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 2015  maggio 04 Lunedì calendario

PIÙ DELLA METÀ DEGLI ITALIANI GUARDA ANCORA AL “POSTO FISSO”

Ci sono i Congelati e gli Avanguardisti, i Moderni solitari e i Tradizionali con brio. Più di tutti, gli Indifferenti. Gli italiani e il lavoro. Come lo vivono e come lo vorrebbero. Attaccati al posto fisso, punto e basta, o aperti ai cambiamenti e a nuove sfide professionali. Cinque tipi, classificati con realismo, fantasia e un pizzico di amaro, dall’indagine realizzata via web su un campione di 1.006 persone da AstraRicerche e Manageritalia. In tema di presente e futuro, vocazioni e tendenze, il gruppo di testa è guidato dagli Indifferenti (32,6%) e dai Congelati (18,95%). Insieme fanno la metà degli intervistati: ancorati al lavoro vecchio stampo, il posto fisso e garantito “quasi per legge”. Per lo più, nel primo caso, persone di sesso maschile e disoccupati tra i 18 e i 24 anni, residenti al Centro. Per loro il lavoro è un obbligo, che li soddisfa meno della media (62%) e nel quale investono poco. Tra di loro c’è il tasso più alto di disoccupati o di lavoratori meno preoccupati di perdere il lavoro. Modello base: poche responsabilità, zero variazioni di mansioni e competenze. E tutto il salario in busta paga, senza attenzione alla qualità dei servizi pubblici (welfare). Gli Indifferenti sono convinti che il lavoro non c’entri con la realizzazione personale. Appena il 32% del campione pensa che in futuro sapere di web sarà indispensabile, conosce poco l’estero e il lavoro fuori confine, così come il Jobs Act che però non giudica del tutto negativo. Per i “cugini”, i Congelati, il lavoro è invece il più grande problema della società occidentale (85%), ne sono soddisfatti (71%) e lo vivono positivamente in prospettiva più della media (43%). Impiegati, per lo più donne tra i 35 e i 44 anni, del Sud, sono quelli per cui il posto fisso è tutto, per cui accetterebbero anche un calo del reddito. Aspirano a un sindacato forte e criticano il Jobs Act perché cancella l’articolo 18. Entrambe le categorie sono superate dalla storia? Tutt’altro, riflette Fabio Salvi, direttore Risorse umane di ContactLab. «Il tema interessante è che una fetta di responsabilità su come le persone vivono il lavoro ricade anche sull’azienda. Non è che buttiamo via il 50 per cento dei lavoratori perché non è adeguato alle esigenze del lavoro oggi, ma dobbiamo capire come questo 50 per cento può reimparare un modo diverso di lavorare. Il brivido del posto fisso? – continua Salvi – No, la prigione del posto fisso. Il lavoro è anche tema di gestione di persone. Noi quarantenni siamo cresciuti con la logica che in un’azienda controllo e gerarchia fossero la risposta. Ma questo non incide sulle motivazioni soggettive. Nuove sfide uguale collaborazione, fiducia e contributo. Io manager ho bisogno che il lavoratore abbia voglia di crederci. Pensare che il lavoro sia una parentesi rispetto alla vita, non aiuta ad essere felice e integrato. La buona notizia è che riuscire ad appassionarlo alla competizione è la leva su cui forzare il cambiamento». In questo senso sono già sono a miglior punto i Tradizionali con brio (15,8%), un piede nel passato e l’altro nella modernità, Considerano il lavoro una parte importante della vita e della realizzazione personale. Il 64% si dichiara soddisfatto del proprio lavoro, perderlo sarebbe una tragedia. Aperti ad assumere più responsabilità e ad accrescere conoscenze e competenze, non gioiscono però all’idea di dover spostarsi all’estero per lavorare. Sono impiegati o quadri, tra i 18 e i 34 anni, residenti al Nord ovest o nel Triveneto. Vogliono un sindacato forte, rimpiangono l’articolo 18, il Jobs Act, lo hanno già bocciato. Il lavoro uguale dignità della persona, non esclusiva ragione di vita. Nell’indagine condotta da AstraRicerche e Manageritalia, questi sono i Moderni solitari (15,9%): soddisfatti per il 63%, pragmatici senza eccessi di ottimismo, sostenitori della flessibilità, anche legata alla retribuzione. Perciò vivono come una vera svolta il Jobs Act. Imprenditori, dirigenti, liberi professionisti o lavoratori autonomi, per lo più maschi, tra i 55 e i 65 anni, del Centro o del Sud: individualisti e propensi a cambiare spesso azienda, a cogliere l’occasione di un lavoro all’estero. Non vedono un salto culturale nella differenza di genere o nella sicurezza, ma pensano che la disoccupazione sia destinata a ridursi, i salari ad aumentare e i sindacati a indebolirsi. Per gli Avanguardisti (16,8%), c’è il lavoro anzitutto, nell’analisi di AstraRicerche e Manageritalia, Quest’ultima, presieduta da Guido Carella, proprio in occasione del 1° maggio, parte con l’iniziativa “Cambia il lavoro con produttività & benessere”, un progetto che con i suoi 35mila manager associati, vuole coinvolgere tutti gli italiani per fare informazione e cultura. «L’indagine ci restituisce un’Italia che sul lavoro è più avanti di quello che si pensi – osserva Carella –. Mi ha colpito su tutto il riconoscere che la vera tutela del lavoratore sta nella sua professionalità. Per cambiare davvero tutti insieme il lavoro in azienda puntando su valorizzazione delle persone, merito, collaborazione, flessibilità». Gli Avanguardisti si collocano nel Triveneto/Nord, e sono imprenditori, manager o liberi professionisti tra i 45 e i 54 anni. Operano bene in team, e anche se meno soddisfatti della media per il 63%, sono sempre alla ricerca di nuove responsabilità e sfide, flessibili a tutto tondo: a fare le valigie per andare a lavorare all’estero, ad avere un’attività autonoma e una retribuzione a forte componente variabile o del tutto legata ai risultati, con un welfare che funzioni. Puntano alla crescita professionale e, quindi, alla spendibilità sul mercato (87%), grazie a una formazione continua. Cercano le aziende più capaci di dar loro questi stimoli e “garanzie”. Vedono un sindacato debole e una situazione generale del lavoro ancora critica. Del Jobs Act pensano che ridurrà il peso dei sindacati e renderà più facile alle aziende gestire le crisi, rimettendo il lavoro sui binari della correttezza.
Patrizia Capua, Affari&Finanza – la Repubblica 4/5/2015