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 2015  aprile 30 Giovedì calendario

LA PSICOLOGIA DELLO SCANSAFATICHE


Nel 1961, durante il suo discorso di insediamento, John F. Kennedy pronunciò una frase destinata a rimanere celebre: «Non chiedete che cosa possa fare il paese per voi: chiedete che cosa potete fare voi per il paese». Con queste parole, Kennedy avrebbe posto le premesse di un’importante questione: in quali circostanze il gruppo aiuta l’individuo a dare il meglio di se stesso, e quando invece tende a ridurne l’impegno? Che cosa distingue un soggetto che si dedica alla collettività da uno che invece si accontenta di sfruttarla a suo vantaggio?
Cali di rendimento
La questione si fa concreta nel seguente caso: Yves S., responsabile del servizio di statistica di un grande ufficio amministrativo, vorrebbe che i suoi dipendenti fossero più motivati nello svolgere le proprie mansioni, proponessero nuove idee e leggessero testi per aggiornarsi in modo costante. Il dirigente ha appena riunito tre diversi team che fino a quel momento avevano lavorato a casi differenti, per trarre un vantaggio concreto dalle sinergie e dallo scambio di informazioni tra i singoli membri. Quattro mesi più tardi è costretto ad arrendersi: il numero di casi trattati per singolo dipendente si è dimezzato.Yves S. si è trovato ad affrontare inconsapevolmente un fenomeno che gli psicologi chiamano «pigrizia sociale». È come se l’impegno di ognuno diminuisse man mano che il numero di persone coinvolte aumenta, il che è paradossale: ci si aspetterebbe infatti di assistere a un fenomeno diametralmente opposto di trasmissione o emulazione. In fondo, l’uomo è un animale sociale che si nutre della presenza e delle influenze degli altri. E invece in determinate circostanze si verifica l’esatto contrario.
Un agronomo osservatore
Il concetto di pigrizia sociale risale agli anni settanta. Inizialmente era noto come effetto Ringelmann, dal nome di Maximilien Ringelmann, un agronomo di fine Ottocento che studiò l’efficienza dei sistemi di traino dei buoi. Ringelmann aveva osservato che, riunendo diversi buoi, la loro forza nel trainare un aratro non era superiore alla somma delle loro forze individuali. Decise dunque di riprodurre la propria osservazione su alcune squadre di tiro alla fune, all’epoca molto in voga nei villaggi e nelle feste paesane, e notò che le prestazioni dei singoli partecipanti diminuivano con l’aumentare della dimensione delle squadre. In particolare l’energia spesa da un singolo partecipante si dimezzava nel momento in cui costui faceva parte di una squadra di otto persone. Ecco quindi smentita la massima secondo cui «il tutto è più della somma delle singole parti».
Trovatosi di fronte a questo fenomeno, Ringelmann cercò inizialmente una spiegazione meccanicistica. Ispirandosi addirittura a testi dell’epoca sui motori male accoppiati, sostenne che il calo di prestazioni a livello collettivo fosse dovuto all’imperfetta coordinazione tra gli individui. Tre quarti di secolo più tardi lo psicologo Alan G. Ingham, dell’Università di Washington, stabilì insieme ai suoi colleghi che il fenomeno era invece dovuto a un bias, ovvero un pregiudizio psicologico. Il team mise alla prova l’effetto Ringelmann ricreando una situazione in cui un partecipante tirava la corda assieme a un gruppo composto da un minimo di uno a un massimo di cinque falsi «tiratori», i quali fingevano soltanto di tirare. Riuscirono così a misurare separatamente la forza del partecipante e a osservare che questa era inferiore a quella trasmessa in assenza di comparse. Cosa ancora più grave, la forza calava man mano che il numero di tiratori aumentava.
Prestazioni ridotte
In seguito, altre ricerche hanno confermato la tesi del bias psicologico. Lo psicologo americano Bibb Latané e i suoi colleghi della Ohio State University a Columbus hanno chiesto ad alcuni studenti, divisi in gruppi di quattro o sei persone, di gridare e applaudire il più forte possibile, con il pretesto di salvare la registrazione per un ulteriore studio. Ebbene, l’intensità sonora delle loro grida e dei loro applausi diminuiva man mano che la dimensione del gruppo aumentava.
Secondo i ricercatori, questo dimostrerebbe che in determinate circostanze le prestazioni individuali si riducono quando gli individui si trovano in un gruppo in cui tutti i membri devono svolgere lo stesso compito, anche se questo non richiede un grande sforzo a livello cognitivo come nel caso delle grida o degli applausi. Numerosi studi successivi hanno confermato che, contrariamente a una visione secondo cui il gruppo sociale stimola l’individuo, la presenza di altre persone può spingerci a ridurre il rendimento individuale.
La legge del minimo sforzo
In ambito sportivo, la pigrizia sociale influisce notevolmente sui risultati. Gli psicologi Jeffrey Miles, della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, in Pennsylvania, e Jerald Greenberg, della Ohio State University, hanno calcolato che, su una stessa distanza di nuoto, le performance dei nuotatori sono migliori nelle gare individuali rispetto alla staffetta. Osservazioni analoghe sono state applicate anche alla corsa.
Gli sforzi fisici non sono gli unici a essere coinvolti. Quando viene chiesto alle persone di risolvere esercizi di tipo mentale si osserva un calo della produttività nel caso di lavori di gruppo. Lo dimostra uno studio dello psicologo Adrian North, dell’Università di Leicester, in Gran Bretagna. North ha chiesto ad alcuni volontari divisi in gruppi di tre o otto persone di trovare il maggior numero possibile di parole contenenti le lettere «T-O-N» nell’arco di 15 minuti. Il risultato collettivo è stato quindi diviso per il numero di persone. Il verdetto? Nei gruppi composti da tre membri le persone hanno trovato 14 parole ciascuna. Nei gruppi da otto, le parole trovate da ognuno sono scese a sette.
Addio motivazione
Perché diventiamo socialmente pigri? Sembrerebbe che, quando sappiamo di dover lavorare in gruppo, la nostra motivazione subisca un inevitabile calo. Gli psicologi tedeschi Jeanine Ohlert e Jens Kleinert, dell’Università di Colonia, hanno dimostrato il verificarsi di questo calo di motivazione usando un metodo ingegnoso, ossia dicendo ad alcuni soggetti di doversi sottoporre a un test collettivo, ad altri invece a un test individuale. Ma poco prima dell’inizio hanno proposto ai partecipanti di prepararsi mentalmente risolvendo alcuni brevi esercizi grafici. I due psicologi hanno quindi osservato che in questi test preliminari il rendimento era inferiore quando i partecipanti erano convinti di dover superare un test collettivo. I ricercatori descrivono questo fenomeno come «pre-pigrizia», o pigrizia di anticipazione. Il semplice fatto di sapere che la performance sarà valutata collettivamente sembra ridurre il coinvolgimento e la motivazione dei singoli.E il dinamismo di gruppo?
La nozione di pigrizia sociale sembrerebbe contraddire la tesi secondo cui il lavoro di gruppo stimola il rendimento individuale. Fortunatamente anche questo fenomeno si può verificare, e la contraddizione è solo apparente. Di fatto, la pigrizia sociale è influenzata da diversi fattori individuali, culturali e situazionali, ed è compito del manager saperli gestire al meglio e optare, in base alle circostanze, per attività individuali o collettive. Spetta a lui creare le condizioni che favoriscano il rendimento individuale anche in contesti di gruppo.
Inoltre il concetto di pigrizia sociale è un termine generico per descrivere i condizionamenti negativi del gruppo sul rendimento, ma ciò non significa che tutte le persone diventino più pigre quando lavorano in team. È necessario analizzare nel dettaglio altri fattori per comprendere le diverse situazioni caso per caso. Per esempio, sappiamo che nei gruppi di dipendenti in cui si cerca di trovare idee nuove o soluzioni a quello che non funziona attraverso il brainstorming, le persone che si collocano nella parte inferiore della gerarchia hanno paura di esporsi perché temono di essere giudicate, mentre quelle di alto livello esitano a produrre idee controverse o troppo ardite perché consapevoli di dover difendere la propria immagine sociale.
In entrambi i casi è evidente come, nei gruppi composti da entrambe le categorie, la produttività di alcuni dipendenti rischi di calare ma non sempre per le stesse ragioni. Di conseguenza, il bravo dirigente a guida di un team deve saper identificare le situazioni che ottimizzano la produttività scegliendo in base alle circostanze un approccio gestionale basato sulla performance individuale o su quella collettiva. Tocca inoltre a lui il compito di attuare strategie diverse per sconfiggere la pigrizia sociale.
In fin dei conti, queste strategie sembrano ovvie: anche quando si lavora in gruppo non ci si deve dimenticare di valorizzare il singolo, evitare che le cattive abitudini diventino consuetudini e tenere conto delle differenze di carattere, poiché esistono persone più felici di altre di lavorare per la collettività.