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 2015  aprile 30 Giovedì calendario

C’È UN LEADER CHE FA IL LEADER

[Intervista a Mario Sechi] –
Andare a chiedere dell’Italicum a Mario Sechi, uno dei più lucidi giornalisti in circolazione, c’è da prendersi qualche impropero. Sardo di Cabras (Or), classe 1968, l’ex-direttore del Tempo si occupa più spesso di economia e di geopolitica, di energia e di scenari globali, nei suoi interventi sul Foglio, nelle trasmissione tv che scrive come autore, come 2Next, o nelle suoi interventi a Mixer24. «Eh sì», sospira al telefono, «mi sono un po’ rotto le palle delle liturgie della politica italiana».
Domanda.
Sechi, non faccia il difficile: Pier Luigi Bersani ha detto che c’è in gioco la democrazia, altri hanno lanciato accorati appelli.
Risposta. Guardi, chi avesse assistito al dibattito parlamentare, si è trovato di fronte a una fiction di serie B. Ha presente: «Pedro, bevi qualcosa».
D. Sì, la parodia del Trio Solenghi-Marchesini-Lopez.
R. Esatto. C’era gente che parlava del Duce, non so se mi spiego.
D. Si è parlato di fasciorenzismo.
R. Sì, di fasciocomunismo. Renato Brunetta ha detto cose simili, assolutamente ridicole, che non stanno in piedi neppure dal punto di vista retorico. Era un dibatto fuori dal contesto reale.
D. E la realtà qual è?
R. La realtà è che c’è un leader, Matteo Renzi, che fa il leader. Renzi che fa Renzi insomma. L’opposizione no. L’opposizione fa una cosa a beneficio delle telecamere, una cronaca inutile.
D. Tutti a inseguire l’insulto greve di Maurizio Bianconi...
R. Sì, tutti a cercare dettagli inutili. La questione è il leader che si fa autorizzare la richiesta di fiducia dal consiglio dei ministri e poi manda il ministro Maria Elena Boschi a porla alla Camera. Una sfida alle opposizioni e, nel contempo, alla minoranza interna. Non è che c’è il Duce, non c’è l’opposizione.
D. Situazione preoccupante, per Renzi in primis.
R. Infatti, c’è una solitudine di Renzi, di fatto. Unica forza in campo. Un quadro preoccupante, ma non per le supercazzole sull’autoritarismo, mi scusi l’espressione, ma perché da solo, prima o poi, sbaglia. Qualsiasi leader deve avere un check and balance di sistema. E infatti, la sua fase migliore è stata quella del Patto del Nazareno.
D. In cui con l’opposizione andava a braccetto...
R. Già, ma doveva confrontarsi con una Forza Italia che non era certo ridotta come quella attuale. Ora il problema di Renzi è Renzi stesso.
D. Perché sull’Italicum che, mentre parliamo, comincia ad avere le prima votazioni, vincerà...
R. Ma certo. Qualunque sia il risultato. Vogliamo fare le ipotesi di scuola?
D. Prego. Cominciamo dall’Italicum che passa.
R. Renzi stravince ma, soprattutto, smaschera l’opposizione interna, nel senso che la conta.
D. Perché alle assemblee dem, la sinistra preferiva non partecipare per evitare proprio il conteggio. E l’opposizione in generale?
R. Ne denuncia l’incapacità politica. Perché la gazzosa non la beve più nessuno.
D. Che gazzosa, Sechi?
R. Nell’elettorato di centrodestra non c’è più il voto a prescindere. Visto che non c’è risposta politica, c’è chi decide di stare piuttosto con Beppe Grillo. E poi ci si domanda perché il M5s tenga nei sondaggi. Oppure c’è chi sta alla finestra del non voto. Renzi conta, ridicolizza e svela l’inefficacia del centrodestra attuale.
D. E se perdesse?
R. Casca il governo e lui comincia ad andare in campagna elettorale a ricordare che tutti volevano cambiare il Porcellum, dichiarato incostituzionale anche dalla Consulta, ma che glielo hanno fatto fare, dopo 14 mesi di trattativa.
D. Offrirebbero il destro alla sua comunicazione.
R. Un argomento retorico talmente grande che farebbe campagna coi cingoli dei Leopard. Si immagina? Racconterebbe che Fi aveva approvato al Senato quella stessa riforma e che la minoranza Pd l’aveva approvata in non so quante direzione democratiche. Dimostrerebbe il dispotismo della minoranza, proprio quella che lo denuncia, oggi, nella maggioranza.
D. Aldilà della politica, c’è però un’area di osservatori e giornalisti che esprime un penosa stigmatizzazione dei metodi.
R. Lo so. E la lettura politicamente corretta e quindi viziata, tipica dei parrucconi del giornalismo democratico: Renzi-ha-rotto-il-principio-pe-cui-le-riforme-si-fanno-insieme...
D. Avrà letto Ezio Mauro, stamane, e il tweet di Ferruccio de Bortoli poco fa...
R. Eh certo, conosco benissimo quel birignao. Peccato però...
D. Peccato però?
R. Peccato che nel 2001, l’Ulivo abbia fatto la riforma del Titolo V della Costituzione con una manciata di voti di scarto. Con Giuliano Amato premier, persona rispettabilissima e di grande zelo democratico. E perché a Renzi non è consentito?
D. Scrivono che all’Estero non si fa così...
R. Esatto. Ma siccome qualche libro l’abbiamo letto e qualche viaggio l’abbiamo fatto, gli dovremmo ricordare, quando ricordano i sistemi anglosassoni, che in Gran Bretagna la democrazia è maggioranza. E Barack Obama, altro campione evocato con sussiego, è uno che usa il suo potere di veto.
D. Ma perché, allora, tutto questo strabuzzare di occhi democratici?
R. Ciò che emerge, è che noi non vogliamo essere governati, cosa che questa riforma permetterà di fare. Perché, mi segua, non vogliamo il premier forte...
D. E nemmeno il presidenzialismo...
R. Per carità, neppure in versione «semi», ma, d’altra parte, non va bene il bicameralismo corretto, il monocameralismo. Niente. Non vogliono niente. Per questo Renzi è il bersaglio del nuovo conformismo. Ha presente? «L’inglese! Non sa bene l’inglese». Il fatto è che anche quel poco che Renzi fa, in modo arruffato, è comunque troppo per lorsignori.
D. Ecco, le daranno del renziano.
R. E invece, si figuri, Renzi mi lascia indifferente e un po’ perplesso.
D. Citiamo qualche errore, a riprova.
R. Una seria infinita. A cominciare dalla qualità del suo governo dove, qualche vigile urbano in meno e qualche servitore dello Stato in più, non avrebbe guastato. E poi l’economia, su.
D. Problemi anche lì?
R. Grandi come una casa. Oscurati da questo dibattito sull’Italicum, che è questione laterale rispetto a quello che abbiamo davanti.
D. In che senso?
R. C’è una sfida enorme: abbiamo un periodo irripetibile dinnanzi, una pax finanziaria che non ha eguali. Dal 1959 a oggi, le cito le date perché i parrucconi possano controllare, l’unico premier che non ha avuto rialzo dei tassi, è David Cameron in Gran Bretagna, «near zero» dicono le statistiche. La Bce procede a colpi di 60 miliardi al mese di titoli acquistati in quantitative easing e fra questi ci sono quelli italiani. Poi c’è il petrolio a 50 dollari il barile, quando, in un passato non lontano, è stato a 150. E, ancora, le borse che, da un anno, salgono ininterrottamente, mentre gli spread sono bassissimi.
D. E dove sta la sfida?
R. Che in condizioni come queste, Renzi ha confezionato un Documente di economia e finanza-Def che è un brodino.
D. Non ha osato.
R. Per niente. Poteva proiettare lo scenario e liberare un po’ di risorse da un punto di vista fiscale.
D. E invece proseguirà, con gli 80 euro, mettendoci altri miliardi.
R. Ottanta euro che non hanno funzionato. L’economia sarà pure una scienza triste ma è esatta: è passato un anno e l’effetto sui consumi non c’è stato.
D. Doveva fare un Def migliore...
R. Certo le scuse non mancano. Non lo ha fatto per l’Europa, come si ripete sempre, perché, al ministero di Pier Carlo Padoan, sono ultraconservativi e temono di farsi trovare impreparati a un’eventuale svolta del mercato, che però non ci sarà, perché la Bce continuerà anche nel 2016 come adesso, salvo un cataclisma.
D. Cosa salva?
R. Il Jobs Act, in linea teorica, ma dobbiamo aspettare i numeri veri per vederlo alla prova.
D. Dunque Renzi più bravo nella politica che nel governo.
R. Infatti questo braccio di ferro sull’Italicum non riguarda la gestione del Paese oggi. Lui, Renzi, è insuperabile nelle manovre di palazzo, nella guida del partito, nella comunicazione, poi, c’è dentro strutturalmente. Guardi come ha risolto la questione della presidenza della Repubblica, guardi come ha fregato Silvio Berlusconi, e non era facile. L’arte di governare però non ce l’ha, d’altra parte quella viene con l’esperienza.
D. Possiamo aspettarci che migliori?
R. Può applicarsi a governare meglio. Dobbiamo attendere per valutare. Del resto il tempo non gli mancherà. È un leader destinato a durare una ventina d’anni.
D. Manca l’avversario.
R. Lo stato comatoso del centrodestra è destinato a durare. Matteo Salvini è ormai concentrato solo sugli immigrati e sull’invettiva antieuropea mentre gli imprenditori del Nord, che dovrebbero essere i suoi elettori, benedicono Mario Draghi.
D. Forza Italia?
R. È messa come è messa: già nel nome ha rimesso le lancette al 1994. La domanda è se riuscirà ad arrivare al 10% delle regionali? Chissà. Poi gli altri, da Fratelli d’Italia allo stesso Ncd, sono marginali.
D. Corrado Passera?
R. Imita Marco Pannella ed è tutto dire.
D. A ben guardare nemmeno sommando tutte queste sigle, si arriva alla maggioranza.
R. Non confondiamo la politica con la matematica perché la somma di debolezze non fa mai una forza. Comunque no, non c’è più nemmeno quel dato. Ma il punto è un altro.
D. Quale?
R. Renzi, incasinato, sgarruppato e quel che volete, è contemporaneo. E non è un giudizio di valore sugli avversari. Il premier è oggi quello che è stato a lungo Berlusconi e che ora non è più, semplicemente perché invecchiato.
D. Vale a dire?
R. Uno che sentiva cosa si muove nel Paese. Facciamo un piccola analisi socio-culturale, mi permetta.
D. Avanti.
R. C’è una quota di Italiani, sopra fra i 55 e i 60 anni molto renziani. Lo stato gli ha pelato un po’ di roba e sono preoccupati perché pensano che un giorno andranno in pensione. Portano i jeans e la camicia bianca, fanno gli week-end con la moglie anche se gli piacerebbe avere la fidanzata e forse ce l’hanno, gli piace la macchina bella o la barchetta. E nessuno gli tocchi la squadra di calcio.
D. Come a Renzi la Fiorentina, dice?
R. Esatto, perché, come la mamma, è sacra. Tutto il resto si può discutere. Questo non è il profilo di un elettore del Partito della nazione, mi scusi? Poi, certo, c’è l’elettorato tradizionalmente democratico, ma Renzi guarda a questa classe sociale, per conquistarla alle riforme che vuol fare. È una classe mobile, pronta a votarlo e forse l’ha già fatto. Ma che è pronta a non votarlo più, perché come le dicevo prima, non c’è più il tifo calcistico per la politica.
D. Una classe che guarda a Renzi.
R. Ha i suoi valori, un po’ antipolitico, non gli piace lo Stato ma sa che serve, per cui va tenuto, che ama lavorare ma anche godere la vita. È un ragazzo della Via Pal dentro la stanza dei bottoni. Un mondo che il conformismo antirenziano odia. Anche se poi, inevitabilmente, seguirà anche il conformismo renziano, non si illuda.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 30/4/2015