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 2015  maggio 03 Domenica calendario

UN SOGNO DI NOME WANDA


[Wanda Ferragamo]

Il passo è veloce. Arriva dal corridoio del piano nobile di Palazzo Spini Feroni. «Vedo un po’ di polvere sulle piante, Giuseppe. Dica ad Aldo di farle pulirle, per favore», dice un’energica voce di donna. Dopo qualche secondo Wanda Ferragamo fa il suo ingresso nel Salone della Musica. Indossa un tailleur color porpora che le dona molto, è perfettamente truccata e pettinata. Con i suoi 94 anni in dicembre, la Signora – come tutti la chiamano in azienda – è ancora attiva nella celebre maison fiorentina, ma lontana dal quotidiano: come la frenetica preparazione in corso, due piani più in basso, nel Museo Salvatore Ferragamo, della mostra Un palazzo e la città, che aprirà l’8 maggio nell’ambito delle celebrazioni per i 150 anni di Firenze Capitale.
«Sto attenta a cose alle quali nessuno ha più tempo di fare caso», dice Wanda Ferragamo. Ogni mattina alle 10,30 arriva con il suo autista al portone del palazzo in via Tomabuoni, dal 1938 sede della maison e del suo più bel negozio. Scende aiutata da Settimio, concierge in livrea. Raggiunge il suo ufficio al primo piano e chiama il giovane Giuseppe Poeta, addetto stampa di Ferragamo dopo essere stato suo assistente personale e prima ancora impiegato, fra i tanti scelti da lei con leggendario istinto.
Nella lista delle cose da fare di una donna che per più di mezzo secolo è stata una manager di ferro, ci sono anche bizarrie: ricordarsi, per esempio, di organizzare una riunione con i nipoti della quarta generazione, quelli intorno ai dieci anni, o di comunicare a quelli della terza che durante le vacanze estive dovrebbero passare un po’ di tempo a lavorare nella fabbrica di Osmannoro. Nel corso degli anni figli e nipoti lo hanno sempre fatto. Il segreto del successo di Ferragamo è nella famiglia e nello sforzo titanico per tenerla unita. «Non ho mai fatto differenze tra i miei sei figli. Tutto è stato sempre diviso in parti uguali». All’inizio quasi tutti i sei figli lavoravano in azienda, oggi sono rimasti in due: Ferruccio è il presidente, Massimo è chairman della Ferragamo Usa. Nel 2006 la Signora scelse un manager esterno, Michele Norsa, per le cariche di direttore generale e amministratore delegato. Fu una bella mossa, come quella di limitare l’accesso in azienda alle nuove generazioni. Wanda Miletti ha 18 anni quando nel 1940 conosce e sposa Salvatore, di 24 anni più vecchio. Lei è una ragazza borghese di buona educazione, figlia di Fulvio Miletti, sindaco e medico condotto di Bonito, paese dell’Irpinia, quasi cinquemila abitanti all’inizio del 900. Lui ha invece origini umili: nato nel 1898, undicesimo di 14 figli, a nove anni fa già il ciabattino a Bonito; a 16 parte per l’America. È un artigiano curioso, intelligente, abilissimo. Diverrà il calzolaio delle dive e dei film di Hollywood. Dopo il crack del ’29 torna in Italia e inizia a lavorare a Firenze, «con gli artigiani della pelle più bravi del mondo». Nel ’37 compra Palazzo Spini Feroni e lo restaura; dal ’38 diventerà la sede della Salvatore Ferragamo. Ma Il calzolaio dei sogni, titolo della sua autobiografia, non dimentica Bonito. E, quando nel ’40 il sindaco Miletti gli chiede un contributo per costruire un capannone che servirà come mensa per i poveri, sarà molto generoso. «Si presentò in casa un pomeriggio cercando mio padre. Ma era fuori per le visite e lo accolsi io. Sapevo che era una persona importante e dissi una frase così formale, “complimenti per il largo contributo che dà all’eleganza femminile”, che ancora oggi mi fa sorridere».
Il resto è storia: lui le chiede di mostrargli il piede per offrirle una sua creazione; lei si toglie le scarpe e ha un buco piccolissimo sulla punta dell’alluce; lui neanche prende le misure e dopo qualche giorno le fa arrivare una perfetta francesina con tacco sette, zeppa minima e pelle lavorata a squamette. La scarpa del fidanzamento, ancora in produzione. Ma nel 1960, a 62 anni, Salvatore Ferragamo muore. Wanda ne ha 38 e rimane vedova con sei figli: Fiamma, la più grande, ha 19 anni; Massimo, il più piccolo, due. «In azienda non avevo mai fatto nulla, ma sapevo di dover continuare l’opera di mio marito. Lui adorava il suo lavoro, aveva lasciato così tanta sostanza. Non si poteva disperdere».
Sostanza e forme di legno. Alcune delle quali pendono da una parete nel Museo Salvatore Ferragamo. Su quei piedi immaginari è scritto Greta Garbo, Marilyn Monroe, la duchessa di Windsor, Sophia Loren, Eva Peron, Ava Gardner, Audrey Hepburn, Anna Magnani... «Nessuna ha mai rinunciato a un paio di scarpe di mio marito. Salvatore amava i loro piedi, sapeva come trattarli. In America aveva studiato l’anatomia e aveva capito che il peso del corpo appoggia sull’arco plantare. Per questo le sue scarpe erano prima di tutto comode». Questa mattina la Signora non porta, come abitualmente, tacchi alti. «Me ne sono pentita, ma ero già in strada. Sarebbero stati più adatti a questo tailleur un po’ larghino». Calza un modello derivato dalla celebre Vara, la scarpa più venduta al mondo: un décolleté con un fiocco di gros-grain fermato da una fibbia dorata, creato nel ’78 da Fiamma, la figlia maggiore entrata in azienda a 16 anni e morta nel ’98 a 57 per un tumore, come suo padre. «È una ferita ancora aperta», dice la Signora, e bisogna riportarla a ricordi più sereni. È vero che era gelosa di Marilyn? «Alla mia età la memoria fa brutti scherzi, ma non ricordo di esserlo stata. Salvatore non mi dava motivo di essere gelosa».
Chissà che vita splendente, che viaggi, che mondanità. «Al contrario. Mai stata mondana, mai viaggiato molto. Come facevo con sei figli? Ero molto aiutata, ma erano comunque sei. Di viaggio ne ricordo uno, subito dopo la guerra, con il transatlantico Queen Elisabeth verso New York. Fu lì che incontrammo Christian Dior. Tra lui e Salvatore ci tu sempre grande stima. L’unica amicizia vera fu, però, con Audrey Hepburn. Ricordo che una volta venne a pranzo da noi a Fiesole con l’inseparabile Anita Loos (scrittrice americana di Gli uomini preferiscono le bionde, sceneggiatrice di Gigi e di Chéri, ndr.). Da un piatto di portata, a uno dei nostri camerieri cadde un forchettone. Cadde sul parquet, un rumore terribile. Ero così imbarazzata. Audrey continuò a parlare come se nulla fosse accaduto. Una vera signora».
Nel 2014 il Gruppo Salvatore Ferragamo – scarpe, accessori, abbigliamento, quasi al 70% ancora di proprietà della famiglia, il resto in Borsa – ha fatturato 1.332 milioni di euro, il 6% in più rispetto al 2013; ha 373 negozi monomarca più altri 270 punti vendita in 100 paesi del mondo. Qual è il segreto, signora Wanda? «Sono stata aiutata, e ho avuto attorno persone valide. Al funerale di mio marito gli operai della fabbrica mi abbracciarono dicendo: “Non si preoccupi signora, l’aiuteremo noi, vedrà che ce la faremo”. Nessuno ha mai smesso di lavorare e ce l’abbiamo fatta». E la concorrenza? E Louboutin? E Jimmy Choo? «Non ce ne siamo mai preoccupati».