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 2015  maggio 03 Domenica calendario

UNA SPOSA PER MR LEE


La Corea del Sud ha lo stesso problema dell’Europa: non nascono abbastanza bambini. Ma anziché fornire aiuto economico e logistico alle famiglie, la Corea per aiutare l’equilibrio demografico ha deciso di puntare sull’immigrazione di donne vietnamite, come la ventitreenne Mai.
Mai non ha mai cercato un uomo che avesse con lei molto in comune. Il suo uomo dei sogni non è attento ai suoi bisogni o di bell’aspetto. Il suo uomo dei sogni è ricco e la salverà dalla povertà. Questo chiede Mai al matrimonio, in questa mattina di primavera in cui si ritrova in coda assieme a centinaia di altre donne nei sobborghi della città vietnamita di Haiphong. Indossa jeans, una camicetta e scarpe da ginnastica. Niente trucco, come al solito. È una giovane donna con la carnagione scura e gli occhi a mandorla. Porta i capelli legati in una coda e la frangia le cade sul viso. Da mezz’ora è in attesa fuori da un albergo per partecipare a un casting nel quale donne vietnamite si presentano a uomini coreani in cerca di moglie.
Mai entra nella stanza dove hanno luogo le “selezioni” in compagnia di un’altra ragazza. Dietro a un lungo tavolo sono seduti sei uomini coreani in trasferta in Vietnam per quattro giorni. La donna che fa da interprete è anche l’intermediaria di matrimonio. Punta l’indice verso Mai e dice: «Lei ha 23 anni, due fratelli e i suoi genitori sono contadini». Dopo di che, la signora presenta a lei e a un’altra ragazza gli uomini seduti dietro al tavolo. Uno di loro è un po’ corpulento ma il suo viso ha un’espressione amichevole. «Lui si chiama Sang-Hoon Lee (nome finto, ndr), ha 43 anni e lavora in fabbrica. Vive da solo e guadagna 3mila dollari al mese».
Ora l’intermediaria indica nuovamente Mai e chiede all’uomo: «Le piace?». L’uomo annuisce, Mai può sedersi mentre l’altra pretendente lascia la stanza. L’intermediaria chiede a Mai se è d’accordo a prendere Sang-Hoon Lee come marito. «Sì, ma avrei una domanda. Lui in Corea mi permetterà di lavorare?». «Non dire stupidaggini!». A questo punto, l’intermediaria dice in coreano a SangHoon Lee che Mai accetta di diventare sua moglie. Dopo di che spiega a entrambi quali documenti saranno necessari: l’atto di matrimonio, un documento che attesti la conoscenza della lingua, un certificato di buona salute e un visto per l’estero. Tutto avviene talmente in fretta che a Mai non resta neppure il tempo per fermarsi a riflettere sul fatto che ha appena promesso la propria vita a uno sconosciuto.
Quello fu il giorno nel quale Mai conobbe suo marito. così lo racconta alcuni mesi dopo. Mai oggi si trova in uno sperduto paesino vietnamita in una casa composta da una stanza con quattro muri fatiscenti al cui interno vi sono una brandina e una corda sulla quale sono stesi ad asciugare dei pantaloni e delle camicie. Partirà stasera in aereo per la Corea del Sud e la sua nuova vita. Accanto alla casa c’è un buco nel terreno, il gabinetto. Il villaggio di Mai si trova a circa 100 km da Hanoi, la capitale del Vietnam. La strada che da Hanoi conduce fino a qui è trafficata e piena di buche e passa accanto a mercati rumorosi e piccoli ristoranti dove i cuochi sono intenti ad arrostire carne di cane e di topo. La strada passa accanto alle fabbriche in cui migliaia di lavoratori realizzano T-shirt, sneakers, monitor e cellulari destinati alle vie dello shopping dei Paesi industrializzati.
In quei Paesi, la parte ricca del mondo di cui fa parte anche la Corea del Sud, negli ultimi decenni molte cose sono cambiate. Prendiamo le donne, che oggi vivono una vita sino a poco tempo fa appannaggio esclusivo degli uomini: studiano, diventano medici o avvocati, gestiscono grandi aziende, guadagnano, fanno carriera. E mettono al mondo molti meno figli di una volta.
Per questo motivo i coreani oggi non importano più dal Vietnam solamente prodotti dell’industria tessile e componenti per la telefonia cellulare, ma anche giovani donne. Il governo sud-coreano offre alle vietnamite corsi di lingua gratuiti, così come la possibilità di seguire un apprendistato a costo zero come parrucchiere o estetiste. Inoltre, regala loro biglietti aerei perché possano recarsi con regolarità a trovare le proprie famiglie in Vietnam. Oggi le spose vietnamite immigrate in Corea del Sud sono circa 60mila. Ogni anno se ne aggiungono circa mille. Per le donne vietnamite sposare un coreano equivale a fare carriera.
Il giorno dopo essersi conosciuti, Mai e Sang-Hoon Lee si sono sposati insieme ad altre tre coppie. L’intermediaria ha pettinato, truccato e fotografato le ragazze. Durante la cerimonia, tutte e tre hanno ricevuto la stessa fedina d’oro. Mai ricorda che l’anello le andava stretto. All’epoca, Mai con il marito praticamente non parlava. Lui non conosceva una parola di vietnamita, lei non parlava coreano. Ogni comunicazione passava, per forza di cose, dall’intermediaria.
Dai dati raccolti dai sociologi vietnamiti risulta che le spose migranti hanno trasferito lo scorso anno l’equivalente di 45 milioni di euro al Vietnam in forma di rimesse alle loro famiglie. Il governo, però, vede in questa forma di migrazione una vera e propria umiliazione. I quotidiani filogovernativi parlano di sfruttamento sessuale e di una forma di prostituzione che attraversa le frontiere. L’intermediazione matrimoniale in Vietnam ha una lunga tradizione, tuttavia i comunisti al potere, per ragioni morali, l’hanno da tempo vietata. Ciò nonostante – o forse proprio per questo – il business sta vivendo un boom.
Poco prima di partire per la Corea del Sud, Mai partecipa a un corso di due settimane per spose vietnamite, interamente finanziato dal gruppo industriale Samsung, che proprio in Vietnam sta realizzando la più grande fabbrica nel settore della telefonia mobile del mondo. L’albergo in cui si tiene il corso si chiama Fiore di Loto. Sulle pareti dell’aula sono dipinti fiori e mattoni a vista, mentre accanto alla lavagna è appesa una grande cartina del sud-est asiatico. Le vietnamite sono sedute una accanto all’altra in una fila di tre tavoli.
Una donna con la carnagione chiara e un filo di perle intorno al collo entra in aula e saluta le “studentesse”. Lei è coreana ma vive da ventanni a Hanoi dove, in passato, ha lavorato presso l’ambasciata coreana. Racconta che, fino a pochi decenni fa, la Corea del Sud era esattamente come il Vietnam oggi. All’epoca, anche in Corea era normale che una donna avesse cinque o sei figli. Il Governo, però, vide in tutte quelle bocche da sfamare un ostacolo allo sviluppo dell’industrializzazione moderna. Per questo cominciò a sponsorizzare campagne a favore di nuclei familiari più ridotti. Una delle conseguenze fu che moltissime donne che portavano in grembo delle femmine decisero di abortire.
Le coppie coreane cominciarono a volere meno figli e, soprattutto, a volerli maschi. Oggi in Corea del Sud c’è un evidente esubero di uomini in età da matrimonio. «Per questo i coreani vanno all’estero a cercare moglie», racconta l’insegnante alle giovani vietnamite nella sala conferenze dell’Hotel Fiore di Loto. Il basso tasso di natalità ha contribuito in modo profondo alla trasformazione del Paese. «Se le donne coreane continueranno ad avere così pochi bambini, la nostra popolazione diminuirà in maniera drastica e un giorno il numero degli abitanti sarà la metà di quello attuale», racconta l’insegnante. «La Corea è il vostro futuro».
Mai passa in rassegna i documenti relativi al suo matrimonio e trova i recapiti di suo marito, l’indirizzo della sua futura casa, una casa grande – a detta dell’intermediaria – in cui Sang-Hoon Lee per il momento vive da solo. La località si chiama Bongdong, e a circa 200 km dalla capitale Seoul.
L’autostrada che parte da Seoul sfreccia accanto a grattacieli sfavillanti, fast food e immense affissioni che pubblicizzano uno smartphone di ultima generazione, l’auto più innovativa del mercato e la crema numero uno per schiarire la pelle. Il viaggio per raggiungere Bongdong conduce attraverso un mondo che dista anni luce dal villaggio di Mai. Poi, a un tratto, lo scenario cambia radicalmente: al posto dei grattacieli e dei centri commerciali appaiono campi e orti. Dal finestrino si vedono piccole chiese attorniate da casette bianche e grige, tutte malconce. Di sfavillante non c’è più nulla.
Bongdong è un villaggio di 15mila abitanti. La casa di Sang-Hoon Lee, che Mai tra poco vedrà per la prima volta, si trova poco distante dal centro. Davanti alla casa ci sono un grande cancello di metallo, un cane che abbaia, un piccolo cortile, mattoni grezzi e mura fatiscenti. Sang-Hoon Lee lavora per un’impresa edile. Indossa un bracciale d’argento e ha i capelli lievemente mossi. Sembra più giovane dei suoi 43 anni e anche meno tarchiato rispetto alle foto del matrimonio. Ci dice che oggi sfortunatamente non può ricevere ospiti perché sta ristrutturando casa. Non risponderà a nessuna delle nostre successive richieste per organizzare un incontro.
A Bongdong sono molti gli uomini che vivono con una donna vietnamita. Lo scopriamo negli spogli ristoranti privi di riscaldamento che ci sono in paese. «Quello si è comprato una donna per mettere al mondo dei figli», è questo che dice la gente. «Ha importato un’incubatrice». In effetti appare alquanto evidente che il matrimonio con una donna vietnamita sia l’unica soluzione di ripiego possibile per tutti quei coreani troppo poveri, troppo vecchi o troppo poco istruiti per soddifare bisogni e desideri delle donne coreane moderne. Questi uomini sono spesso costretti a grandi sacrifici per racimolare l’equivalente dei 10mila o 15mila euro richiesti dagli intermediari. Anche per questi uomini, come per Mai, l’amore è un lusso. Come se la passano le donne che già da tempo vivono qui a Bongdong? La loro vita quotidiana potrebbe fornire degli indizi su ciò che aspetta Mai. Un tassista ci dà una dritta e una donna vietnamita si offre di aiutarci, ed è così che ci ritroviamo davanti a una casa in mezzo ai campi. Una scala conduce al piano rialzato, per entrare in soggiorno bisogna lasciare le scarpe fuori dalla porta. Alle pareti sono appese grandi fotografie che ritraggono marito e moglie in abiti tradizionali coreani: lui, allampanato e un po’ strabico, indossa un mantello scampanato. Lei, elegante e graziosa come una modella, sfoggia un’ampia gonna multicolore. La donna della fotografia si chiama Minh (anche questo è un nome cambiato, su sua rischiesta, ndr), ha 27 anni ed è originaria del Vietnam meridionale. L’uomo che ha sposato, cinque anni prima si era recato con la madre in Vietnam. E all’epoca fu lei a scegliere la futura sposa del figlio tra le pretendenti presenti. Secondo le amiche di Minh è andata così «perché lui è affetto da un ritardo mentale». Oggi Minh ha invitato a pranzo otto amiche vietnamite che vivono a Bongdong da diversi anni. Tutte quante sono sposate con un coreano, alcune sono venute con i figli. Oggi si ritrovano insieme e parlano dei loro rispettivi mariti. La prima lamenta che lui non guadagni abbastanza per mantenere la famiglia, nonostante faccia il doppio turno in fabbrica. La seconda dice di aver appena perso il lavoro da operaia per un litigio con un collega coreano. La terza racconta che il marito è un alcolista e in casa non entrano soldi.
All’improvviso, una delle donne grida: «Minh, tua suocera sta rientrando!». Dalla finestra si intravede una donna che si avvicina in sella a un motorino. In un batter d’occhio, le donne sparecchiano il tavolo e lo sistemano vicino alla parete. Minh arriva con la scopa e spazza il pavimento. Poi grida: «Forza, adesso mettetevi tutte in fila e fate l’inchino!». In quel preciso istante, entra nella stanza una donna anziana e le vietnamite sussurrano parole di benvenuto. La stanza sembra divisa a metà: da un lato le spose straniere colte in flagrante nel bel mezzo di una festicciola, dall’altro, la suocera coreana che contiene a stento la collera. Senza una parola attraversa la stanza, si volta ed esce, dopo aver chiesto bruscamente a due donne di occuparsi dei bambini di Minh. La sposa vietnamita le corre dietro. «State tranquille!», grida uscendo. «Torno subito». Le amiche le rivolgono sorrisi incoraggianti, poi lasciano una alla volta la casa.
Mai è partita dal terminal dell’aeroporto di Hanoi avvolta in un cappotto rosso di lana. Fa troppo caldo per un capo del genere, ma in Corea del Sud ora é inverno. Si è fatta schiarire i capelli e trascina il trolley rosa che suo marito le ha regalato il giorno delle nozze. In valigia ha messo i suoi libri per imparare il coreano, molti vestiti caldi, una torta vietnamita, spezie e diversi semi che conta di piantare nel giardino del marito a Bongdong. Mai non smette di sorridere mentre si lascia fotografare in compagnia delle sue amiche Hoa e Nghien, anche loro pronte a imbarcarsi sullo stesso volo. A sua madre Mai dice di non preoccuparsi, le ricorda di non aver mai avuto problemi ad affrontare le situazioni nuove. Al padre promette che presto gli manderà del denaro affinché possa andare dal medico per fare un check up a quello stomaco che da tempo lo fa penare. Al fratellino, invece, dice di impegnarsi a scuola e di prendere buoni voti, così tra qualche anno gli troverà un buon lavoro in Corea del Sud. Prima di passare attraverso i controlli di sicurezza, si gira ancora una volta: «Mi mancherete tutti moltissimo!», grida. «Chissà quando riuscirò a tornare».
Sei settimane dopo, Mai si fa viva tramite Facebook. «Ci sono novità», racconta. «Sono incinta. Sarà una bambina». (Die Zeit.-Traduzione di Micaela Calabresi)