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 2015  maggio 03 Domenica calendario

GIUDICE MARILYN, L’EROINA DEI NERI DI BALTIMORA

DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK «Papà e mamma. Mio nonno e gli zii: cinque generazioni di poliziotti nella mia famiglia. Sono cresciuta con loro, so che fanno un lavoro duro, ingrato, che va rispettato. Ma chi usa metodi brutali va punito. I comportamenti violenti gratuiti vanno eliminati». Appena si è insediata nel suo nuovo incarico di State Attorney di Baltimora nel gennaio scorso, Marilyn Mosby, 35 anni, la più giovane procuratrice di una grade città americana, ha promesso di mantenere l’impegno preso durante la campagna elettorale: cambio di rotta nei rapporti con la polizia cittadina che, immersa in un contesto sociale molto difficile, si muoveva con sempre maggior durezza, certa dell’impunità per i suoi eccessi.
Appena tre mesi dopo per Marilyn è arrivata la prova del fuoco con la morte di Freddie Gray, uscito in coma e con fratture alla colonna vertebrale dal furgone che l’aveva trasportato dal luogo dell’arresto al commissariato. La Mosby non solo non ha avuto esitazioni, ma si è mossa a tempo di record: ha incriminato e fatto arrestare i sei agenti, tre bianchi e tre neri, coinvolti nell’arresto del ragazzo di colore, 24 ore dopo aver ricevuto il rapporto delle indagini e l’esito dell’autopsia. Liberi su cauzione, i sei rischiano condanne severe perché le accuse sono pesanti: omicidio colposo, violazione dei regolamenti della polizia, comportamenti brutali ingiustificati. L’autista del furgone cellulare dovrà rispondere di un’imputazione ancora più grave: omicidio di secondo grado.
L’autopsia parla esplicitamente di omicidio e dalle indagini dei colleghi dei sei arrestati è emerso che Freddie Gray, ammanettato dietro la schiena e coi ceppi alle caviglie, non aveva la cintura di sicurezza. Il suo corpo è stato sballottato con violenza e durante le quattro soste nella corsa verso il commissariato le invocazioni del ragazzo, che non riusciva più a respirare, sono state ignorate. Solo all’arrivo è stata chiamata un’ambulanza. Ma ormai Freddie, la spina dorsale rotta e la laringe sfondata, era in arresto cardiaco. Una settimana in coma e poi è morto.
In casi simili, in genere, in America partono indagini interminabili. Quando viene provato che un poliziotto è stato troppo violento, l’atto viene derubricato a eccesso di difesa e raramente punito. I procuratori delegano ai grand jury che di rado incriminano. La Mosby ha seguito un’altra strada: ha promesso alla città scossa dalle sommosse e alla famiglia di Freddie che avrebbe fatto giustizia senza alcuna indulgenze per la polizia «che non è al di sopra della legge». E ora è diventata l’eroina della maggioranza nera della città scesa nelle strade dove si susseguono le manifestazioni di giubilo. Ma il sindacato degli agenti e l’America conservatrice sono lividi. La accusano di aver deciso sulla base di un pregiudizio, senza indagini approfondite, e di avere vari conflitti d’interessi: il marito, ad esempio, è un consigliere comunale che rappresenta il ghetto nel quale vive la famiglia di Freddie.
Ma lei ignora gli attacchi e tira dritto mentre nelle strade spuntano i cartelli di chi la vorrebbe sindaco al posto di Stephanie Rawlings-Blake. Un’altra donna nera, ma più prudente e attendista, che ora si sente il fiato sul collo della scatenata Marilyn.