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 2015  maggio 03 Domenica calendario

IO E L’OLIMPIA UNITI PER SEMPRE


[Giorgio Armani]

Una docufiction in cinque immagini. La prima è in bianco e nero. Cortile di una scuola di Piacenza, Anni Cinquanta. I protagonisti della scena fanno di cognome Armani, e di nome Sergio e Rosanna. Le trame sono partite di pallacanestro, come si chiama in quei tempi. Lui è alto, elegante, molto dotato per questo sport. Lei, al contrario, è piccolina, ma agilissima e veloce. Segnano spesso. Quando scendono in campo su quel cemento duro, qualche volta al freddo, altri Armani li guardano, trepidanti dietro i canestri con i tabelloni di legno: la loro mamma, Maria, e Giorgio, il fratello. Che quelle immagini e quello sport non dimenticherà mai, fino a diventare proprietario, oggi che è l’italiano più famoso del mondo, a capo di un impero economico nella moda, dell’Olimpia Milano. Un amore di famiglia allargato a una città e all’Italia intera.
Signor Armani, c’è un’azione di gioco che l’entusiasma in particolare?
«Il canestro, ovviamente, soprattutto se è la mia squadra a farlo».

Milano gli ha dato tutto e in particolare l’opportunità di entrare nell’immaginario di centinaia di milioni, forse di miliardi, di persone: in questa città ha fondato 40 anni fa un’azienda diventata un orgoglio nazionale. E a Milano l’inventore della celebre “giacca destrutturata” he restituito tanto, in affetto e soprattutto opere. Il basket è un altro di questi preziosi atti di riconoscenza.
Signor Armani, lei ha portato gioia e voglia di stare insieme a una tifoseria cresciuta a dismisura: che cosa le torna da questa realtà?
«Una felicità grandissima. Vedere la Milano degli appassionati, con il suo entusiasmo, che è ritornata in massa al Forum per assistere alle partite, è una soddisfazione immensa».

Ma nessuno in campo ti regala niente, né ti chiede se il nome che hai stampato sulle magliette è conosciuto in cinque continenti. Lo sport è una meritocrazia spietata: chiamarsi Armani non basta. L’Olimpia è cresciuta gradualmente negli anni della nuova gestione, ma prima di tagliare il traguardo dello storico scudetto 2014, è passata anche da cadute dolorose. Signor Armani, come reagisce a certe sconfitte inaspettate e brucianti della sua squadra?
«Di fronte ai momenti di delusione non mi faccio mai aggredire dallo sconforto e non perdo fiducia nei nostri mezzi. Non è nel mio carattere ritirarmi davanti ai problemi o a qualche sconfitta. E devo dire che la mia caparbietà e la mia passione sono servite a raggiungere i risultati sperati».
Non se l’aspettavano in molti che il quinto italiano più ricco d’Italia e il 174° del mondo (classifica Forbes), con un patrimonio stimato in 7,6 miliardi di dollari, trovasse il tempo per seguire dal vivo e con assiduità la sua nuova creatura nel basket. Eppure la sua inconfondibile fisionomia nero-argento è diventata familiare nella prima fila del Forum: è lì anche quando la partita non è fondamentale. E alla fine saluta i suoi giocatori uno a uno.
Signor Armani, lei ha stretto rapporti umani interessanti nel contesto della sua presenza nel basket?
«Sì, ho un rapporto forte con tutti i membri della mia squadra, dall’allenatore ai giocatori. Certo, cerco di mantenere una certa distanza per avere, da proprietario, un punto di vista lucido. Coach Banchi è una persona competente e intelligente e soprattutto è una persona che mi piace perché risponde con i fatti più che con le parole. I giocatori sono i volti e i talenti che rappresentano la squadra, e prima ancora di essere dei formidabili atleti sono dei bravissimi ragazzi».
Il caso governa le nostre vite. Non saremmo qui a celebrare Giorgio Armani “cestista” senza le performance dei suoi fratelli. Eppure il re della moda ha avuto bisogno di un’altra spinta dal destino per rivitalizzare l’Olimpia. Gliel’abbiamo data noi della Gazzetta, che chiese proprio a me il 3 giugno 2004 un editoriale di prima pagina, intitolato: “Non facciamo sparire Milano”. In esso facevo appello a 10 imprenditori illustri della città, mettendoli in ordine alfabetico. Il primo era Armani. Alla lettera G c’era Adriano Galliani, che si rese promotore della cordata giusta, quella che traghettò il club interamente nelle mani più sicure.
Signor Armani, lei non mollerà mai questa squadra, vero?
«Assolutamente no, l’Olimpia Milano ed io abbiamo ancora una lunga strada da fare insieme».