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 2015  maggio 04 Lunedì calendario

IL RITMO DI DRAGHI E QUELLO DELL’ECONOMIA

Almeno nella teoria, il quantitative easing (QE) di qualunque grande banca centrale deve funzionare esattamente come sta succedendo con quello della Bce. Una massa di denaro appena creato si rovescia sui mercati, libera gli operatori dei loro titoli e li spinge a reimpiegare su altri titoli la liquidità di cui ora dispongono. Così l’impatto si allarga a cerchi concentrici. Prima si alzano i prezzi delle obbligazioni acquistate dai banchieri centrali, poi quello delle obbligazioni e delle azioni comprate da chi poco fa ha venduto qualcosa ai banchieri centrali stessi. Così, di proposito, la Banca centrale europea sta aprendo una forbice fra le quotazioni sui mercati finanziari europei e il valore fondamentale dell’economia sottostante. I primi corrono, la seconda un po’ meno. L’intenzione dell’Eurotower è generare un effetto di ricchezza e liquidità che permetta anche all’economia di risalire e riallinearsi al rialzo ai prezzi dei mercati. In questo il quantitative easing in Italia, almeno la prima parte dell’operazione, sta funzionando in modo spettacolare. Visto il potere magnetico delle aspettative, ha iniziato a farlo ancora prima che gli acquisti della Bce iniziassero due mesi fa. Basta guardare al mercato dei titoli di Stato, dove il Tesoro di Roma è arrivato a offrire rendimenti negativi sui titoli a tre mesi (il 24 aprile) e rendimenti di appena l’1% su quelli a dieci anni (a inizio marzo). È un caso evidente, deliberato, di scollamento fra i prezzi dei mercati e una realtà sottostante di alto debito e crescita cronicamente bassa. Ma che dire allora del mercato azionario? Alla fine di febbraio, alla vigilia e in attesa del QE, il principale indice milanese era salito di oltre il 20% dall’inizio dell’anno. Soprattutto, già prima che la Bce entrasse in gioco concretamente, l’indice Ftse-Mib aveva già una valutazione fra le più elevate se si guarda al rapporto fra i prezzi delle azioni e gli utili delle imprese. È il cosiddetto «price-earnings ratio», o PE ratio: alla vigilia del quantitative easing sul listino di Milano i prezzi in media erano già 29,5 volte gli utili di un anno. Già allora era un valore in apparenza più alto, e più squilibrato, di quello dei principali listini di Francoforte (21), Parigi (24,3), Londra (23,9) o di Wall Street (20,6). Da allora in poi la mano della Bce ha iniziato a farsi sentire e il Ftse-Mib è salito di un ulteriore 4%, malgrado la recente correzione al ribasso. La Bce dunque ha centrato la prima parte della sua missione: scollare i prezzi degli attivi finanziari dalla realtà. Ora tocca alla realtà italiana risollevarsi e raggiungere (al rialzo) quei prezzi. Se non ci riesce, saranno questi ultimi a ricongiungersi alla realtà. Ma al ribasso.
Federico Fubini, Affari&Finanza – la Repubblica 4/5/2015