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 2015  maggio 01 Venerdì calendario

VIAGGIO AL TERMINE DEL BINARIO

Nel 1963 veniva demolita la Pennsylvania Station di New York, architettura beaux-artes che rivaleggiava in fascino con la Grand Central. Il vulnus sul corpo urbano ha spinto il sindaco, Robert F. Wagner, a varare il Landmarks Preservation Act che festeggia il cinquantesimo anniversario e ha salvato dal tritolo edifici e quartieri ma è visto da qualcuno come freno allo spirito americano del restless renewal.
Il dopoguerra è stato l’epoca d’oro delle demolizioni e anche i terminal ferroviari hanno rischiato di finire in polvere, non solo negli Stati Uniti. Se nella Grande Mela la Penn Station veniva spianata, per far posto al Madison Square Garden, nella Piccola Mela, e cioè Milano, la Stazione Centrale – già teatro di grandi pere – ha tenuto botta nonostante rappresenti la quintessenza del quel gigantismo eclettico considerato kitsch e oggetto solo di recente di rivalutazione.
Trasformati in centri commerciali, rilanciati dallo Zeitgeist ambientalista che privilegia il mezzo pubblico e dai progressi dei treni superveloci, questi templi del trasporto rinascono a nuova vita. La Stazione Centrale di Milano, appena ristrutturata, sarà la porta d’ingresso per molti visitatori dell’Expo. La prima pietra è stata posta durante l’Esposizione universale del 1906, dedicata ai trasporti e all’apertura del traforo del Sempione, ma la costruzione si è trascinata fin dentro al Ventennio, con fasci littori e fregi imperialeggianti stratificati sullo stile liberty-déco, finti marmi e pretenziosità di gesso. Il risultato è quell’aria assiro-babilonese che lascia perplessi e contrasta con la toponomastica tapina dell’hinterland dove sono diretti i treni: “Andiamo a Rescaldina”, per citare Testori.
Non tutto è cambiato in meglio e se prima le scale mobili salivano dirette ai binari ora ci sono nastri trasportatori che costringono a guardare tutte le vetrine e sorbirsi le camicie Desigual e la foto della modella nera con psoriasi, testimonial del marchio che ti osserva mentre perdi il treno.
L’ingresso ai binari è riservato a chi possiede il biglietto: per motivi di sicurezza. Contro scippi e furti più che contro i fantasmi degli attentati ad Atocha, principale scalo passeggeri di Madrid, e al Victoria Terminus di Bombay. Esplosivo in Spagna, mitra e granate in India hanno provocato 249 vittime tra il 2004 e 2008. La mattanza sulle banchine è assicurata ma l’effetto non rivaleggia con grattacieli e jumbo.
Anche se la Chhatrapati Shivaji – questo il nome post-coloniale – neogotico vittoriano, è patrimonio dell’umanità protetto dall’Unesco.
Nessuno tocchi i terminali? Se la funzione viene meno, si possono pensare nuove destinazioni d’uso. La Gare d’Orsay a Parigi si è salvata sotto Giscard d’Estaing diventando museo su progetto di Gae Aulenti. Il passaggio dal vapore all’elettricità l’aveva già messa in crisi. Ora ci sono le tele di Toulouse-Lautrec invece dei tabelloni degli orari. Nelle stazioni storiche sopravvissute siamo alla fase dell’Alta Velocità e non ci sono più le sezioni dedicate ai reali ma i Frecciaclub per chi viaggia in business di frequente.
Meno tossici, più alcolizzati. Si passa dal racconto Postoristoro di Tondelli, dove una fellatio ferroviaria consente di trovare la vena in un corpo pieno di buchi, ai viaggiatori avvolti dai fili dell’auricolare, simili a “flebo”, nel romanzo di Alessandra Selmi La terza (e ultima vita) di Aiace Pardon (Baldini & Castoldi), dove uno dei personaggi è una barbona della stazione a Milano.
Dino Buzzati ha dipinto i treni in arrivo nel capoluogo lombardo come palazzi-vagoni che scaricano masse di dormienti. Avrà saputo dei pendolari che a Voghera all’alba salivano col pigiama sotto al cappotto, si riaddormentavano e si cambiavano all’ultimo momento? Chi dorme proprio in stazione sono i profughi dei barconi, che si contendono i quotidiani per proteggersi dal freddo e alla mattina, travolti dall’onda degli impiegati, devono sloggiare.
I centri di accoglienza non bastano e pure a me è capitato di accompagnare sotto agli archi assiro-babilonesi gente scampata all’attraversamento del Sahara e del mare.
A dimostrazione della sfida estetico-tecnologica molti architetti di fama si sono cimentati nella costruzione di nuove stazioni. Avveniristiche come quella dei treni per l’aeroporto di Lione, firmata da Calatrava e a forma di uccello in volo; o come quella progettata da Norman Foster a Singapore, coperta da un disco a foggia di ufo per la protezione dal sole. Ci sono poi le stazioni artistiche e wendersiane in Portogallo, la Gare do Oriente e la Olaias a Lisbona, eredità Expo. Ciascun nuovo edificio nasce a scapito di uno vecchio. A Milano per far posto alla Stazione Centrale hanno demolito la Cascina Pizzobonelli, antica residenza nobiliare di cui resta solo un lacerto, tra un night e un hotel. Qui Luca Beltrami avrebbe visto per caso un affresco raffigurante il castello sforzesco, scampato al progetto di sventramento post-unitario (toccato al Lazzeretto manzoniano), che gli è stato utile per ricostruire la torre del Filarete, ultimata per l’Expo del 1906. Tutto si rinnova. La Karenina si butterebbe oggi sotto a un treno a levitazione magnetica.
Antonio Armano, il Fatto Quotidiano 1/5/2015