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 2015  maggio 03 Domenica calendario

ANCHE LA SCALA SI ESALTA DAL LOGGIONE PIOGGIA DI APPLAUSI PER LA TURANDOT DI CHAILLY

Circondato da una magnifica inquadratura di rose di diversi rosa, il palco presidenziale pareva una cartolina di auguri di epoca pucciniana: e mentre il maestro Riccardo Chailly, già entusiasticamente applaudito al suo ingresso in sala, dava il tocco di inizio di un Inno di Mameli molto festoso, nel palco stesso sono scattati in piedi sullo sfondo un po’ di ministri e in prima fila il premier Matteo Renzi in abito blu, la sua graziosa signora in nero lungo, il sindaco Giuliano Pisapia, la sua elegantissima (Armani) moglie Cinzia, e la più piccola dei tre figli di Renzi, Ester, che tra tutti gli occupanti del palco era certo la più estasiata ed esperta di musica, cantando in un coro fiorentino di voci bianche.
I veri appassionati istituzionali se ne stavano in platea in mezzo al maturo popolo scaligero, ed erano la ministra Giannini con il marito, almeno lì non contestata, e i molto festeggiati ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con la moglie Clio, l’ex premier Mario Monti con la moglie Elsa, il presidente della Biennale Paolo Baratta con la moglie Gemma e la cognata Diana Bracco. E anche Giorgio Armani. Volti seri o addirittura sdegnati per il casino che per tutto il giorno, sotto una pioggia inadatta alla bisogna, aveva vistosamente devastato una parte comunque elegante di Milano? Parole di biasimo per gli insensati e infantili rottamatori di automobili altrui e di vetrine innocenti anche se bancarie, comunque isolati militarmente dai loro bersagli, l’Expo e la Scala? A parte i politici, pronti a stigmatizzare e deplorare, per necessità di ruolo e per accanimento dei cronisti, finalmente con qualcosa da chiedere che non fosse lo stilista della signora, molti i presi alla sprovvista, soprattutto i tanti stranieri, che non avevano perso tempo con Internet e televisione: e se mai con una lacrima sul viso per la povera Liù, che pur imbacuccata in un travestimento bianco sconsiderato, si suicidava con un pugnale, ovviamente per non danneggiare l’amato principe Calaf il cui nome nessun saprà, tranne lei e gli spettatori.
Quanto alla Turandot, scelta per festeggiare l’inaugurazione del semestre Expo, se non da rari sapienti incontentabili, è stata giudicata meravigliosa: e per la prima volta da decenni, perfino il loggione, di solito malvagio come la Principessa prima del solito bacio fatale, non ha emesso il tradizionale boato, ma anzi alla fine non smetteva più di applaudire, come nei palchi e in platea: il magnifico coro travestito da M di Fritz Lang, con cappello e cappottone (e al posto delle mani due lucine rosse), i cantanti tutti, anche Calaf, il tenore Aleksandrs Antonenko in lunga tunica di lamè color ferro, non da tutti apprezzato ma non fischiato, la vendicativa e assassina principessa Turandot, il soprano Nina Stemme, in un magnifico, terrorizzante costume nero pieno di aculei e antenne da mantide religiosa, che però alla fine il maschio Calaf le strappa e lei subito innamorata e buona, e la più applaudita, il soprano Maria Agresta, Liù, la santarellina che in tutte le opere muore.
Per Chailly è stato il dovuto trionfo, ma anche scenografo, costumista e Nikolaus Lehnhoff, il regista, sono stati insolitamente omaggiati. Si sa che la Turandot è l’ultima opera pucciniana, prima esecuzione assoluta proprio alla Scala il 25 aprile 1926, 17 mesi dopo la sua morte, a 68 anni, a Bruxelles dove tentavano di salvarlo da un cancro alla gola. La diresse Arturo Toscanini che quella sera interruppe l’opera dove Puccini l’aveva interrotta, tralasciando il finale di Franco Alfano. Anche Chailly l’ha diretta con quel finale sino al 2002 quando presentò in forma scenica l’opera ad Amsterdam, con il finale concordato con Luciano Berio, 15 minuti più rispettosi, dicono gli esperti, della modernità di quest’ultimo Puccini, che seguiva l’avanguardia, amava-odiava, ricambiato, Mahler, ascoltava Alban Berg, e qualche mese prima di morire era andato a Firenze a sentire Pierrot Lunaire di Schönberg. L’altra sera era la prima volta che con quel finale veniva data alla Scala nell’edizione di Amsterdam, stesso direttore d’orchestra, stesso regista, stessi costumi e scenografia: molto espressionista (Metropolis, sempre di Fritz Lang), con qualche accenno nell’immensa parete obliqua, rossa o viola del grandioso palazzo imperiale, alla pittura del purtroppo scomparso artista contemporaneo Emilio Tadini: con aperture luminose come quella a oblò in alto, da cui spunta l’imperatore della Cina (il tenore Carlo Bosi), gigantesco, vestito bianco da gran dama e con sangue che gli cola dalla bocca. Niente cineserie, per fortuna. Tra il primo e secondo atto, cocktail con Renzi e banchieri internazionali e cinesi della finanza di Stato nel bel museo, alla fine cena per tutti i lavoratori scaligeri e invitati vari in palcoscenico compreso il sindaco Pisapia. Il sovraintendente Pereira con bella giovane compagna, molto contento, dedica il successo della serata ai caduti sul lavoro. Prima, durante e dopo la Turandot, piazza della Scala irraggiungibile e quindi completamente vuota come non si era mai vista: l’unico fastidio la forte pioggia, sui begli abiti eleganti e sobri, tranne qualche eccesso d’oro e ricami. A Rai 5, la Turandot ha avuto un picco verso le 22 di 733,235 spettatori.
Natalia Aspesi, la Repubblica 3/5/2015