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 2015  maggio 22 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA QUESTIONE DELLE PENSIONI


LAREPUBBLICA
Non è la prima volta che la Corte Costituzionale viene accusata di sfasciare i conti pubblici, perché le sue sentenze o estendono benefici a categorie che ne erano state escluse o cassano prelievi giudicati incoerenti con i principi della Carta. Nel caso che si discute in questi giorni, quello delle pensioni, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha affermato: "Se ci sono sentenze che hanno un’implicazione di finanza pubblica, deve esserci una valutazione dell’impatto. Anche perché questa valutazione serve a formare il giudizio sui principi dell’equità. L’equità è anche quella del rapporto tra anziani e giovani. Questo è mancato e auspico che in futuro l’interazione sia più fruttuosa".

Penso che questa osservazione sia sbagliata. Non perché l’equilibrio dei conti pubblici sia un problema secondario, ma perché implica un presupposto errato, ossia che questa esigenza sia prevalente rispetto alla costituzionalità di un provvedimento.

Facciamo un’ipotesi assurda. Dopo la sentenza il governo, per trovare i 18 miliardi necessari a rispettarla, vara un nuovo provvedimento: Berlusconi, Del Vecchio, i Benetton e altri 15 ricconi devono versare un miliardo a testa. I soldi ce li hanno, i 18 miliardi arrivano e il problema è risolto. Tutto a posto, almeno fino alla successiva sentenza della Consulta che ovviamente annullerebbe il provvedimento. Il fatto è che la Consulta ha appunto il compito di valutare se il modo con cui si governa è coerente o no con le norme costituzionali, e il provvedimento sui ricconi - fatto in quel modo - non lo sarebbe.

Ora, si può discutere sulle motivazioni che la Corte ha addotto per il provvedimento sulle pensioni e si può anche legittimamente criticarle. Non si può sostenere, invece, che la Corte, pur ritenendo un provvedimento illegittimo, avrebbe dovuto approvarlo lo stesso per evitarne le conseguenze sulla finanza pubblica. Il principio di equità intergenerazionale che Padoan richiama va benissimo, ma tirarlo in ballo in questo caso equivale a dire che per reperire quelle risorse non c’era altro modo che intervenire sulle pensioni, e intervenire in quel modo. Il che naturalmente non è: per esempio, quella stessa cifra - o anche una maggiore - si sarebbe potuta ottenere modificando le aliquote d’imposta (per tutti) e la Corte non avrebbe avuto nulla da dire. Non si vuole qui sostenere che si sarebbe dovuto fare in questo modo: è solo un esempio. Il compito della politica è appunto quello di individuare provvedimenti che raggiungano lo scopo prefissato, ma senza infrangere i principi costituzionali.

Sulla vicenda semmai si dovrebbe sollevare un altro problema, quello dei tempi. Una sentenza del genere non dovrebbe arrivare a tre anni di distanza: fosse arrivata dopo tre mesi, gli effetti sarebbero stati molto meno dirompenti e si sarebbe potuta (e dovuta) cercare un’altra soluzione. E’ su questo problema che ci si dovrebbe concentrare, individuando una soluzione che eviti che si ripetano episodi del genere in futuro. Si potrebbe forse pensare di istituire una "bollinatura" preventiva sulla costituzionalità delle leggi, come accade per gli aspetti economici ad opera della Ragioneria generale. Teoricamente questo compito è già svolto dalle commissioni Affari costituzionali delle Camere, che però sono organismi politici. Se il giudizio della Corte, almeno sui provvedimenti che avranno effetti economici, fosse preventivo, si eviterebbe poi di dover affannosamente trovare un modo per tamponare le falle nei conti.

BACCARO SUL CORRIERE DI STAMATTINA
ROMA La modifica della legge Fornero, con il possibile pensionamento anticipato in cambio di un assegno ridotto, è «un tema vero, che c’è», secondo il premier Matteo Renzi. «Se però lo diciamo adesso sembra che sia un’operazione di campagna elettorale» ha spiegato ieri alla direzione del Pd. La verità è che la legge di Stabilità che dovrebbe raccogliere la proposta finale arriverà a settembre. Le idee al momento sono ancora confuse. Lo ha ammesso ieri il ministro del Welfare, Giuliano Poletti, quando ha affermato che l’ipotesi di calcolare tutta la pensione con il metodo contributivo per consentire l’uscita anticipata rispetto all’età di vecchiaia, al momento tra le più accreditate, «è una delle 100 ipotesi». Sempre ieri, mentre il leader della Cisl, Anna Maria Furlan, reclamava una convocazione dei sindacati sulla flessibilità, il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi (Ap), ha presentato un disegno di legge delega sul tema che ricalca quello presentato alla Camera da Damiano, Gnecchi e Baretta. «Il collega Pizzolante – ha detto Sacconi – lo sta presentando alla Camera». Il disegno di legge ipotizza la possibilità di pensionamento anticipato sulla base di due requisiti minimi, 62 anni di età e 35 anni di contributi, con una penalizzazione annua del 2% fino a un massimo dell’8%. Intanto Renzi misura in prima persona l’effetto esplosivo dell’annuncio, fatto lunedì scorso, sull’apertura del cantiere della flessibilità: nessuno parla più della sentenza della Consulta sul mancato adeguamento pensionistico, che era piombata come una mina sui conti pubblici. Ma anche le proteste sulla soluzione trovata con il decreto, un minirimborso per 4 milioni di pensionati, sembrano oscurate. Per Renzi pare non esistano: «Intanto abbiamo recuperato due miliardi di euro e li diamo a quei quattro milioni di cittadini che ne hanno titolo»

LORENZO SALVIA SU CDS
ROMA Anche se indirettamente, i vitalizi dei parlamentari entrano nel blocco della rivalutazione previsto per le pensioni più alte. La norma è contenuta nel primo articolo del decreto legge approvato lunedì scorso in consiglio dei ministri, dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato lo stop per l’adeguamento all’inflazione degli assegni deciso dal governo Monti. Cosa succede?
Se una persona ha sia una pensione che un vitalizio, parlamentare o regionale che sia, e la somma dei due assegni supera i circa 3 mila euro lordi al mese, lo stop alla rivalutazione riguarderà sia l’assegno dell’Inps sia quello del Parlamento. E questo perché le nuove regole, che eliminano la rivalutazione al di sopra dei 3 mila euro lordi, «si riferiscono a ogni singolo beneficiario in funzione dell’importo complessivo di tutti i trattamenti pensionistici in godimento, inclusi gli assegni vitalizi derivanti da uffici elettivi». La legge non può toccare direttamente i vitalizi: la materia può essere regolata solo dall’organo elettivo di appartenenza, come è successo con le delibere di Camera e Senato che hanno deciso lo stop degli assegni per i parlamentari condannati. Ma qui interviene sul cosiddetto «cumulo», cioè sulla somma di vitalizio e pensione, mettendo le due voci sullo stesso piano giuridico. Difficile dire in quanti casi la norma sarà applicata concretamente. Ma, a pochi giorni dal voto per le regionali, il messaggio politico è chiaro.
Per il resto, il decreto legge conferma sostanzialmente le anticipazioni degli ultimi giorni. Per la restituzione degli arretrati del 2012 e del 2013, non si andrà oltre il 40%, la percentuale prevista per chi ha un assegno fra le tre e le quattro volte il minimo, e cioè da 1.443 e 1.924 euro lordi al mese. Mentre si scenderà al 20% nella fascia fra quattro e cinque volte il minimo, al 10% fino a sei volte il minimo, per scendere a zero con gli assegni più alti. Nel 2014, invece, la rivalutazione è prevista al 20% di quella accordata per il 2012-13 e risalirà al 50% a partire dal 2016.

ROBERTO PETRINI SU REPUBBLICA

NAZIONALE - 22 maggio 2015
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ECONOMIA
Rimborsi per decreto in tasca dal 1 agosto tra 200 e 600 euro a testa
Ecco, secondo il testo definitivo, come sarà la restituzione ai pensionati di quanto perso tra il 2012 e il 2015
ROBERTO PETRINI
ROMA .
I rimborsi per gli arretrati delle pensioni oltre tre volte il minimo, pari a 1.443 euro al mese lordi, resi necessari dalla sentenza della Corte costituzionale, andranno per il quadriennio 2012-2015 dai 574 ai 226 euro, al netto delle tasse. Sono questi i primi calcoli della Cgia di Mestre, effettuati sulla base della bozza del decreto legge in arrivo in Parlamento.
Il provvedimento, varato con urgenza dal governo, costerà 2,1 miliardi (rispetto ai 17,6 del rimborso integrale) e circa 500 milioni per il “trascinamento” a partire dal 2016. L’arretrato 2012-2015, di quattro anni, sarà corrisposto, sotto forma di una tantum, dal primo agosto.
Prendendo ad esempio una pensione di 1.600 euro lordi (pari a 1.264 netti) si può calcolare che per la mancata indicizzazione del biennio 2012-2013 saranno restituiti 702 euro. A a questa somma vanno aggiunti 43 euro del biennio 2014-2015 dovuti al mancato “trascinamento”. In tutto 745 euro. Ma si tratta di una cifra lorda, al netto delle tasse (l’aliquota sostitutiva si calcola sulla media degli ultimi due anni), il recupero che si troverà sulla pensione del primo agosto sarà di 574 euro. Si scende a 409 euro netti per una pensione lorda di 2.300 euro e a 226 euro per chi ha una pensione di 2.600 euro lordi. Sopra i 2.886 euro lordi cessa la restituzione.
Dopo giorni di polemiche il meccanismo scelto, come annunciato dal governo, sceglie la via del rimborso parziale e della progressività, dividendo l’operazione in tre pacchetti. Il primo riguarda gli arretrati relativi al biennio 2012-2013, oggetto del blocco completo delle indicizzazioni operato dal governo Monti. Il rimborso viene articolato per fasce di reddito: fino a tre volte il minimo resta l’indicizzazione totale del 100 per cento (che non è mai stata intaccata); si procederà poi con un rimborso del 40 per cento dell’indicizzazione per le pensioni fra tre e quattro volte il minimo (cioè tra 1.443 e 1.924 euro lordi); si passerà al 20 per cento tra le quattro e le cinque volte il minimo (cioè tra 1.924 e 2.045 euro) e si concluderà con un rimborso del 10 per cento tra le cinque e le sei volte il minimo (ovvero tra 2.045 e 2.886 euro).
Il secondo blocco riguarda il biennio 2014-2015. Durante questo periodo l’indicizzazione c’è stata (è stata reintrodotta dal governo Letta alla fine del 2013), ma manca il cosiddetto “trascinamento”, cioè quella parte di indicizzazione che sarebbe scattata se la base di partenza ( 2012 2013) fosse stata più alta. Anche il ristoro di questa porzione sarà parziale: sarà cioè del 20 per cento delle percentuali fissate dal decreto per il biennio 2012-2013 (ovvero il 20 per cento di 40, 20 e 10). Dunque le pensioni avranno un ulteriore recupero rispetto all’indicizzazione in essere, che sarà decrescente in funzione del reddito, pari all’8, al 4 e 2 per cento dell’inflazione.
Il terzo blocco riguarda il 2016. Anche in questo caso è necessaria una maggiorazione per compensare il mancato “trascinamento” degli anni precedenti. Analogamente in questo caso si tratterà di una quota ridotta, ma più generosa del 2014-2015: invece del 20 per cento si elargirà il 50 per cento.
Cosa succederà dal 2017? Probabilmente verrà ristabilito il meccanismo pre-2011, ante- blocco, che prevedeva solo tre fasce di indicizzazione (con scaglioni: 100 per cento fino tre volte, 90 per cento sulla quota compresa tra tre e cinque volte, 75 per cento superiore a cinque volte il trattamento minimo), di conseguenza potrebbe tornare l’indicizzazione anche per i redditi più alti.
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