Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 04 Lunedì calendario

Il caso ha voluto che l’agenda di Matteo Renzi prevedesse per stamattina un incontro in Borsa con gli investitori

Il caso ha voluto che l’agenda di Matteo Renzi prevedesse per stamattina un incontro in Borsa con gli investitori. Oggi è il primo giorno di mercati aperti dopo la pesante sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato il blocco delle rivalutazioni delle pensioni varato a dicembre 2011 dal governo Monti. Le conseguenze sui saldi di finanza pubblica sono importanti, e per questo Palazzo Chigi e il Tesoro dovranno rapidamente individuare una soluzione per evitare che pesino sul giudizio dei mercati. I numeri sul tavolo del governo, verificati da La Stampa con più fonti, sono divisi in due parti: il costo della sentenza per il passato, e quanto potrebbe pesare sui conti pubblici in futuro. Per il periodo 2012-2014 il monte pensioni interessato è di 140 miliardi di euro, per un costo di circa 8,2-8,5 miliardi di euro. Questa cifra assomma il blocco secco di tutte le rivalutazioni (sopra i 1.400 euro netti) per il 2012 e il 2013, più l’effetto di trascinamento sul 2014. Per quest’ultimo anno alcuni conteggi hanno stimato un aumento pari alla perdita della rivalutazione dei due anni precedenti, ma in realtà la legge di Stabilità del 2012 ha stabilito nuove regole che hanno modificato a partire dal 2014 le regole del blocco. La legge di Stabilità del 2013 ha cambiato le regole un’altra volta ancora, stabilendo un criterio ulteriore per il triennio 2014-2016. Queste due modifiche non sono toccate dalla sentenza della Corte, ergo la mancata rivalutazione deve essere calcolata solo dopo aver applicato le regole in vigore. Ad esempio: chi ha una pensione pari a 2.300 euro netti (circa cinque volte il trattamento minimo) avrebbe diritto all’intera rivalutazione per il 2012 e il 2013 più, come effetto trascinamento, solo di una frazione per il 2014 e gli anni a seguire. Per questa ragione, calcolare il rimborso medio per contribuente è piuttosto complesso. La stima più attendibile resta quella dei sindacati, che calcolano circa 1.500 euro. Il governo ha invece le idee chiarissime sull’impatto macroeconomico per quest’anno e i prossimi due, stante le regole in vigore: circa 3,5 miliardi all’anno, euro più, euro meno. In sintesi: ad oggi il «maturato» è di circa 10 miliardi di euro, ai quali vanno aggiunti due miliardi per il resto del 2015 e 3,5 miliardi a partire dal 2016. Il governo non sembra però intenzionato a subire passivamente le conseguenze di una sentenza che in privato viene definita «grave» e «sbagliata». C’è chi ha ipotizzato il ricorso ai giudici europei, ma le sentenze della Corte non sono appellabili. L’unica soluzione è un provvedimento ad hoc che ridisegni il meccanismo di indicizzazione e salvi, almeno in parte, gli effetti della sentenza. Fino a che il governo non prenderà una decisione per i pensionati è inutile sperare di ottenere alcun rimborso. L’unica via è un ricorso giudiziale contro l’Inps, con costi che potrebbero essere superiori ai benefici. In teoria, la sentenza dovrebbe pesare sull’indebitamento ai fini di Maastricht. Ma il presidente della Commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia dice che per il passato il governo non ha motivo di preoccuparsi: «non può che essere conteggiato come maggior debito». Resta il fatto che gli effetti della sentenza per la seconda parte di quest’anno - circa due miliardi - valgono più di quanto il premier aveva in animo di stanziare per un piano anti-povertà, ora rinviato sine die. Twitter @alexbarbera