico, criteri per la scelta del modello societario, procedure e limiti per l’assunzione e il mantenimento delle partecipazioni, tenendo conto anche del numero dei dipendenti, del fatturato e dei risultati di gestione.
Il quarto criterio prescrive per le società che gestiscono servizi pubblici di interesse economico generale, si dovranno individuare strumenti e criteri di gestione per assicurare il perseguimento dell’interesse pubblico evitando distorsioni della concorrenza (disciplina dei contratti di servizio e delle carte dei diritti degli utenti, controllo sulla gestione e sulla qualità dei servizi) nel rispetto della disciplina dell’Unione europea. Aspetto su cui insiste anche il Fmi.
Una conclusione. Può essere che nei processi di razionalizzazione delineati ci siano ancora troppi gradi di discrezionalità degli Enti Locali detentori delle partecipazioni nelle Upp. Tuttavia i progressi ci sono sia perché sono previsti incentivi e sanzioni per adempimenti ed inadempimenti sia per il coinvolgimento maggiore della Corte dei Conti. Più in generale è importante che il riordino delle Upp locali proceda in coerenza con la spending review, la Legge di stabilità 2015, il citato ddl delega. Speriamo adesso che sui decreti delegati non prevalga qualche consociativismo municipale.
Alberto Quadrio Curzio, Il Sole 24 Ore 23/5/2015