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 2015  maggio 05 Martedì calendario

SE IL PAESE RITROVA LA SUA LOCOMOTIVA

Abito a Milano in via Vincenzo Monti a pochi passi da corso Magenta, angolo via Carducci, le strade dell’inferno milanese di venerdì pomeriggio dove uomini in nero armati di passamontagna, caschi, mazze e bottiglie piene di benzina, martelli e martelletti frangi-vetri, hanno messo a ferro e fuoco il cuore della città. Palazzi avvolti in una nuvola di fumo, semafori divelti, scritte, tante scritte, “No Expo”, “Smash capitalism”, ovunque, molotov e bombe carta lanciate contro la polizia, i muri del collegio dell’Università Cattolica presi a picconate, macchine incendiate. Pietre, tante pietre, contro le vetrine degli uffici delle Poste e delle banche, contro gli agenti, le grida di battaglia, il “rombo”delle molotov, il suono dei vetri in frantumi in un grumo di strade alberate dove l’unico rumore che solitamente si sente è quello dello sferragliare dei tram.
LA LABORIOSITÀ MILANESE E L’ORGOGLIO CIVILE DI UNA COMUNITÀ
Domenica a ora di pranzo passeggio per le strade del mio angolo milanese e di quella guerra cieca, violenta e inammissibile, non c’è più traccia, i volontari non si sono mai fermati, hanno ripulito i muri, cancellato gli obbrobri, i palazzi hanno ripreso i loro colori, le vetrine sono di nuovo a posto in meno di quarantotto ore. Mi fermo davanti alla filiale della Cariparma di via Carducci, sono esposte le foto di prima e dopo, e su una locandina bianca attaccata sulla vetrina si legge: “Gentili clienti, i nostri colleghi hanno lavorato tutto il weekend per ripristinare completamente l’agenzia e garantire da lunedì la operatività di tutti i nostri servizi. Nel dispiacere per aver subito un così vile attacco vi testimoniamo con orgoglio che il lavoro e la passione che mettiamo nel servirvi è più forte di qualsiasi atto di vandalismo. La follia di pochi non fermerà la vita di una città e il diritto al lavoro di chi ci abita”. Mi accorgo che intorno a me sono in parecchi, tutti si fermano, guardano, leggono, sui volti è stampata la soddisfazione, negli occhi e tra gli sguardi ho colto per la prima volta, quasi fisicamente, i tratti della laboriosità milanese e l’orgoglio civile di una comunità. Poche ore dopo in ventimila al grido “nessuno tocchi Milano” sfileranno per le strade della città con spugne e scope, una marea di tute colorate per lavare lo scempio di quelle nere, uomini, donne, tanti, tantissimi bambini.
LA LOCOMOTIVA DI UNA RIPRESA DA COSTRUIRE
Questa Milano senza se e senza ma saprà guidare la rinascita del Paese, ne sono certo, traggo a ragion veduta dagli sguardi che ho incrociato e dalle tante mani che ho visto pulire i muri la convinzione che forza civile, cultura, manifattura e nuova manifattura digitale sono tornate finalmente a incontrarsi a Milano, e questo vale prima dell’Expo ma varrà ancora di più dopo, perché significa che il Paese tornerà ad avere nella sua città metropolitana più internazionale la locomotiva di una ripresa da costruire a denti stretti, ma possibile, vera, senza slogan e semplicismi, con la spinta dei fatti e il segno concreto di un fermento civile prima ancora che economico.
SE MILANO TORNA A ESSERE LA CAPITALE MONDIALE DEL DESIGNE DELLA NUOVA MANIFATTURA
Come dimenticare che cosa è stata per Milano la settimana del mobile, il profilo internazionale del nostro made in Italy, l’incrocio sempre più permanente tra scuola, cultura e territorio nel segno di quell’unicum del design e dell’arredo che rappresenta il sistema Lombardia, i segni di vitalità in ogni angolo, cortile o palazzo? Diciamo le cose come stanno: dopo una lunga stagione di decadenza, questa nuova primavera milanese ci segnala che sono tornati i gloriosi anni ’50 e’60 di Gio Ponti e Joe Colombo, che il mondo torna a percepire e vivere Milano come la capitale mondiale del design e della creatività. Dove si trovano molti dei pezzi pregiati della meccanica di precisione e strumentale, le macchine utensili, la chimica di specialità, il farmaceutico e la cosmetica, logistica e trasporti di questo Paese se non proprio nel sistema milanese-lombardo? Il primato italiano della finanza sconta la concorrenza delle nuovi capitali europee, ma di certo non è stato mai messo in discussione in casa. Che cosa dire dell’esplosione digitale dell’area metropolitana, l’incubatore di eccellenze del Politecnico, il rigore scientifico della Bocconi, la nuova Bicocca e la filiera di start up digitali dove gli imprenditori del futuro sono la testa e le braccia della nuova manifattura di “Ansaldo3.0”? Questa risorsa giovanile è di sicuro la speranza più bella sulla quale si ha l’obbligo di investire al massimo. Affacciatevi dalla terrazza della Triennale, vedrete Parco Sempione ma anche il Vecchio Pirellone e il Bosco Verticale con gli alberi sui balconi, le nuove Torri Breda e Varesine B, il grattacielo di UniCredit, sotto scorre piazza Gae Aulenti, una lunga isola pedonale che parte da qui, attraversa Corso Como e di fatto arriva fino a piazza Duomo. Che cosa dire di Citylife un tutt’uno con Porta Vittoria, il suo parco urbano nell’ex fiera di Milano e la grande sfida di servizi di qualità? C’è una Milano nuova che merita di essere esplorata, scandagliata sia chiaro anche negli interstizi più oscuri e discussi, ma certifica alla luce del sole che si è tornati ad attrarre capitali, si è fatto un salto di qualità nell’offerta, si è ridisegnato il suo profilo in linea con la sfida dei tempi che viviamo, e lo si è fatto in silenzio.
LA SFIDA DELL’EXPO E IL “FERMENTO BUONO” DI MILANO CITTÀ DEL MONDO
Sull’Expo non vogliamo equivoci: senza se e senza ma i ladri andranno consegnati tutti alle patrie galere, ma a nessuno di loro potrà essere consentito di oscurare questo “fermento buono” di una Milano città del mondo per citare Guido Rossi, guai solo a pensarlo; errori e ritardi ci sono stati e ci sono, lo testimoniano i tanti padiglioni incompleti, pezzi di soffitto caduti anche nel giorno del debutto e le mille imperfezioni organizzative, anche ciò è sotto gli occhi di tutti e questo giornale ne è stato e ne sarà censore. Detto tutto questo, però, è un dato di fatto che Milano ha iniziato la sua Esposizione Universale azzerando tutte le aspettative negative: oltre 200 mila visitatori al giorno dal debutto, 11 milioni di biglietti venduti, la fila ai ristoranti. Ho passato l’intera giornata di sabato saltando da un padiglione all’altro, “muovendomi” cioè da un capo all’altro del mondo, e credo che il solo “teatro della memoria” alto 21 metri e largo 66 tutto opera di artigiani italiani dove i legni parlano e il calore delle scaffalature ti racconta la “libreria della vita” più importante di questo Paese con un alimento che corrisponde a ogni cassetto. Come le luci e gli odori che ti guidano tra le spezie e i legumi della terra e ti ricordano il valore del cibo, la fame nel mondo e l’importanza di combattere gli sprechi, gli animali addomesticati che “rivivono” in un nuovo specialissimo campionario di pezzi unici di nostri artigiani. Tutto questo credo possa valere un’Expo.
LA “TRATTORIA ITALIANA” E IL PRIMATO MONDIALE DELLA BANDIERA FERRERO
Mi ha colpito una specialissima “trattoria italiana” dove tutte le regioni sono rappresentate e la cucina di ogni pietanza è affidata alle mani esperte di ristoratori locali, mi è piaciuto per tanti motivi che a rappresentare l’armonia tra uomo e terra per l’Italia fosse indicata l’isola di Pantelleria. Mi ha colpito scorgere, qui e là, tra il padiglione di una nazione e l’altra che raccontano la loro storia, i mille segni dell’anima più vera di questo Paese come le otto installazioni Ferrero che raccontano la favola diventata realtà di un gruppo italiano che è riuscito a convincere i francesi che la Nutella è francese e i tedeschi che la Nutella è tedesca, ma anche il suo programma della cosiddetta “restituzione” che vuol dire regalare una scuola o un centro educativo a uno dei tanti Paesi emergenti dove opera. Non c’è più il patriarca Michele ma l’erede e successore, il figlio Giovanni, ha potuto annunciare ieri proprio all’Expo che il gruppo Ferrero ha superato la Nestlé, è diventato il terzo produttore mondiale di cioccolato e, cosa altrettanto importante, non è in vendita, la bandiera del capitalismo familiare italiano non solo non ammaina, ma sventola ancora più in alto. Mi ha colpito la “macchina” e la credenza in legno rosso di Riso Scotti, la dea alata Nike con le penne rigirate e il bue della “Granda” di Francesco Rubino, il signor Franciacorta, Maurizio Zanella, che ti spiega che “è di Bolzano e intollerante” e forse anche per questo “la nostra qualità ha superato quella dello champagne”, 113 cooperative su 38 Comuni tra Brescia e lago d’Iseo. Uscendo da una visita ai Lunelli e a un loro specialissimo spazio espositivo Ferrari dove scorre un filmato e sento ripetere “il vino è saggio e pazzo”, mi prende una scultura di Santo Alligo che ha un titolo inequivoco “Domenica”. Finalmente! e mi piace soprattutto quella copertina vuota della nostra Domenica del Sole sotto un contenitore di vetro insieme con un’anguria rossa, un guanto di pelle nera e un calice bianco. Ci sono tante cose ancora da fare e aggiustare, non doveva accadere, ma quell’orgoglio italiano e milanese che “traspare” in ogni angolo è il segno più bello che potevo sperare di cogliere, ritorna l’idea di una Milano laboriosa che vuole riprendere a dire la sua nel mondo, e dentro c’è anche un pezzetto di Sole, qualcosa di noi.
IL SILOS DI ARMANI E LA SFIDA DEL MUSEO DELLE CULTURE, IL CORAGGIO DELLA “GUGGENHEIM MENEGHINA”
Che cosa dire, allora del Silos di Armani e del Museo delle culture, Mudec, in zona Tortona, che aprono uno spazio nuovo, a suo modo unico, in una città che sembrava destinata a spegnersi giorno dopo giorno, dove storie di uomini di impresa della moda primi al mondo decidono di raccontare i capitoli più nascosti della loro vita e dove pezzi di cultura da noi apparentemente lontani si intrecciano e cercano di tenersi per mano, offrono luoghi di creatività per ogni generazione. Anche qui c’è più di qualcosa di noi a riprova che la cultura è un impegno totalizzante. Gli ex laboratori Bracco diventano spazio aperto per giovani artisti, lo show room di Zegna sceglie l’habitat di una foresta, fiori colorati sulle vetrate, rami di alberi su pavimenti e scalinate, la creatività biellese rende omaggio all’Expo con lo spettacolo “Fabulae Naturae”. I bronzi e i marmi della Fondazione Prada, l’arte greca classica e il suo linguaggio, un museo privato in Largo Isacco che colma i vuoti di un museo pubblico d’arte contemporanea che stiamo ancora attendendo, area didattica, rassegne cinematografiche gratuite destinate ai cineasti contemporanei, il “Bar Luce” che ha i colori saturi, rosa intenso, rosso scuro, verde chiaro, un sapore novecentesco e l’aria di un set cinematografico, ma soprattutto ha una decorazione, anche sul soffitto, che richiama la Galleria Vittorio Emanuele, il salotto della città, e i suoi tavoli in formica che ricordano la Milano degli anni Cinquanta e Sessanta con tanto di flipper e jukebox. Anche questa specie di “Guggenheim meneghina” apre al pubblico in questi giorni e conferma che tira un’aria nuova, la voglia di mettersi in gioco della parte più sana e vitale della nostra imprenditoria. È bello che Milano si riveli alla voce fatti il laboratorio di una metropoli che riscopre la sua vocazione internazionale e decide di tornare a investire su se stessa. Mi viene in mente quello che mi disse qualche anno fa Miuccia Prada a cena a casa sua, cito a mente: “Abbiamo difficoltà a assumere creativi a Milano, non vogliono vivere in questa città, chiedono solo di Amsterdam, New York, Shangai”. Bene, ora proprio lei ha deciso di farli venire a lavorare in Largo Isacco, Milano sud, e ha voluto che questa scommessa riguardasse un territorio meno fortunato e avesse grandi ambizioni, non si può dire che difetti il coraggio.
LA SCALA, IL PICCOLO E QUELLA RISPOSTA RIMASTA SUL TACCUINO
Sul taccuino di questo mio specialissimo weekend milanese è rimasta annotata la risposta a una mia domanda (”Come va? Si sente l’effetto Expo?”) della cassiera del ristorante del Piccolo, la seconda istituzione teatrale dopo la Scala, in entrambe la cultura vive di qualità e di risorse private. Eccola: “Milano riparte, fu così nel dopoguerra, sarà così anche oggi, e adesso come allora il Paese seguirà”. Se l’Italia ritrova la sua capitale internazionale ritrova anche la “sua locomotiva”, gli italiani devono tornare a credere nel loro futuro e lo devono poter fare a ragion veduta. Avere cancellato in poche ore gli obbrobri della violenza cieca dei black bloc è il segnale più forte che Milano potesse dare al mondo, ci dice che c’è voglia di riscatto e nessuno può fermarla. Gli incubatori di eccellenza della nuova manifattura, la risorsa giovanile e la scommessa che i big dell’arredo e della moda hanno ripreso a fare su Milano, a partire dal suo cuore antico che è la galleria Vittorio Emanuele, indicano che qualcosa sta cambiando in profondità. Se cambia Milano, cambia l’Italia, bisogna crederci o almeno provarci.
P.S. La fiducia si nutre di riforme e Renzi ha usato le vie spicce sull’Italicum, la stabilità è un valore e cambiare il sistema elettorale aiuta. Non faccia altrettanto con il Senato delle Regioni, si evitino pasticci. Il futuro si costruisce con la memoria e impone l’ascolto. C’è da apprendere molto dalle testimonianze milanesi di orgoglio civile e laboriosità.
Roberto Napoletano, Il Sole 24 Ore 5/5/2015