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 2015  maggio 06 Mercoledì calendario

SE UN PADRE TI FRUSTA

[Intervista a Carine McCandless] –
Nella tasca dei jeans tiene una piccola pietra.
L’ha raccolta accanto allo scuolabus 142 dentro cui, nel 1992, è morto suo fratello Chris. E talvolta la sera si addormenta ascoltando la registrazione dell’acqua di un torrente che scorre lì vicino, lo stesso suono che suo fratello sentiva di notte in quella parte remota dell’Alaska.
Carine McCandless è andata tre volte fino all’autobus verde abbandonato, l’ultima percorrendo i trenta chilometri dello Stampede Trail, il sentiero che affrontano ogni anno le centinaia di ragazzi per cui suo fratello, Chris McCandless, è diventato un eroe.
Nel 1997 Jon Krakauer raccontò la sua storia in un libro, Nelle terre estreme, il cui titolo inglese – Into the Wild – è lo stesso del film che dieci anni dopo ne avrebbe tratto Sean Penn. Quel libro è lettura obbligatoria in tremila licei e college americani. E pur di farsi una foto identica allo scatto che Chris si fece poche settimane prima di morire a 24 anni, e che avete visto nella pagina precedente, c’è chi rischia la vita attraversando il fiume Teklanika in piena. Lo stesso che bloccò la strada del ritorno a Chris, costringendolo a nutrirsi dei semi velenosi che finirono per ucciderlo.
«Ogni tanto uno di questi ragazzi mi dice che Chris ha cambiato la loro vita», dice Carine. «Con grande rispetto, rispondo: “Chris è morto ventitré anni fa, non può avertela cambiata. Se è successo è merito tuo, lui è stato solo la miccia”».
Per lei, ristabilire la verità dei fatti è diventato così importante da intitolare Into The Wild Truth (alla lettera «nella verità selvaggia») il libro con cui, finalmente, racconta la sua versione dei fatti che hanno portato suo fratello a scappare di casa.
Carine aggiunge verità a una storia che finora è stata raccontata solo in parte, e cioè omettendo la storia delle violenze che Chris e Carine hanno sistematicamente subito da parte del padre. Un padre, per intendersi, che costringeva i figli a scegliere la cintura con cui li frustava.
Persino sulla parola «genitori» Carine sente il bisogno di ristabilire la verità: «Parlerò di Walt e Billie, non di mamma e papà, perché non voglio confonderli con Marcia e Walt». Ovvero con la famiglia – la moglie Marcia, tre figli e un quarto in arrivo – che suo padre Walt aveva già quando conobbe Billie e la assunse come sua segretaria. Billie sarebbe diventata la madre di Chris e Carine. Walt le disse che avrebbe divorziato presto da Marcia. In realtà rimase sempre con la moglie e, mentre nascevano Chris e Carine, la famiglia «legittima» si allargava fino ad arrivare a sei figli. Lui faceva la spola tra le due case.
Un’atmosfera surreale che secondo Carine ha portato suo fratello a scappare di casa non per arroganza o cattiveria nei confronti di chi lasciava
indietro, come è stato scritto. Semplicemente per allontanarsi da quella casa piena di bugie: «Lascio che lo dica Chris con le sue parole: nel libro pubblico le lettere che mi mandava, in cui diceva espressamente di volere “divorziare” dai nostri genitori».

Incolpa loro della sua morte?
«Non della sua morte, ma della sua decisione di andarsene sì».
Su Chris non è stato fatto solo un libro ma anche un film di grande successo: perché ci ha messo così tanto a venir fuori queste rivelazioni?
«Non ero pronta, e ho chiesto sia a Krakauer che a Penn di rispettare la mia decisione di non raccontare quella parte. Volevo anche dare ai miei l’opportunità di ammettere i propri errori. Ho aspettato, ma inutilmente. Fino a quando la mia responsabilità mi ha portato a considerarmi non più una figlia e una sorella, ma una sorella e una madre. Ora che ho delle figlie, mi è difficile persino pensare di potermi comportare come i nostri genitori».
I suoi come l’hanno presa?
«Quando hanno ricevuto le bozze del libro hanno rilasciato un comunicato stampa. Ce l’ho qui, glielo leggo: “Dopo una veloce revisione abbiamo concluso che questa opera di fiction non ha assolutamente nulla a che fare con il nostro amato figlio Chris o con il suo carattere”. Non mi ha sorpreso, anche se speravo che mia madre fosse cambiata. Invece si è trasformata da vittima prediletta di mio padre a sua complice».
Perché vittima?
«Quando lui era ubriaco, prima se la prendeva con lei e poi con noi. Ma il problema non erano solo le botte: tutti abbiamo fatto errori, e nel libro parlo anche delle cose buone che sono successe. Per esempio del fatto che, portandoci a campeggiare, i miei hanno instillato in me e Chris un forte amore per la natura. Quello che rendeva la vita impossibile era la tensione continua che derivava dalle falsità non dichiarate: mia mamma voleva mostrare al mondo una famiglia perfetta, perché non venisse alla luce che lei era stata l’amante di mio padre. Era troppo importante salvare le apparenze».
Lei sapeva che i ragazzi dell’altra famiglia erano vostri fratelli e sorelle?
«Sì, ci sono sempre stati presentati così, e fino a quando eravamo piccoli non ci siamo posti domande. Poi abbiamo cominciato a notare le stranezze. Nostra sorella Shannon aveva solo tre mesi in più di Chris: come era possibile? E se tra me e Chris c’erano solo tre anni di differenza, come era possibile che in quel periodo fosse nato un altro fratello, Quinn? Per spiegarcelo ci venivano raccontate storie inverosimilli, per esempio che Quinn non era figlio di mio padre. Ci permettevano di stare insieme a loro, ma ci dicevano di non credere alle cose che ci dicevano: era tutto surreale».
Come la prendeva Chris?
«Essendo il maggiore si pigliava tutta la responsabilità della situazione, anche perché ci veniva detto in continuazione che la colpa di come stavano le cose era nostra. Crescendo abbiamo capito qual era il vero problema: Billie non aveva voglia di affrontare le conseguenze di una separazione, a differenza di Marcia che, quando io avevo un anno, lasciò mio padre con sei figli da tirare su. Nasce da questo il disprezzo di Chris per i soldi e per il materialismo. Ed è a causa di questo dispresso se rifiutò l’automobile che i miei gli avevano regalato per la laurea, e prima di partire diede in beneficenza i 25 mila dollari che aveva in banca».
C’è chi sostiene che il libro e il film abbiano trasformato un irresponsabile alla ricerca di avventura in un eroe da imitare: da piccola ebbe mai la sensazione che Chris potesse mettersi nei guai?
«Mai. Mi proteggeva sempre, era costantemente presente, con un grande senso di responsabilità. Non era uno di quei ragazzi che fanno pazzie, guidano veloce, si ubriacano. Era quello che si spingeva oltre il limite: voleva correre dieci chilometri in più, voleva leggere gli scrittori più provocatori, voleva sempre scalare l’albero più alto. Era un estremista, voleva sentire l’adrenalina. In Alaska sapeva di essersi messo in una situazione difficile. Lo fece apposta, ma non perché voleva morire. Per vivere veramente».
È questo che spiega quando parla di lui davanti ai ragazzi delle scuole?
«Mi rivolgo ai padri e alle madri, ai mariti e alle mogli del futuro, per spiegare loro i danni devastanti della violenza domestica. E parlo di Chris, dell’uomo che era, di come è vissuto, non di come è morto: importante non è quello che ci rende iconici, ma quello che ci rende umani».
Pensa che sia morto con un senso di ingiustizia dentro di sé?
«Penso che sia morto felice. Lo dice in una delle foto ritrovate dopo la sua morte che, tra parentesi, non posso usare, se non in incontri non profit, perché i miei ne detengono i diritti e hanno minacciato di querelarmi. È un autoscatto in cui Chris sorride mentre tiene in mano un cartello che dice: “Ho avuto una vita felice e ringrazio il Signore. Addio, e che Dio vi benedica”. Dietro quella pagina c’era una poesia di Robinson Jeffers che ho imparato a memoria perché non credo sia stata scelta a caso: “La morte è uno stornello feroce: ma morire, avendo rappresentato qualcosa più all’altezza dei secoli che muscoli e ossa soltanto, è soprattutto liberarsi dalla debolezza. Le montagne sono pietra morta, la gente ne ammira oppure ne odia l’altezza, l’insolente tranquillità, le montagne non si addolciscono né si preoccupano. E i pensieri di alcuni uomini morti hanno la stessa tempra”».
Che cosa pensa volesse dire?
«Che nella natura selvaggia aveva trovato la pace, la purezza e l’onestà che non aveva mai avuto. Che nelle montagne, nell’aria, nell’acqua aveva finalmente trovato un padre capace di amore vero».